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Quando si subisce una frattura di una vertebra, una delle prime domande che emergono è: quanti punti di invalidità vengono riconosciuti? La risposta non è univoca, perché “invalidità” può riferirsi a sistemi diversi (invalidità civile, menomazione da infortunio sul lavoro, danno biologico in ambito assicurativo) che utilizzano criteri e tabelle proprie. In ciascun sistema, il punteggio o la percentuale viene collegato non tanto all’evento acuto in sé, quanto alle sequele stabilizzate lasciate dalla frattura: dolore persistente, limitazioni funzionali, deformità, eventuali deficit neurologici e impatto sulle attività quotidiane.
Questa guida aiuta a orientarsi nella valutazione dell’invalidità per frattura vertebrale, chiarendo quali elementi clinici e strumentali pesano di più, come si ragiona in termini di punti o percentuali e perché punteggi apparentemente molto diversi possono essere tutti “corretti” a seconda dell’ambito di riferimento. L’obiettivo è offrire criteri pratici per capire cosa aspettarsi dalla valutazione medico-legale e come leggere un esito di accertamento, mantenendo un linguaggio comprensibile anche a chi non è del settore.
Valutazione dell’invalidità per frattura vertebrale
La colonna vertebrale è una struttura complessa: le vertebre proteggono il midollo spinale e consentono al tempo stesso sostegno e mobilità. Non tutte le fratture vertebrali sono uguali. Esistono fratture da compressione (tipiche dell’osteoporosi), fratture “a scoppio” (burst) da traumi ad alta energia, fratture-lussazioni con interessamento delle componenti posteriori e fratture patologiche su osso indebolito da altre malattie. La valutazione dell’invalidità tiene conto del tipo di frattura e, soprattutto, della sua “stabilità”: una frattura stabile e composta che guarisce senza alterare significativamente la forma della vertebra e la biomeccanica della colonna avrà, in genere, esiti meno invalidanti rispetto a una frattura instabile con crollo vertebrale, cifosi post-traumatica o compromissione del canale midollare. Un elemento cardinale è l’eventuale interessamento neurologico: dolore radicolare, deficit di forza o sensibilità, disturbi sfinterici o un quadro di mielopatia sono fattori che, se persistenti dopo la fase acuta, incrementano in modo rilevante il grado di menomazione.
Un secondo pilastro della valutazione è la quantificazione delle limitazioni funzionali residuali: dolore cronico nonostante le terapie, perdita di mobilità del tratto vertebrale interessato, rigidità, ridotta resistenza allo sforzo, alterazioni dell’assetto posturale e difficoltà nei gesti della vita quotidiana (alzarsi, vestirsi, salire le scale, sollevare pesi, mantenere posizioni sedute o in piedi prolungate). In ambito di invalidità civile, per esempio, la stima è espressa in percentuale e deriva dall’applicazione di tabelle che associano a specifici quadri clinici dei range percentuali. La frattura in sé non “vale” un punteggio fisso: è l’esito stabilizzato a contare. Così, un unico schiacciamento vertebrale con lieve cuneizzazione, senza dolore significativo né limitazioni nelle attività, comporta in genere un riconoscimento contenuto; viceversa, un esito con cifosi residua, dolore persistente e limitata capacità di flessione/estensione può collocarsi su un gradino superiore. La necessità di supporti (busto, ortesi), la comorbilità osteoporotica non compensata, o recidive di crolli vertebrali sono ulteriori indicatori di maggiore impatto funzionale.
Negli infortuni sul lavoro e nelle malattie professionali, la menomazione dell’integrità psicofisica è valutata con criteri specifici che esprimono una percentuale di menomazione permanente: anche qui il focus è sulle sequele stabilizzate e sull’impatto globale. In ambito assicurativo privato o di responsabilità civile, invece, si parla spesso di “punti di danno biologico”, talvolta con una scala che per le lesioni di minore entità utilizza pochi punti e, per quelle più gravi, percentuali più elevate. È per questo che molte persone chiedono “quanti punti per una frattura vertebrale?”: il linguaggio comune mescola sistemi diversi. Quel che non cambia è la logica medico-legale: alla maggiore compromissione anatomico-funzionale (e, soprattutto, all’eventuale danno neurologico), corrisponde un incremento del punteggio. Così, se una frattura guarita con modesti esiti può tradursi in pochi punti o in una percentuale bassa, esiti con dolore neuropatico, deficit di forza documentati, parestesie persistenti o instabilità segmentaria giustificano valori più alti. La correlazione clinico-strumentale è fondamentale: ciò che il paziente riferisce deve trovare riscontro nell’esame obiettivo e negli accertamenti.
Diversi fattori modulano il punteggio finale. La sede della frattura (cervicale, dorsale, lombare) incide sulla sintomatologia e sulle limitazioni: una frattura dorsale con marcata cifosi, ad esempio, può alterare la meccanica respiratoria e la postura; una frattura lombare può tradursi in dolore meccanico che limita obbligatoriamente le flessioni e il carico, con ripercussioni sul lavoro fisico. La numerosità delle vertebre coinvolte e l’eventuale contiguità delle lesioni amplificano il deficit complessivo. Gli interventi eseguiti (vertebroplastica o cifoplastica, stabilizzazione con viti e barre, artrodesi) non sono, di per sé, sinonimo di punteggio maggiore o minore: ciò che conta è l’esito funzionale dopo la chirurgia, cioè se l’intervento ha stabilizzato, ridotto il dolore e preservato la mobilità, oppure se persistono rigidità importanti, dolori, limitazioni o complicanze (pseudoartrosi, infezioni, fallimenti dell’impianto). Le immagini radiologiche forniscono elementi oggettivi (perdita di altezza del soma, cuneizzazione, riduzione dei diametri canalari, artrosi reattiva dei segmenti adiacenti), ma la traduzione in “punti” dipende da quanto queste alterazioni si ripercuotono sulla funzione e sulla qualità di vita.
