Terapia Anticoagulante Orale (TAO)

Terapia Anticoagulante Orale (TAO)

La Terapia Anticoagulante Orale (TAO) è uno dei trattamenti attualmente più diffusi nella pratica clinica. Viene principalmente impiegata per la profilassi primaria e secondaria di eventi tromboembolici. Il suo utilizzo è destinato ad estendersi sempre più nella popolazione a causa dell’aumento dell’età media e, di conseguenza, delle patologie e situazioni di rischio che ne indicano l’uso.

Meccanismo d’azione dei principali anticoagulanti orali

I farmaci maggiormente in uso nella terapia anticoagulante orale sono composti a basso peso molecolare derivati dal dicumarolo (cumarina).

Somministrati per os, vengono rapidamente assorbiti a livello intestinale. Nel sangue si legano alle proteine (albumina) per il 97-99%, cosicché soltanto una piccola quota (frazione libera) risulta, in realtà, farmacologicamente attiva.

A livello degli epatociti, i dicumarolici agiscono bloccando, mediante inibizione competitiva dell’enzima epossido-reduttasi, la riduzione della Vitamina K-epossido a Vitamina K. In questo modo impediscono la gamma-carbossilazione dei fattori II, VII, IX, X, normalmente operata dalla Vitamina K attivata.

La mancata gamma-carbossilazione e quindi attivazione dei fattori citati ne inibisce la funzione, con conseguente effetto anticoagulante sul sangue. A parità di molte altre condizioni biologiche e cliniche, tale effetto è proporzionale alla dose di farmaco assunta.

I derivati dicumarolici dotati di attività anticoagulante disponibil in Italia sono:

  • warfarina sodica [3-(alfa-acetonilbenzil)-4-idrossicumarina],
    COUMADIN® compresse da 5 mg;
  • acenocumarolo [3-(alfa-acetonil-p-nitrobenzil)-4-idrossicumarina],
    SINTROM® compresse da 4 mg e da 1 mg.

Entrambi sono rapidamente assorbiti nel tratto gastrointestinale e raggiungono il picco di concentrazione plasmatica in 90 minuti circolando, come già detto, per lo più legati all’albumina. Si concentrano nel fegato, ove vengono metabolizzati seguendo vie differenti e vengono escreti con la bile o con le urine.

I due farmaci, al di là dei diversi dosaggi (5 mg la warfarina, 1 e 4 mg l’acenocumarolo) si differenziano essenzialmente per la diversa emivita biologica.

La warfarina è prodotta come miscela racemica di due isomeri ottici, levo- e destrogiro. Entrambe le isoforme sono rapidamente assorbite, ma sono dotate di emivita plasmatica abbastanza diversa, 46 ore per l’isomero destrogiro, 32 ore per l’isomero levogiro.

L’acenocumarolo, invece, presenta una emivita valutata in circa 12 ore, decisamente più breve di ciascuna delle due forme della warfarina.

La scelta dell’anticoagulante orale più idoneo per ciascun tipo di paziente sarà operata, pertanto, anche sulla base di tali peculiari caratteristiche farmacocinetiche: sarà quindi spesso la warfarina, per la sua emivita più lunga, ad essere preferita nei trattamenti di lunga durata.

L’acenocumarolo però, dal canto suo, presentando da un lato il vantaggio di una reversibilità dell’effetto anticoagulante teoricamente più rapida (che può risultare molto utile in caso di emorragia da sovradosaggio), e dall’altro la possibilità di essere disponibile in diversi dosaggi, sarà invece da preferire, ad esempio, in pazienti a più alto rischio emorragico (es. pazienti al di sopra dei 75 anni), oppure, nel dosaggio da 1 mg, in quei soggetti che presentino difficoltà nella manipolazione del farmaco in frazioni di compressa (anziani, disabili, non vedenti ecc.).

Indicazioni e Controindicazioni alla TAO

Alcune indicazioni alla terapia anticoagulante orale (TAO) sono ormai consolidate da alcuni decenni, mentre altre nuove indicazioni sono state poste solo negli anni più recenti. L’argomento, ben definito nelle sue linee essenziali, è però soggetto a continui piccoli aggiustamenti per il gran numero di studi (recentemente terminati o ancora in corso) volti a definire meglio indicazioni e regimi terapeutici ottimali.

Tra le indicazioni ormai consolidate alla terapia anticoagulante orale troviamo:

  • Protesi valvolari meccaniche
  • Malattie valvolari
  • Trombosi endocavitaria
  • Fibrillazione atriale
  • Cardiomiopatia dilatativa
  • Infarto Miocardico Acuto (esteso)
  • Tromboembolie arteriose
  • Prevenzione della Trombosi Venosa Profonda
  • Profilassi della Tromboembolia Polmonare
  • Ictus tromboembolico

Le patologie sopra elencate risultano essere entità nosologiche a volte anche estremamente complesse da gestire.

Non di meno la terapia anticoagulante orale, così come tutte le terapie, non è esente da rischi, per cui, per ottenere la massima efficacia e sicurezza nella gestione di questo tipo di terapia occorrono:

  • 1) un laboratorio affidabile
  • 2) un medico esperto
  • 3) un paziente collaborante.

Pur essendo una terapia utile ed efficace in svariate circostanze, vi sono alcune specifiche condizioni del paziente in cui, pur essendoci potenzialmente indicazione, il trattamento anticoagulante orale non deve essere assolutamente adottato.

Tali condizioni costituiscono pertanto CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE alla terapia anticoagulante orale e sono:

  • Gravidanza
    Gli anticoagulanti orali non devono essere somministrati durante il primo trimestre di gravidanza, per le note malformazioni fetali che possono indurre, e nelle ultime 4-6 settimane, per il rischio emorragico nel neonato, dovuto al fatto che l’anticoagulante attraversa la placenta.
  • Recente emorragia maggiore (< 1 mese), specie se a rischio vitale
    In caso di insorgenza di emorragia maggiore (vedi oltre) specie se essa può generare un rischio per la vita, è opportuno non somministrare la terapia anticoagulante orale per un adeguato periodo (almeno 1 mese).

