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Quando si subisce una frattura della tibia e/o del perone, una delle prime domande riguarda la percentuale di invalidità che può essere riconosciuta. La risposta non è un numero fisso: dipende dalla tipologia della frattura, dal coinvolgimento delle articolazioni vicine (ginocchio e caviglia), dal trattamento eseguito, dalle eventuali complicanze e soprattutto dalle sequele funzionali che rimangono a guarigione avvenuta (dolore cronico, limitazione del movimento, zoppia, deficit neurologici). In ambito medico-legale si ragiona in termini di menomazione e danno biologico, riferendosi a scale e tabelle che stimano la compromissione dell’integrità psico-fisica sulla base di criteri clinici standardizzati.
Per orientarsi, è utile comprendere come i medici e i medici-legali classificano le fratture della gamba e perché alcune lesioni comportano un impatto funzionale maggiore di altre. Questo passaggio è decisivo per comprendere le percentuali di invalidità: fratture articolari, esposte, instabili o complicate tendono a lasciare esiti più rilevanti rispetto a fratture stabili, extra-articolari e trattate senza complicazioni. In questa guida iniziamo dalla classificazione clinica, per poi collegarla al percorso valutativo e ai documenti che tipicamente vengono richiesti dalle commissioni preposte al riconoscimento dell’invalidità.
Tipologie di Frattura della Tibia e del Perone
Tibia e perone formano l’impalcatura della gamba, con ruoli biomeccanici diversi: la tibia sostiene la maggior parte del carico, il perone contribuisce alla stabilità laterale e alla funzione della caviglia. Le fratture possono derivare da traumi ad alta energia (incidenti stradali, sport ad alto impatto) o a bassa energia (cadute banali in persone con osteoporosi), oppure da stress ripetuti nei soggetti molto attivi. Una prima distinzione fondamentale è quella tra fratture chiuse (cute integra) e fratture esposte, in cui la comunicazione con l’esterno aumenta drasticamente il rischio di infezione e complicanze a carico dei tessuti molli. Un altro criterio base riguarda lo spostamento dei frammenti: fratture composte, con allineamento conservato, tendono a guarire più rapidamente e con minori sequele rispetto a fratture scomposte o instabili, dove l’asse e la rotazione dell’arto risultano alterati.
La classificazione considera anche la sede: porzione prossimale (vicino al ginocchio), diafisi (il “corpo” della tibia e del perone) e porzione distale (vicino alla caviglia). Per ciascuna sede si distinguono poi il tracciato della rima di frattura (trasversa, obliqua, spiroidale), le fratture comminute (con frammenti multipli) e le fratture segmentarie. Importante è la distinzione tra fratture extra-articolari e intra-articolari: queste ultime coinvolgono la superficie del ginocchio (piattaforma tibiale) o della caviglia (pilon tibiale, malleoli) e sono spesso associate a esiti come rigidità, dolore e artrosi post-traumatica. Infine, è utile ricordare la differenza concettuale tra frattura (interruzione dell’integrità ossea) e lussazione (perdita dei rapporti articolari), due quadri che richiedono approcci diversi e che, se coesistono, peggiorano la prognosi funzionale. Differenza tra frattura e lussazione della spalla
Le fratture della porzione prossimale della tibia, in particolare le fratture della piattaforma tibiale, hanno un impatto clinico spesso importante perché interessano direttamente il ginocchio. L’eventuale depressione o schiacciamento della cartilagine articolare può alterare la congruenza del ginocchio e predisporre ad artrosi precoce, con dolore alla deambulazione, instabilità e riduzione dell’escursione articolare. In queste fratture è frequente il danno associato ai legamenti crociati e collaterali o ai menischi, che peggiora la stabilità del ginocchio e la ripresa funzionale. Anche il perone prossimale può rompersi (testa del perone), con possibile coinvolgimento del nervo peroneo comune: un deficit di dorsiflessione del piede (steppage) comporta un’alterazione marcata del passo e, quando persiste, può avere un peso significativo nella quantificazione dell’invalidità.