Un altro aspetto cruciale è il fattore temporale: la valutazione si effettua quando i postumi sono considerati “stabilizzati”, cioè non sono previste ulteriori modifiche sostanziali con il progredire della guarigione o con la fisioterapia. Nelle fratture osteoporotiche non complicate, il consolidamento clinico avviene spesso entro pochi mesi, mentre nelle fratture complesse o trattate chirurgicamente la stabilizzazione può richiedere tempi più lunghi. Anticipare la valutazione può sottostimare il danno; al contrario, prolungarla inutilmente ritarda tutele e rimborsi. È importante inoltre distinguere tra ciò che è attribuibile direttamente alla frattura e ciò che dipende da condizioni preesistenti (es. scoliosi, spondiloartrosi, stenosi del canale). In ambito medico-legale, si parla di “concause” e di “pregressa menomazione”: la frattura può aggravare un quadro già compromesso, ma il punteggio finale tiene conto delle quote rispettive. L’età, infine, non influisce sul giudizio medico della menomazione in sé, ma può incidere sulla quantificazione economica in alcuni sistemi: ciò spiega perché, a parità di punti, l’indennizzo possa essere diverso.
Per farsi un’idea pragmatica: un esito di frattura vertebrale singola, stabile, senza deficit neurologici e con dolore controllato, che consente una vita autonoma e il ritorno alle attività abituali (pur con qualche cautela), tende a collocarsi su riconoscimenti bassi. Se la frattura lascia una deformità apprezzabile (cifosi), limita la mobilità, impone l’uso prolungato di un busto e mantiene un dolore che interferisce con lavoro e attività domestiche, il riconoscimento può salire su una fascia intermedia. Nei quadri più severi — fratture multiple o instabili, compromissione del canale con segni neurologici persistenti, necessità di stabilizzazione estesa e restrizioni significative dell’autonomia — la valutazione si orienta su gradi elevati. Queste non sono “regole matematiche”, ma esempi di come i vari tasselli clinici si compongono nel giudizio finale, che deve essere sempre motivato sulla base di documentazione clinica, esame obiettivo e coerenza radiologica.
Processo di riconoscimento
Il riconoscimento dell’invalidità civile per una frattura vertebrale segue un iter ben definito. Inizialmente, è necessario ottenere un certificato medico introduttivo dal proprio medico curante, che attesti la diagnosi e la natura delle infermità invalidanti. Questo certificato viene trasmesso telematicamente all’INPS, generando un codice univoco indispensabile per la successiva presentazione della domanda.
Una volta in possesso del codice, il richiedente può inoltrare la domanda di accertamento sanitario all’INPS, utilizzando i servizi online dell’Istituto o avvalendosi dell’assistenza di un patronato. Successivamente, l’INPS convoca il richiedente per una visita medico-legale presso la commissione medica competente, che valuterà la condizione clinica e determinerà la percentuale di invalidità riconosciuta.
In alcune regioni, l’accertamento medico è effettuato dall’ASL, mentre in altre è di competenza dell’INPS. È importante sottolineare che, in caso di impossibilità a presentarsi alla visita per motivi di salute, è possibile richiedere una visita domiciliare, previa certificazione medica che attesti l’intrasportabilità del paziente.
Documenti richiesti
Per avviare la procedura di riconoscimento dell’invalidità civile a seguito di una frattura vertebrale, è fondamentale presentare una documentazione completa e accurata. I principali documenti richiesti includono:
- Certificato medico introduttivo: rilasciato dal medico curante, attesta la diagnosi e la natura delle infermità invalidanti. Questo certificato deve essere trasmesso telematicamente all’INPS.
- Documento d’identità e codice fiscale: copie valide e leggibili del documento d’identità e del codice fiscale del richiedente.
- Documentazione sanitaria aggiuntiva: referti medici, esami diagnostici e qualsiasi altro documento che possa supportare la richiesta, dimostrando la gravità della condizione e il suo impatto sulla vita quotidiana.
- Modulo di domanda: compilato e firmato, disponibile sul sito dell’INPS o presso gli uffici competenti.
In caso di richiesta di aggravamento, è necessario presentare ulteriore documentazione sanitaria che attesti il peggioramento del quadro clinico preesistente, oltre al verbale di prima istanza di riconoscimento di invalidità.
Consigli utili
Affrontare il processo di riconoscimento dell’invalidità civile può risultare complesso. Ecco alcuni consigli utili per agevolare l’iter:
- Preparare una documentazione completa: assicurarsi che tutti i documenti richiesti siano aggiornati, completi e leggibili. Una documentazione accurata facilita la valutazione da parte della commissione medica.
- Richiedere assistenza: avvalersi del supporto di patronati o associazioni specializzate può semplificare la procedura e garantire che ogni passaggio venga eseguito correttamente.
- Conservare copie di tutta la documentazione: mantenere una copia di tutti i documenti inviati e ricevuti durante il processo, per eventuali future necessità o chiarimenti.
- Monitorare lo stato della domanda: utilizzare i servizi online dell’INPS per verificare lo stato di avanzamento della propria richiesta e ricevere eventuali comunicazioni.
Seguendo attentamente questi passaggi e consigli, è possibile affrontare con maggiore serenità il percorso per il riconoscimento dell’invalidità civile a seguito di una frattura vertebrale.
Per approfondire
INPS – Invalidità civile: come presentare domanda – Guida ufficiale dell’INPS sulla procedura per richiedere l’invalidità civile.
Ministero della Salute – Disabilità e invalidità civile – Informazioni istituzionali sulle procedure e i diritti relativi all’invalidità civile.