Vi sono poi altre condizioni, sia di carattere generale che per presenza di specifiche patologie, nelle quali la terapia anticoagulante orale deve essere considerata come un trattamento ad alto rischio e considerate quindi come controindicazioni relative al suo impiego. Esse, distinte in maggiori e minori, sono:

  • Maggiori
    • Non compliance del paziente
    • Emorragie gastrointestinali/ ulcera peptica attiva
    • Ipertensione arteriosa, specie se non controllata
    • Gravidanza (escluso periodo di controindicazione assoluta)
    • Alcolismo
    • Grave insufficienza epatica
    • Malformazioni vascolari che possono causare significative emorragie
    • Coagulopatie (ad impronta emorragica)
    • Recenti interventi chirurgici o traumi occhio o sistema nervoso centrale
    • Pregresse gravi emorragie in terapia anticoagulante
  • Minori
    • Grave patologia neoplastica
    • Malattie psichiatriche
    • Endocardite batterica
    • Pericardite
    • Insufficienza cardiaca grave
    • Malattie renali ed insufficienza renale grave
    • Biopsia renale recente
    • Recente accidente cerebrale di natura non embolica
    • Aneurismi cerebrali
    • Arteriosclerosi avanzata
    • Malattie varici esofagee
    • Ernia jatale
    • Diverticolosi del colon
    • Malattie epatiche e biliari
    • Biopsia epatica recente
    • Malattie infiammatorie intestinali
    • Preesistenti difetti dell’emostasi
    • Piastrinopenia
    • Piastrinopatia
    • Puntura lombare
    • Iniezioni arteriose
    • Età avanzata (>80 anni)
    • Emorroidi severe
    • Meno-metrorragie
    • Malnutrizione
    • Tireotossicosi e mixedema (per alterazioni del metabolismo dei dicumarolici)
    • Retinopatia

Tornando al problema della gravidanza, qualora una donna in terapia anticoagulante orale abbia intenzione di intraprenderne una o abbia comunque il dubbio di essere rimasta incinta, dopo essersi sottoposta immediatamente al test, deve rivolgersi al proprio medico, in modo da poter sospendere gli anticoagulanti orali il prima possibile.

Si devono sostituire i dicumarolici con l’eparina a basso peso molecolare (EBPM), da iniettare sottocute 2-3 volte al dì. Questo trattamento non è pericoloso né per il feto né per la madre e va protratto fino al parto, sempre sotto stretto controllo medico.

Per quanto riguarda l’allattamento invece, le donne in terapia anticoagulante orale possono allattare tranquillamente, senza che questo provochi alcun danno al bambino, dato che non vi è evidenza scientifica che i dicumarolici passino nel latte materno.

Valutazioni preliminari e colloquio col paziente

Le valutazioni preliminari da effettuare prima dell’inizio della terapia anticoagulante orale devono seguire una procedura standard al fine di:

  • escludere la presenza di controindicazioni maggiori e valutare le minori;
  • definire il motivo principale che porta al trattamento anticoagulante;
  • definire il range terapeutico voluto, idoneo sia rispetto alla causa principale del trattamento che alle condizioni generali del paziente;
  • stabilire la durata prevista del trattamento;
  • chiarire come e da chi sarà controllato il paziente in terapia anticoagulante orale.

E’opportuno che le condizioni cliniche generali del paziente vengano riesaminate più volte e che venga valutato anche il grado di cooperazione del paziente e la possibile presenza di condizioni che ne riducano o ne escludano l’affidabilità (deficit mentale, gravi psicosi, alcolismo, tossicodipendenza ecc.).

Bisognerà anche valutare attentamente le possibili interazioni farmacologiche (vedi oltre) tra anticoagulanti orali e farmaci con cui il paziente è già in terapia, oltre a raccomandare sempre di evitare associazioni con farmaci in grado di aumentare potenzialmente l’incidenza di emorragie (ad es. assunzione di FANS, frequente e spesso misconosciuta, soprattutto nella popolazione anziana).

Dal punto di vista clinico, prima di iniziare la terapia anticoagulante orale vanno valutati (se disponibili) o fatti eseguire i seguenti accertamenti:

  • Test coagulativi di base;
  • Esame emocromocitometrico completo con piastrine e Sideremia (per accertare una eventuale condizione di anemia microcitica sideropenica);
  • Transaminasi, Gamma-GT, Bilirubina, Colinesterasi, (come valutazione della funzionalità epatica);
  • Creatinina, Glicemia, Uricemia, Colesterolo, Trigliceridi;
  • Test di gravidanza in tutte le donne in età fertile.

Inizio della terapia anticoagulante orale: dose d’induzione e mantenimento e modalità d’assunzione

La terapia anticoagulante orale può essere iniziata con una moderata dose di induzione (5-10 mg di warfarina o 4-8 mg di acenocumarolo). L’uso di elevate dosi di carico (20-40 mg di warfarina) non presenta vantaggi rispetto alle dosi più ridotte, anzi rende più difficile la stabilizzazione del dosaggio ed è potenzialmente pericolosa.

Infatti, la rapida diminuzione della proteina C (anticoagulante fisiologico, Vitamina K-dipendente, a corta emivita) non compensata dalla concomitante riduzione dei fattori Vitamina K-dipendenti ad emivita più lunga (fattori II, IX e X) e con decadenza d’effetto quindi meno rapida, può indurre la comparsa di necrosi cutanea, dovuta ad una massiccia trombosi di venule e capillari nel grasso sottocutaneo che insorge 3-8 giorni dopo l’inizio del trattamento, particolarmente nei pazienti con deficit congenito di proteina C ed S.

Se non è necessario iniziare la terapia anticoagulante orale in maniera urgente (come ad es. nella fibrillazione atriale cronica), il trattamento può essere iniziato con una dose di 5 mg al giorno di warfarina e questa dose consente il raggiungimento di una anticoagulazione stabile in 5-7 giorni, per cui è opportuno programmare il controllo INR in 5° giornata.

