Terapia delle CIN (Neoplasie Cervicali Intraepiteliali)

Terapia delle CIN (Neoplasie Cervicali Intraepiteliali)

La terapia delle CIN (Neoplasie Cervicali Intraepiteliali) a prescindere dal loro grado di severità, deve essere conservativo, per cui non trova indicazione, in tali casi, l’esecuzione di un’isterectomia che sia anche solo parziale.

Esistono due tipi di trattamento conservativo: distruttivo ed escissionale

Lesioni di tipo CIN 1 permettono di ricorrere a trattamenti distruttivi, ma solo nel caso in cui sia ben visibile la giunzione squamo-cellulare alla colposcopia e non vi sia discordanza con l’esame citologico, altrimenti si devono preferire tecniche escissionali.

Lesioni di tipo CIN 2 o CIN 3 richiedono, invece, un trattamento esclusivamente di tipo escissionale; solo nei rari casi di lesioni molto piccole localizzate all’esocervice e quando la giunzione squamo-cellulare sia ben visibile all’esame colposcopico, si può tentare un approccio distruttivo.

Terapia delle CIN: Metodi distruttivi

  • diatermocoagulazione: distruzione dell’area di tessuto interessata dalla lesione mediante danno causato da temperature molto elevate che provocano la necrosi termica del tessuto stesso; questo non è da considerarsi un metodo di elezione e deve sempre essere eseguito sotto guida colposcopica a profondità anche elevate, in modo da distruggere eventuali cellule displastiche presenti nel fondo delle cripte ghiandolari
  • crioterapia: distruzione della lesione mediante congelamento della stessa con azoto liquido
  • laser-vaporizzazione: distruzione della lesione mediante impiego di radiofrequenze che causano una vaporizzazione del tessuto

Terapia delle CIN: Metodi escissionali (Conizzazione)

  • con ansa diatermica: asportazione del frammento di tessuto interessato in un unico passaggio grazie all’emissione di una corrente elettrica ad alta frequenza, paragonabile a quella emessa dalle onde radio; può essere effettuato in regime ambulatoriale in anestesia locale
  • con lama fredda (più frequentemente eseguito in regime di ricovero e in anestesia generale o, al massimo, loco-regionale)
  • con laser CO2 (effettuato anch’esso in regime ambulatoriale in anestesia locale)

La conizzazione consiste, dunque, nell’asportazione di un frammento conico o semisferico di cervice uterina interessato dalla lesione a scopo sia diagnostico che terapeutico, sia per quanto riguarda le lesioni squamose che quelle ghiandolari.

Il patologo che ha eseguito l’escissione dovrà, quindi, fornire dati riguardanti il tipo di escissione, la dimensione del campione, la diagnosi (lesione intraepiteliale/invasiva, ghiandolare/squamosa), sede, estensione linerare e volume della lesione, la presenza o meno di embolizzazione, la presenza o meno di interessamento delle cripte ghiandolari, lo stato dei margini di resezione e loro distanza dalla lesione, la presenza di eventuali lesioni associate e la stadiazione della lesione (in caso di tumore).

Lo stato dei margini di resezione e l’estensione della lesione displastica rappresentano i fattori predittivi più importanti di persistenza o recidiva di malattia, così come l’entità dell’interessamento delle cripte ghiandolari, l’epoca della diagnosi, l’età della paziente e la sede della giunzione squamo-cellulare (che, soprattutto nelle donne non giovani, tende a spostarsi verso il basso, all’interno del canale cervicale, determinando una maggiore probabilità di localizzazione apicale della lesione).

Follow-up

Dopo trattamento, è necessario eseguire controlli colposcopici e citologici ripetuti, in considerazione del fatto che la paziente trattata per CIN ha un rischio maggiore di sviluppare nuovamente una CIN o un carcinoma invasivo rispetto alla popolazione normale, anche dopo trattamento (tale rischio è di circa il 15% per recidiva di CIN e di 3 casi su 1000 ogni anno per carcinoma invasivo).

È quindi opportuno eseguire il primo controllo dopo 3 mesi dall’intervento e, successivamente, ogni 6 mesi per 2 anni; trascorso questo periodo, viene consigliato il ritorno ai controlli di screening protocollari e, quindi, a un controllo citologico ogni 3 anni.

Come già accennato in precedenza, inoltre, oggi si tende ad attribuire sempre più importanza all’identificazione delle pazienti a rischio dopo trattamento mediante il test HPV-DNA.