Le fratture diafisarie della tibia e del perone sono tra le più comuni e sono spesso conseguenza di traumi diretti. La tibia, essendo subcutanea su gran parte del suo decorso, è esposta a danni dei tessuti molli; nelle fratture esposte il rischio di infezione, ritardo di consolidazione o pseudoartrosi è rilevante. La stabilità del focolaio, il grado di spostamento e la qualità dell’allineamento dopo la riduzione (asse, rotazione, lunghezza) sono determinanti per l’esito: un malallineamento residuo (varo/valgo, rotazione esterna/interna) può tradursi in zoppia, sovraccarico articolare a ginocchio e caviglia e dolore da carico. Dal punto di vista terapeutico, le fratture diafisarie vengono trattate con immobilizzazione in gesso nei casi stabili e composti, oppure con chirurgia (chiodo endomidollare, placca e viti, fissatore esterno) quando necessaria. Il tempo di consolidazione varia in funzione dell’età, della qualità ossea e della stabilità della sintesi; ritardi significativi di guarigione, infezioni osteo-articolari o sindrome compartimentale possono lasciare sequele funzionali che incidono sulla valutazione medico-legale.
Nella porzione distale, le fratture del pilone tibiale e le fratture malleolari coinvolgono direttamente la congruenza della caviglia. Le lesioni articolari complesse, spesso comminute e con danno dei legamenti (in particolare della sindesmosi tibio-peroneale), richiedono un ripristino anatomico molto accurato; esiti come rigidità, limitazione della dorsiflessione/plantarflessione e dolore residuo sotto carico sono non rari e possono condizionare la marcia su terreni irregolari, la corsa e le attività lavorative che implicano stazione eretta prolungata. Le fratture isolate del perone distale, se stabili e senza perdita dell’allineamento della caviglia, hanno in genere prognosi migliore, ma quando associate a lesioni della sindesmosi o a fratture della tibia distale l’impatto funzionale aumenta sensibilmente. Nei soggetti anziani, fragilità ossea e comorbilità favoriscono fratture a bassa energia con rischio di recupero più lento; nei più giovani e negli atleti, possono comparire fratture da stress della tibia o del perone, che se trascurate evolvono in fratture complete e tempi di recupero più lunghi. Anche l’età pediatrica presenta peculiarità (fratture a legno verde, coinvolgimento delle cartilagini di accrescimento) che, se non trattate correttamente, possono comportare disturbi dell’asse o della crescita e, in alcuni casi, residui funzionali significativi.
Percentuali di Invalidità Riconosciute
La percentuale di invalidità non viene attribuita alla “frattura” in sé, bensì agli esiti anatomo-funzionali che permangono una volta raggiunta la guarigione clinico-radiografica. Incidono in modo determinante la sede (prossimale, diafisaria, distale), il carattere extra- o intra-articolare, lo spostamento e la stabilità, la correttezza del riallineamento, il coinvolgimento dei tessuti molli (cutanei, muscolari, legamentosi), l’eventuale danno neurologico e la presenza di dolore e limitazioni del movimento che interferiscono con la deambulazione e le attività quotidiane.
A titolo orientativo, esiti minimi dopo fratture extra-articolari composte e ben consolidate, con assi conservati, articolarità completa e assenza di dolore significativo, comportano in genere valutazioni nulle o contenute entro pochi punti percentuali. In caso di fratture scomposte o trattate chirurgicamente con buon riallineamento ma con lieve dolore sotto carico, modesta limitazione articolare o zoppia lieve, i valori tendono a collocarsi nella fascia bassa a una cifra. Quando la lesione interessa superfici articolari del ginocchio (piattaforma tibiale) o della caviglia (pilon, malleoli) e residuano incongruenza, rigidità o instabilità, le percentuali diventano più consistenti, spesso a doppia cifra, soprattutto in presenza di artrosi post-traumatica documentata.
Fattori aggravanti che spostano la valutazione su livelli più elevati includono malallineamenti residui (varo/valgo, rotazioni, accorciamento), pseudoartrosi o ritardo di consolidazione, infezioni osteo-articolari, algoneurodistrofia (CRPS), esiti di sindrome compartimentale, necessità di ausili alla deambulazione o ortesi, deficit del nervo peroneo con piede cadente e artrodesi di caviglia. Anche la dismetria clinicamente significativa e le lesioni combinate tibia-perone con danno legamentoso o meniscale contribuiscono ad aumentare la stima.
È utile ricordare che sistemi e tabelle valutative possono differire in funzione del contesto (invalidità civile, infortuni sul lavoro, responsabilità civile), pur condividendo l’impostazione clinico-funzionale. La percentuale finale sintetizza il grado di menomazione permanente e le sue ripercussioni sulle attività abituali; la componente temporanea (periodi di inabilità durante la guarigione) viene valutata separatamente. La coerenza tra sintomi riferiti, obiettività clinica, documentazione iconografica e andamento terapeutico è l’elemento cardine che orienta la decisione della commissione.