Se invece l’effetto antitrombotico è urgente da ottenere (ad es. per cardiopatie ad alto rischio di embolizzazione), la warfarina può essere iniziata alla dose di 10 mg al giorno per i primi due giorni e di 5 mg nei due giorni successivi, con controllo dell’INR dopo 4 giorni e poi ogni 4-7 giorni fino a raggiungere e mantenere un valore nel range terapeutico.

Per una anticoagulazione immediata (ad es. trombosi in atto), è necessario iniziare con l’EBPM e introdurre poi precocemente la warfarina. È raccomandato di iniziare la warfarina (5-10 mg/die) sin dal 2°-3° giorno di terapia eparinica, sospendendo l’eparina quando l’INR raggiunge valori >2 e rimane a tale livello per almeno due giorni consecutivi.

In questo modo si riduce il periodo di trattamento con eparina con il vantaggio di abbreviare l’ospedalizzazione del paziente e di ridurre il rischio di piastrinopenia da EBPM. Il controllo di aPTT e PT dovrebbe essere eseguito tutti i giorni fino alla sospensione dell’eparina.

L’assunzione della terapia anticoagulante orale va effettuata in unica somministrazione, sempre alla stessa ora del giorno, possibilmente lontano dai pasti, nel pomeriggio o alla sera (es. ore 18), e preferibilmente in un orario che consenta di modificare il dosaggio una volta che si è venuti a conoscenza del risultato del controllo dell’INR.

Come già ribadito, per una ottimale sicurezza ed efficacia della terapia anticoagulante orale occorre che i pazienti siano periodicamente controllati, sia dal punto di vista clinico che laboratoristico, con controlli, ad inizio terapia, molto frequenti (a volte anche giornalieri, data la variabilità individuale di risposta alla terapia).

Successivamente, al raggiungimento e mantenimento del range terapeutico voluto, in maniera ritenuta sufficientemente stabile, i controlli possono via via essere diradati nel tempo, fino ad eseguire un prelievo al massimo ogni 2-3 settimane circa, salvo ovviamente casi particolari (vedi oltre).

Il controllo di laboratorio della TAO: l’International Normalized Ratio (INR) e suoi range terapeutici

L’esame che consente di indagare l’effetto degli anticoagulanti orali sulla coagulazione è il PT (tempo di protrombina) che reagisce alla riduzione di tre su quattro dei fattori Vitamina K-dipendenti (II, VII, X).

La determinazione del PT si effettua aggiungendo calcio e tromboplastina al plasma, addizionato con citrato, del paziente in studio. Questa metodica originaria ha presentato parecchi limiti tecnici, primo fra tutti la variabilità fra i laboratori specialmente per quanto riguarda la difformità fra i vari reagenti tromboplastinici utilizzati.

Per superare questo grosso limite, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha introdotto nel 1985 l’uso di una metodica derivata dal PT ma standardizzata, che è stata chiamata International Normalized Ratio (INR). L’INR corrisponde al rapporto fra il PT del paziente ed il PT di controllo ottenuto usando un metodo standard dell’OMS; tale rapporto viene poi elevato ad un esponente che corrisponde all’indice di sensibilità della tromboplastina utilizzata (International Sensitivity Index, ISI) che viene fornito dalle ditte produttrici di tromboplastina. Quindi:

  • INR = (PT paziente/PT standard)^ISI

L’INR del soggetto non anticoagulato è circa 1; valori superiori corrispondono a livelli crescenti di anticoagulazione.

Per quanto riguarda i range terapeutici da raggiungere (così com’è per la durata del trattamento) essi variano in base alla patologia per la quale è stata posta indicazione alla terapia anticoagulante orale, così come segue:

Protesi valvolari cardiache

A) Protesi Meccaniche

Per i pazienti portatori di protesi valvolari meccaniche è raccomandato un trattamento con anticoagulanti orali sine die, con un INR 2,5-3,5 per le protesi a disco singolo o doppio emidisco e INR 3-4,5 per le protesi a palla e le protesi multiple.

Per pazienti ad elevato rischio emorragico (come quelli con storia di emorragia gastrointestinale, insufficienza epatica ecc.) è stato proposto un range terapeutico di INR tra 2 e 3, ma questo deriva da un generico criterio di prudenza piuttosto che da studi controllati. Un aspetto da considerare è anche il tipo di valvola.

In particolare i pazienti con valvole impiantate prima della metà degli anni ’70 sono a maggior rischio embolico (paragonabile a quello dei pazienti che hanno già avuto precedenti embolici) ed il mantenimento del range terapeutico (INR 3-4,5) deve essere particolarmente attento.

Infine va ricordato che, in caso di embolismo ricorrente nonostante una corretta terapia, deve essere preso in considerazione un reintervento con impianto di protesi biologiche o l’aggiunta di ASA (100 mg/die).

B) Protesi Biologiche

In pazienti con protesi biologiche il trattamento con anticoagulanti orali (INR 2-3) viene in genere consigliato solo per i primi tre mesi dall’intervento, periodo nel quale è massima l’incidenza di fenomeni embolici.

La terapia anticoagulante orale deve essere invece proseguita in pazienti con fibrillazione atriale cronica, presenza di trombi in atrio al momento dell’intervento o embolia in corso di trattamento; in questo ultimo caso si raccomanda la prosecuzione della terapia anticoagulante orale per 12 mesi (INR 2-3).

Malattie valvolari cardiache

Per queste malattie viene raccomandata la terapia anticoagulante orale con INR compreso fra 2 e 3. È necessario tuttavia fare alcune precisazioni. Il prolasso della mitrale non richiede alcuna terapia antitrombotica se non associato a fibrillazione atriale o a storia di embolie.

Analogamente le valvulopatie aortiche non complicate non richiedono alcuna profilassi.

Nella valvulopatia mitralica reumatica in ritmo sinusale e senza dilatazione dell’atrio sinistro, la terapia anticoagulante orale va valutata in base al rapporto rischio-beneficio nel singolo paziente.

Al contrario la terapia anticoagulante orale (INR 2-3) è sempre indicata in presenza di fibrillazione atriale, dilatazione dell’atrio sinistro (diametro atriale sinistro >55 mm) o storia di embolie.

Trombosi cardiaca endocavitaria

Indipendentemente dalla patologia associata, in caso di trombosi delle cavità cardiache è indicata la terapia anticoagulante orale (INR 2-3) per tutto il tempo in cui la trombosi è rilevabile ecocardiograficamente.

Fibrillazione atriale

A) FA cronica valvolare

Nella FA cronica associata a valvulopatia l’indicazione alla terapia anticoagulante orale è obbligatoria.

È raccomandato un INR fra 2 e 3 ma se si verificano episodi embolici durante un trattamento corretto è indicata l’associazione di aspirina (100 mg/die), o dipiridamolo (400 mg/die) in caso d’intolleranza all’aspirina.

B) FA cronica non valvolare

Nel paziente con FA cronica non valvolare di età tra i 65 e i 75 anni, in assenza di rischi emorragici, è indicata la terapia anticoagulante orale con INR 2-3.

Nei soggetti di età inferiore a 65 anni non c’è indicazione alla terapia anticoagulante orale in assenza di fattori aggiuntivi di rischio tromboembolico (diabete, ipertensione arteriosa, scompenso cardiaco, dilatazione atriale sinistra, disfunzione sistolica ventricolare sinistra).

In questi casi viene valutata l’opportunità della terapia con antiaggreganti piastrinici.

Nei soggetti di età superiore ai 75 anni e con fattori aggiuntivi di rischio tromboembolico è indicata invece la terapia anticoagulante orale con INR 2-3.

Poiché il trattamento nell’anziano può associarsi però ad una più elevata frequenza e gravità di complicanze emorragiche, specie intracraniche, l’indicazione va posta dopo un’attenta valutazione del singolo caso.

C) FA parossistica

Per quanto riguarda la FA parossistica non esistono studi specifici su ampie casistiche relativamente al rischio embolico.

Tuttavia una recente analisi collaborativa dei 5 principali studi disponibili nella FA non valvolare indica che non ci sono differenze nel rischio di ictus fra i pazienti con FA parossistica e FA cronica.

Per questo motivo le indicazioni del punto B) sono utilizzabili anche per la FA parossistica.

Un caso particolare è rappresentato dai pazienti con tireotossicosi e FA che persiste da oltre 48 ore, ma senza cardiopatia.

Per tali pazienti è indicata la terapia anticoagulante (INR 2-3) da prolungarsi fino a 4 settimane dal ripristino del ritmo sinusale (l’eventuale cardioversione elettrica deve essere eseguita sempre dopo 16 settimane dalla normalizzazione del quadro ormonale).

D) FA di recente insorgenza da sottoporre a cardioversione elettrica o farmacologica

Le embolie sistemiche costituiscono la più seria complicanza di una cardioversione per FA. L’anticoagulazione è indicata qualora l’aritmia sia insorta da più di 48-72 ore.

In condizioni di emergenza si utilizza l’EBPM a dosi anticoagulanti seguita dalla terapia anticoagulante orale.

In elezione si segue la terapia anticoagulante orale (INR 2-3) per 3 settimane prima della cardioversione.

Il trattamento deve essere proseguito poi per almeno 3-4 settimane dopo la cardioversione, in quanto la ripresa della contrattilità atriale può richiedere, a volte, anche due settimane dal ripristino del ritmo sinusale.

È importante sottolineare che il periodo sopra citato (almeno tre settimane prima, almeno tre settimane dopo), va inteso a partire dal raggiungimento del range terapeutico.

Nelle altre aritmie ipercinetiche l’indicazione alla terapia anticoagulante orale sussiste solo nei casi che presentino anche fasi di FA.

Cardiomiopatia dilatativa

Non esiste a tutt’oggi accordo circa il trattamento con terapia anticoagulante orale di questi pazienti. Pertanto l’uso della terapia anticoagulante orale (INR 2-3, periodo di tempo indefinito) deve essere ristretto ai pazienti con elevato rischio emboligeno (presenza di fibrillazione atriale, pregressi episodi embolici, dimostrazione ecocardiografica di trombosi endocavitaria).

Infarto miocardico acuto (ad elevato rischio tromboembolico)

I pazienti con infarto del miocardio che hanno un aumentato rischio tromboembolico (ampia area acinetica, trombosi murale, storia di embolismo e FA) dovrebbero ricevere terapia anticoagulante con EBPM seguita dalla terapia anticoagulante orale (INR 2-3) per almeno 3 mesi, con prosecuzione sine die nella FA cronica.

Tromboembolismo arterioso

Per le condizioni di tromboembolismo arterioso, in particolare recidivante, la FCSA (Federazione Centri per la diagnosi della trombosi e la Sorveglianza delle terapie Antitrombotiche) suggerisce un alto livello di anticoagulazione (INR 3-4,5) a tempo indefinito.

Prevenzione della Trombosi Venosa Profonda

La profilassi con anticoagulanti orali (INR 2-3) è generalmente da riservare ai pazienti ad altissimo rischio (pregressa TVP/embolia polmonare, interventi di chirurgia ortopedica maggiore). Alla luce degli studi degli ultimi anni, in chirurgia ortopedica, la terapia anticoagulante orale viene attualmente considerata di seconda scelta in alternativa all’EBPM.

Trattamento della Trombosi Venosa Profonda e dell’Embolia Polmonare e profilassi delle recidive della Trombosi Venosa Profonda

L’utilità del trattamento anticoagulante orale (INR 2-3) a lungo termine dopo EBPM nella TVP e nell’embolia polmonare è stata dimostrata inequivocabilmente in diversi studi clinici.

La durata della terapia rimane ancora oggi non completamente definita. Viene generalmente raccomandato un periodo di trattamento di 3-6 mesi per i pazienti senza importanti fattori di rischio tromboembolico, più lungo (o indefinito) nei casi a rischio continuo (carenze di inibitori fisiologici, TVP recidivanti ecc.).

Un caso a parte è rappresentato dalla sindrome da anticorpi antifosfolipidi; studi retrospettivi indicano la necessità di mantenere un range terapeutico più elevato in questi pazienti qualora abbiano presentato trombosi spontanee venose o arteriose.

Nell’ipertensione polmonare la terapia anticoagulante orale ha un ruolo di primo piano nelle forme secondarie ad episodi ricorrenti di embolia polmonare.