Iter di Valutazione
Il processo di valutazione dell’invalidità per una frattura di tibia e perone inizia con la presentazione di una domanda all’INPS. Questa domanda deve essere corredata da una dettagliata documentazione medica che attesti la diagnosi, la gravità dell’infortunio e le eventuali conseguenze permanenti. Una volta ricevuta la domanda, l’INPS può richiedere una visita medica presso una commissione sanitaria per valutare l’effettiva entità del danno.
Durante la visita, la commissione esamina la documentazione fornita e può effettuare ulteriori accertamenti clinici. L’obiettivo è determinare la percentuale di invalidità permanente, basandosi su tabelle di riferimento che associano specifiche menomazioni a determinati punteggi. Ad esempio, una frattura biossea composta di tibia e perone può essere valutata con un’invalidità del 5%, mentre una frattura scomposta può raggiungere il 6% (adism.it).
È importante sottolineare che la valutazione tiene conto non solo della lesione in sé, ma anche delle sue ripercussioni sulla capacità lavorativa e sulla qualità della vita del richiedente. Pertanto, condizioni come limitazioni funzionali, dolore cronico o difficoltà nella deambulazione possono influenzare significativamente la percentuale di invalidità riconosciuta.
Documentazione Necessaria
Per avviare la pratica di riconoscimento dell’invalidità, è fondamentale presentare una documentazione completa e accurata. Questa include:
- Certificato medico: un documento rilasciato dal medico curante che attesti la diagnosi, la data dell’infortunio e il decorso clinico.
- Referti diagnostici: copia di esami strumentali come radiografie, risonanze magnetiche o TAC che evidenzino la frattura e il suo stato di guarigione.
- Cartelle cliniche: documentazione relativa a eventuali ricoveri ospedalieri, interventi chirurgici e terapie effettuate.
- Relazioni specialistiche: valutazioni di medici specialisti, come ortopedici o fisiatri, che descrivano le conseguenze funzionali dell’infortunio.
- Documentazione lavorativa: se l’infortunio ha avuto ripercussioni sull’attività lavorativa, è utile fornire attestati del datore di lavoro riguardanti assenze, riduzione dell’orario o cambiamenti di mansione.
Una documentazione dettagliata e ben organizzata facilita il processo di valutazione e aumenta le probabilità di ottenere un riconoscimento adeguato dell’invalidità.
Suggerimenti per la Domanda
Per aumentare le possibilità di successo nella richiesta di riconoscimento dell’invalidità, è consigliabile:
- Consultare un medico legale: un professionista esperto può fornire una valutazione preliminare del danno e assistere nella preparazione della documentazione necessaria.
- Raccogliere testimonianze: se l’infortunio è avvenuto in circostanze particolari, come un incidente stradale o sul lavoro, le dichiarazioni di testimoni possono supportare la richiesta.
- Seguire le indicazioni terapeutiche: dimostrare di aver seguito scrupolosamente le terapie prescritte evidenzia la serietà con cui si affronta il percorso di guarigione.
- Presentare la domanda tempestivamente: rispettare i termini previsti per la presentazione della domanda evita ritardi o possibili decadenze dei diritti.
- Mantenere copie di tutta la documentazione: conservare duplicati di ogni documento inviato o ricevuto permette di avere un archivio completo in caso di necessità.
Seguendo questi suggerimenti, si può affrontare con maggiore serenità l’iter burocratico e aumentare le probabilità di ottenere un riconoscimento adeguato dell’invalidità.
In conclusione, la frattura di tibia e perone può comportare conseguenze significative sulla qualità della vita e sulla capacità lavorativa. È quindi fondamentale conoscere l’iter per il riconoscimento dell’invalidità, preparare accuratamente la documentazione necessaria e seguire i consigli pratici per presentare una domanda efficace. Un approccio informato e proattivo può fare la differenza nel percorso di riconoscimento dei propri diritti.
Per approfondire
INPS – Invalidità Civile: Pagina ufficiale dell’INPS che fornisce informazioni dettagliate sulle procedure per il riconoscimento dell’invalidità civile.
Ministero della Salute – Disabilità: Sezione dedicata alle tematiche relative alla disabilità, con normative e linee guida aggiornate.
Istituto Superiore di Sanità: Ente di ricerca che offre pubblicazioni scientifiche e aggiornamenti sulle patologie ortopediche e le relative implicazioni.
Società Italiana di Chirurgia della Mano: Associazione scientifica che fornisce risorse e linee guida sulle fratture degli arti superiori e inferiori.
Associazione Italiana Fisioterapisti: Sito ufficiale con informazioni sulle terapie riabilitative post-frattura e consigli per il recupero funzionale.