Anche nell’ipertensione polmonare primitiva studi autoptici e bioptici hanno dimostrato la presenza di trombi occludenti le venule e le arteriole polmonari.

L’uso della terapia anticoagulante orale in questi pazienti determina un miglioramento della prognosi e pertanto viene raccomandato da diversi esperti, anche se non esiste un consenso diffuso né sull’indicazione né sull’INR da ottenere.

Ictus

I pazienti con ictus tromboembolico e con lesione piccola o moderata, nei quali una TAC eseguita ad almeno 48 ore dall’insorgenza dei sintomi esclude una emorragia intracranica, devono essere trattati con eparina seguita dalla terapia anticoagulante orale (INR 2-3).

Nei pazienti ipertesi o con focolaio ischemico esteso è bene attendere due settimane prima dell’inizio del trattamento anticoagulante.

Nei pazienti con FA non valvolare come causa presumibile dell’ictus, che hanno un basso rischio di recidiva embolica precoce, è indicata l’instaurazione della terapia anticoagulante orale direttamente dopo la TAC eseguita a 48 ore.

La terapia anticoagulante orale non trova indicazione nelle malattie cerebrovascolari non emboliche. Fa eccezione la sindrome da anticorpi antifosfolipidi (vedi sopra).

Le interazioni farmacologiche

Sono circa 250 i farmaci che esercitano una documentata interferenza sull’effetto dei dicumarolici, agendo come precipitanti o inibenti l’effetto anticoagulante.

Svariati sono i meccanismi di queste interazioni, il risultato sarà comunque un necessario aggiustamento posologico.

Inoltre, va fatta una ovvia distinzione fra i farmaci che vanno associati solo per brevi periodi di tempo, come antibiotici o antimicotici (che necessiteranno quindi solo di temporanei aggiustamenti posologici), e quelli che invece dovranno essere associati in terapia cronica, per i quali la sorveglianza più ristretta va in genere limitata solo ai primi tempi di assunzione del nuovo farmaco.

Fanno eccezione alcuni farmaci, tra cui l’amiodarone, con il quale un’interazione con l’antagonista della Vitamina K può manifestarsi anche dopo due mesi dall’inizio della terapia.

Possiamo distinguere le interazioni dei vari farmaci coi dicumarolici così come segue:

Ovvio inoltre che l’associazione di anticoagulanti con acido acetilsalicilico (e suoi derivati) o con farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) può determinare aumento del rischio di sanguinamento a causa di un’azione sulla funzione piastrinica e di un’azione di danneggiamento della mucosa gastrica.

Risulta rischiosa anche l’associazione fra dicumarolici e COXIB, date le variazioni dell’INR registrate in pazienti in terapia concomitante coi due farmaci. Quando è possibile quindi le suddette associazioni andrebbero evitate.

In ambito di interazioni, una menzione particolare, dato il loro frequente utilizzo, va fatta per i farmaci ipolipemizzanti inibitori della HMG-CoA reduttasi (statine) che, oltre a poter interferire con l’azione dei dicumarolici, possono da questi a loro volta subire interazioni, con segnalazioni di casi di rabdomiolisi in corso di associazione fra warfarina e statine.

L’unica statina, associabile agli anticoagulanti orali poiché non metabolizzata dal citocromo P450 (che metabolizza invece la stragrande maggioranza dei farmaci, compresi i dicumarolici) è la pravastatina.

Oltre alla pravastatina, tra gli altri farmaci considerati dalla FCSA “relativamente sicuri” in associazione gli anticoagulanti orali ricordiamo:

Dieta e abitudini di vita: Consigli per il paziente in TAO

Per quanto riguarda la dieta si può rassicurare il paziente sul fatto che durante la terapia anticoagulante orale non sia necessario modificare le abitudini dietetiche e in particolare che non sia indispensabile evitare l’assunzione di verdure.

La Vitamina K dietetica deriva principalmente dal fillochinone contenuto nelle piante in differenti quantità e soprattutto in quelle a foglie verdi. La verza ed il prezzemolo hanno concentrazioni molto elevate di Vitamina K.

L’introduzione di quantità superiori a 100 grammi per volta dei seguenti alimenti: broccoli, cavoletti, cavolo cappuccio, spinaci, cime di rapa, germogli, lattuga e , può avere ripercussioni, a volte anche significative, sui valori dell’INR.

Anche quantità molto elevate di asparagi, avocado, piselli, lenticchie, semi di soja, altre insalate e fegato possono antagonizzare l’azione degli anticoagulanti orali.

Come già ribadito però la dieta a contenuto noto di Vitamina K va riservata solo a pazienti che presentino particolari difficoltà nella gestione della terapia anticoagulante orale. Va anzi posta attenzione alla riduzione drastica dell’apporto calorico che si associa spesso all’iperdosaggio.

Va inoltre indagata l’assunzione da parte del paziente di sostanze acquistate in erboristeria che possono anch’esse potenziare (es. iperico tanaceto, aglio“>aglio, ginko biloba) o ridurre (es. ginseng“>ginseng) l’effetto dei dicumarolici.

Per quanto riguarda gli alcolici, un uso moderato non determina interazioni con gli anticoagulanti orali. In caso di uso eccessivo invece, in acuto si ha un potenziamento dell’effetto anticoagulante mentre in cronico si ha una diminuzione, per l’induzione dei sistemi enzimatici epatici.

Per quanto riguarda i viaggi non esiste alcuna limitazione in merito. Si deve solo tener presente che di solito questi si accompagnano a modificazioni delle abitudini alimentari, per cui si deve consigliare al paziente, se possibile, di variare poco il modo di mangiare o, altrimenti, di effettuare controlli dell’INR più frequenti.

Per quanto riguarda infine la pratica di attività sportive si deve consigliare al paziente di evitare sport che possano esporre a rischi di traumi importanti, quali ad esempio lo sci di discesa o la ginnastica acrobatica. Per tutte le altre attività non è necessaria alcuna particolare precauzione.

Interventi chirurgici e manovre invasive: come comportarsi col paziente in TAO

Tutti gli interventi chirurgici e le manovre invasive che si rendano necessarie nei pazienti in terapia anticoagulante orale richiedono ovviamente una valutazione specifica per stabilire sia il potenziale rischio di eventi tromboembolici (qualora la terapia anticoagulante orale venisse ridotta o sospesa), sia il rischio emorragico specifico di ciascun intervento o manovra, soprattutto in relazione all’entità del trauma e alla possibilità di adottare idonee misure emostatiche locali.

Si possono pertanto configurare due possibilità:

1)Continuare la terapia anticoagulante orale : ciò è possibile per situazioni a basso rischio emorragico con trauma dei tessuti superficiali sui quali possono essere attuate misure emostatiche locali (pressione, antifibrinolitici, colla di fibrina).

A titolo di esempio ricordiamo: punture e cateterismi di vene ed arterie superficiali; punture sternali; biopsie cutanee; piccola chirurgia dermatologica, biopsie di mucose facilmente accessibili ed esplorabili (cavo orale, vagina), piccola chirurgia oculistica, esami endoscopici senza manovre chirurgiche, estrazioni dentarie semplici in assenza di infezione e di incisioni chirurgiche.

Qualora si preveda invece un rischio emorragico più elevato (es. estrazioni dentarie multiple in presenza di infezioni) od il rischio tromboembolico non sia elevato (nella maggior parte dei pazienti, esclusi quelli con protesi valvolare cardiaca o trombosi endocavitarie cardiache) la terapia anticoagulante orale può essere temporaneamente modificata in modo da ridurre l’INR tra valori di 1,5 e 2.

In via collaterale infine va ricordato che nei pazienti in terapia anticoagulante orale è consigliabile evitare, se possibile, le iniezioni intramuscolari per non correre il rischio di ematomi locali (soprattutto se il volume di iniezione è elevato).

2)Sospendere momentaneamente la terapia anticoagulante orale : ciò è necessario quando si preveda un trauma di tessuti profondi, non facilmente accessibili a misure emostatiche locali.

Ad esempio in caso di chirurgia maggiore elettiva, generale o specialistica; punture esplorative di cavità (toracentesi, paracentesi, rachicentesi); biopsie di tessuti profondi (fegato, rene, osso, anche TC o ecoguidate) o di mucose (gastroenteriche, respiratorie, genitali) non accessibili ad una ispezione diretta; anestesie peridurali.

Se non vi è urgenza la terapia anticoagulante orale va sospesa senza somministrare Vitamina K. In tutto il periodo di sospensione della terapia anticoagulante orale, va istituita terapia eparinica per via sottocutanea a dosi profilattiche o, nei pazienti ad alto rischio trombotico (protesi valvolare), a dosi individualizzate in modo da ottenere un allungamento dell’aPTT. In ogni caso la somministrazione che precede immediatamente l’intervento va omessa.

La ripresa della terapia anticoagulante orale deve essere valutata caso per caso, in funzione del tempo necessario alla completa riparazione dei tessuti. Per gli interventi chirurgici urgenti è necessario neutralizzare al più presto la terapia anticoagulante orale somministrando 10-20 mg di Vitamina K1 (Konakion®) per via endovenosa lenta (15-30 minuti) e procedere all’intervento dopo che l’INR è sceso sotto 1,5.

In caso di interventi chirurgici programmati o di cure odontoiatriche che possano comportare emorragie è sufficiente interrompere la terapia per 24 o 48 ore (a seconda dei risultati dell’ultimo prelievo) per ottenere valori di INR <2.

In caso di interventi odontoiatrici che non comportino rischi di significative emorragie (otturazione, ablazione tartaro ecc.) non è necessario invece sospendere la terapia anticoagulante.

Sovradosaggio

Si parla di sovradosaggio quando l’INR è più alto del valore limite superiore del range terapeutico assegnato al paziente.

Ciò può essere dovuto ad una posologia eccessiva o ad un’aumentata sensibilità del paziente indotta da vari motivi, quali: diarrea, febbre, assunzione di farmaci interferenti, eccesso alcolico, modificazioni dietetiche, tireotossicosi, epatopatia, ecc. Generalmente si ritiene che il sovradosaggio esponga il paziente ad un elevato rischio emorragico quando l’INR supera il valore di 5.

La condotta terapeutica da seguire è subordinata al valore di INR e, soprattutto, alla eventuale presenza di manifestazioni emorragiche, alla loro entità e sede.

Quando il valore di INR risulta al di sopra di 5, la sospensione del trattamento con warfarina (o acenocumarolo) porta generalmente i valori di INR al di sotto di 5 in 24-48 ore. In alternativa, la somministrazione di 2 mg di Vitamina K per os riporta costantemente l’INR a valori ben al di sotto di 5 entro 24 ore. Tale quantità di Vitamina K non induce un successivo periodo di refrattarietà all’anticoagulante orale.

Pertanto in pazienti senza complicanze emorragiche e con valori di INR di poco superiori a 5 (tra 5 e 6), si può sospendere la terapia anticoagulante per un giorno o ridurre il dosaggio giornaliero controllando l’INR dopo una settimana.

Questo schema di trattamento del sovradosaggio risulta particolarmente applicabile nei pazienti controllati a domicilio, ai quali può essere pericoloso affidare l’autosomministrazione di Vitamina K. Nel caso di sovradosaggio con valori di INR superiori a 6 o con valori superiori a 5 ma con una complicanza emorragica associata, è conveniente utilizzare Vitamina K per os.

I presidi terapeutici a disposizione per trattare le complicanze emorragiche, al di là della riduzione o della sospensione della terapia, sono rappresentati dalla Vitamina K1 e dagli emoderivati (concentrati di fattori del complesso protrombinico e plasma fresco congelato).

La prima richiede almeno 4-6 ore di latenza per divenire efficace se somministrata per via endovenosa; essa pertanto non è adeguata in presenza di emorragie importanti ed inoltre, se data in dosi elevate, può rendere difficoltoso riportare successivamente l’INR del paziente nel suo range terapeutico.

I concentrati di complesso protrombinico hanno una efficacia immediata e sono relativamente sicuri dal punto di vista della trasmissione di malattie virali; essi però contengono spesso fattori attivati, con conseguente rischio non solo di ipercorrezione, ma anche di complicanze trombotiche.

In linea di massima quindi:

  • Se INR tra 5 e 6, in assenza di emorragia: il medico sospenderà la terapia per 1-2 giorni, per poi ridurre il dosaggio e controllare l’INR entro una settimana;
  • Se INR tra 6 e 10, in assenza di emorragia: il medico sospenderà la terapia e somministrerà vit.K 1-2 mg per os per ricontrollare l’INR dopo 24 ore. Successivamente si regolerà in base ai valori di INR;
  • Se INR <6 ed emorragia scarsamente significativa (es. modesta epistassi): il medico sospenderà la terapia, somministrerà vit.K 1-2 mg per os, ricontrollarà l’INR entro 24 ore e istruirà il paziente a recarsi immediatamente in ospedale in caso di peggioramento dell’emorragia;
  • In situazioni di maggior rischio rispetto ai tre punti precedenti, è opportuno inviare il paziente al centro ospedaliero più vicino.

E’ utile ricordare che l’effetto della somministrazione di Vitamina K si protrae per alcuni giorni, soprattutto per dosi relativamente elevate.

Inoltre in caso di emorragia “maggiore” (vedi oltre) in presenza di INR minore o uguale a 3 il paziente è ad alto rischio di successivi episodi emorragici. Deve quindi, a questo punto, essere seguito da un Centro Specialistico dopo attenta valutazione della reale necessità di proseguire con la terapia anticoagulante.

In caso di importante emorragia gastroenterica o renale, in presenza di INR minore o uguale a 3, si deve sospettare e ricercare una concomitante patologia neoplastica.

Complicanze emorragiche della TAO

La complicanza più frequente durante un trattamento anticoagulante è naturalmente la comparsa di manifestazioni emorragiche spontanee, che possono essere a varia localizzazione e di diversa gravità.

È estremamente opportuno far riferimento ad un comune sistema di valutazione dell’entità degli eventi emorragici (fatali, maggiori, minori, non rilevanti) di modo tale da poter orientare la propria condotta terapeutica nel modo più appropriato.

Per cui distinguiamo:

  • Emorragie fatali
    Quando la morte è avvenuta per emorragia (ovvero il decesso non sarebbe avvenuto se il paziente non fosse stato in terapia anticoagulante);
  • Emorragie maggiori
    Tutti gli eventi emorragici che si verifichino(indipendentemente dalla loro entità) in sede intracranica (con conferma TAC e/o RMN), oculare (con riduzione del visus),articolari, retroperitoneali;
  • Tutti gli eventi emorragici per i quali è stata necessaria una soluzione chirurgica o comunque l’applicazione di manovre invasive ;
  • Gli eventi emorragici che hanno provocato una riduzione di emoglobina superiore a 2 g/dl o per i quali è stato necessario trasfondere 2 o più unità di sangue.
  • Emorragie minori
    Tutti i fenomeni emorragici che non rientrano nelle categorie sopra riportate.
  • Piccole emorragie (non rilevanti dal punto di vista clinico)
    Le piccole ecchimosi (meno della grandezza di una moneta e in numero inferiore a cinque), le epistassi saltuarie (che non hanno richiesto tamponamento), il sanguinamento emorroidario occasionale.

Sebbene il numero di complicanze emorragiche aumenti in misura esponenziale per valori di INR > 4.5, emorragie compaiono anche per valori molto bassi di INR.

Anche nello studio ISCOAT si è verificata un’incidenza significativa di emorragie in correlazione a valori di INR estremamente bassi (<2). Ciò conferma il fatto che non sempre la comparsa di manifestazioni emorragiche corrisponde ad un iperdosaggio della terapia, ma talvolta è da mettere in relazione alla presenza di lesioni organiche locali che sono alla base del sanguinamento, dove la terapia anticoagulante orale costituisce solo un elemento peggiorativo.

In caso di emorragia è d’obbligo quindi eseguire almeno un PT, un aPTT e una conta delle piastrine. Se questi esami danno risultati nei limiti attesi (nel range terapeutico) è indicato ricercare una possibile patologia neoplastica sottostante. In questo modo è spesso possibile ottenere una diagnosi precoce di lesioni di varia natura, precedentemente ignote.

Complicanze non emorragiche della TAO

Le complicanze non emorragiche della terapia anticoagulante orale sono relativamente poco frequenti. Poco comuni sono le reazioni da ipersensibilità, così come la comparsa di eritemi cutanei, anche pruriginosi, la cui insorgenza può avvenire a distanza di settimane o di mesi dall’inizio della terapia; è descritta, in alcuni casi, anche la comparsa di alopecia.

La Vitamina K è coinvolta anche nel metabolismo osseo.

L’uso prolungato di dicumarolici sembra aumentare quindi anche il rischio di frattura vertebrale. Particolare attenzione va pertanto riservata alle possibilità di diagnosi precoce e di eventuale prevenzione dell’osteoporosi.

La più seria delle complicanze non emorragiche della terapia anticoagulante orale è costituita invece dalla comparsa di necrosi cutanea.

Questa rara ma grave alterazione compare nella fase di induzione del trattamento anticoagulante, più frequentemente in pazienti con difetto congenito di proteina C o di proteina S.

Come già accennato, la necrosi sembra dovuta a trombosi dei capillari e delle venule del derma, localizzata soprattutto nelle sedi più ricche di tessuto adiposo.

Inizialmente compaiono lesioni maculopapulose dolenti, che rapidamente si trasformano in bolle emorragiche e in aree necrotiche.

Il processo trombotico pare sia scatenato dalla rapida riduzione degli anticoagulanti fisiologici (proteina S e C) quando il livello dei fattori protrombinici (procoagulanti a più lunga emivita) non è ancora stato sufficientemente ridotto.

Per questo motivo (soprattutto in pazienti con deficit noto di proteina C e/o S) è indicato associare, in fase di induzione della terapia anticoagulante orale, un trattamento con EBPM che minimizzi il rischio trombotico descritto.

Altra rara complicanza consiste nella cosiddetta “purple toes syndrome”, caratterizzata dalla comparsa, di solito nelle prime settimane di trattamento, di colorazione purpurea delle dita dei piedi e di altri disturbi generali, anche gravi e talora mortali, soprattutto a carico dei reni.

Questo grave quadro clinico si pensa si instauri a causa di una microembolizzazione colesterinica favorita dalla terapia anticoagulante e richiede quindi l’immediata sospensione della terapia anticoagulante orale.

Conclusioni

Da quando è entrata in uso più di 50 anni fa, la terapia anticoagulante orale si è dimostrata estremamente utile ed efficace nella prevenzione primaria e secondaria degli eventi tromboembolici, cardiogeni e non.

In particolare per la fibrillazione atriale e nei portatori di protesi valvolari meccaniche rappresenta, a tutt’oggi, la terapia di riferimento.

A causa però delle caratteristiche intrinseche dei farmaci utilizzati finora (in particolare per quanto riguarda la loro finestra terapeutica oggettivamente ristretta tra rischio e beneficio) questa terapia è sempre risultata poco agevole da gestire, soprattutto per il paziente anziano.

Di recente introduzione nel mercato italiano, i nuovi anticoagulanti orali Eliquis ® (apixaban), Pradaxa® (dabigatran etexilato) e Xarelto ® (rivaroxaban) promettono di ridurre drasticamente i disagi legati soprattutto ai frequenti controlli ematici e alla variabilità del dosaggio del farmaco, offrendo nel contempo un profilo di efficacia, tollerabilità e sicurezza pari a quello dei dicumarolici.

Tuttavia il loro impiego clinico è attualmente limitato a particolari categorie di pazienti e la loro prescrizione, tramite piano terapeutico online in collegamento col sito AIFA è, per il momento, appannaggio esclusivo di centri individuati a livello regionale e di alcune specifiche figure mediche specialistiche (cardiologo, internista, neurologo, geriatra ed ematologi che lavorano nei centri di trombosi ed emostasi).

Nel settembre 2013 inoltre l’Agenzia Italiana del Farmaco ha invitato tutti i prescrittori all’attento monitoraggio post-marketing dei nuovi anticoagulanti orali in quanto, in ogni caso, non scevri di effetti collaterali di natura emorragica e non.

Pertanto l’uso dei dicumarolici, seppur gravato da tutte le difficoltà discorse finora, rimane a tutt’oggi il più diffuso, in attesa che i nuovi anticoagulanti orali inizino a essere maggiormente conosciuti e quindi più largamente utilizzati.

Bibliografia:

  • FCSA – SIMG: Guida alla Terapia Anticoagulante Orale per Medici di Medicina Generale a cura di G. Finazzi, A. Filippi, G. Palareti, A. Zaninelli, Milano, 2000.
  • Calisi P, Griffo R. I farmaci anticoagulanti orali e le problematiche correlate al loro impiego nella pratica clinica. Monaldi Arch Chest Dis 2003; 60: 4, 301-309.
  • Majerns PW, Broze GJ, Miletich JP, Tollefsen DM. Farmaci anticoagulanti, trombolitici ed antiaggreganti piastrinici. In: Goodman & Gilman ed. The Pharmacological Basis of Therapeutics. 9th edition. New York: Mc Graw Hill Inc, 1996. Traduzione italiana, Milano: Mc Graw Hill Italia srl, 1997; 1303-1321.
  • Hirsh J, Fuster V, Ansell J, Halperin JL. AHA/ACC Foundation Guide to warfarin therapy. Circulation 2003; 107: 1692-1711.
  • Schiavoni G, Grego S. INR (International Normalized Ratio): un indice standardizzato per il controllo della terapia anticoagulante orale. Cardiol Extraosp 1995; 4: 185-186.
  • Guida alla terapia con anticoagulanti orali. Raccomandazioni della Federazione Centri di Sorveglianza Anticoagulanti (FCSA). 2a edizione, 2002.
  • Harder S, Thurmann P. Clinically important drug interactions with anticoagulants. An update. Clin Pharmacokinet 1996; 30 (6): 416-444.
  • Wells PS, Holrook AM, Crowther NR, Hirsh NR. Interactions of warfarin with drugs and food. Ann Intern Med 1994; 121 (9): 676-683.
  • Palareti G.et al. Risk factors for highly unstable response to oral anticoagulation: a case-control study. Br J Haematol. 2005 Apr;129 (1):72-8.
  • Anticoagulants + non-steroidal antiinflammatory drugs (NSAIDs). In: Stockley IH “Drug interactions”. 5th ed.The Pharmaceutical Press, London 1999:249-51.
  • O’Donnell DC, Hooper JS. Increased International Normalized Ratio in a patient taking warfarin and celecoxib. J Pharmacy Technology 2001;17:3-5.
  • Palareti G.et al. Bleeding complications of oral anticoagulant treatment :an inception-cohort, prospective collaborative study (ISCOAT). Lancet 1996; 348: 423-428.
  • Gazzetta Ufficiale anno 154° n. 127 del 1 giugno 2013. Classificazione del medicinale «Pradaxa», ai sensi dell’articolo 8, comma 10, della legge 24 dicembre 1993, n. 537, ed estensione di nuove indicazioni terapeutiche. (Determina n. 495/2013).
  • Gazzzetta Ufficiale anno 154° n.129 del 4 giugno 2013. Regime di rimborsabilità e prezzo di vendita del medicinale per uso umano «Pradaxa (dabigatran)», autorizzata con procedura centralizzata
    europea dalla Commissione europea. (Determina n. 496/2013).
  • Gazzetta Ufficiale anno 154° n. 202 del 29 agosto 2013. Regime di rimborsabilità e prezzo di vendita del medicinale per uso umano «Xarelto (rivaroxaban)», autorizzata con procedura centralizzata
    europea dalla Commissione europea.(Determina n. 740/2013).
  • AIFA, Comunicazione relativa ai nuovi anticoagulanti orali Eliquis®, Pradaxa®, Xarelto® Importante informativa sui fattori di rischio di sanguinamento – Agenzia Italiana del farmaco, 11-09-2013