Quali sono i betabloccanti e i loro nomi commerciali?

Panoramica sui betabloccanti: definizione, principali molecole, nomi commerciali, indicazioni terapeutiche e effetti collaterali, con differenze di selettività β1, ISA, vasodilatazione e profili farmacocinetici.

I betabloccanti sono una famiglia di farmaci cardine in cardiologia e in altri ambiti clinici, utilizzati da decenni per ridurre lo stress del sistema cardiovascolare e prevenire eventi avversi. Nonostante il termine sia familiare a molti pazienti, dietro questa etichetta esiste un insieme eterogeneo di molecole con proprietà farmacologiche e profili clinici differenti. Comprendere cos’è un betabloccante, come agisce e perché non tutti i betabloccanti sono intercambiabili aiuta a interpretare correttamente le prescrizioni, a riconoscere benefici e limiti e a impostare aspettative realistiche sulla terapia.

Questa guida illustra in modo chiaro e rigoroso cosa sono i betabloccanti, come si classificano e quali caratteristiche ne determinano l’impiego nelle diverse condizioni, dal controllo della frequenza cardiaca all’ipertensione, dall’angina all’insufficienza cardiaca. Nelle sezioni successive entreremo nel dettaglio delle singole molecole, dei nomi commerciali e delle principali indicazioni, con un linguaggio comprensibile ma attento agli aspetti clinicamente rilevanti. Le informazioni hanno finalità educative e non sostituiscono il parere del medico o del farmacista.

Cosa sono i betabloccanti

I betabloccanti (o bloccanti dei recettori beta-adrenergici) sono farmaci che antagonizzano l’azione delle catecolamine endogene, in particolare adrenalina e noradrenalina, sui recettori beta presenti in vari tessuti. I recettori beta si distinguono in tre sottotipi principali: β1, prevalentemente localizzati a livello cardiaco e dell’apparato iuxtaglomerulare renale; β2, distribuiti in bronchi, vasi sanguigni, utero e fegato; β3, coinvolti soprattutto nel tessuto adiposo e nel metabolismo. Bloccando i recettori β1, i betabloccanti riducono la frequenza cardiaca (effetto cronotropo negativo), la forza di contrazione miocardica (effetto inotropo negativo) e la velocità di conduzione atrioventricolare (effetto dromotropo negativo), con conseguente riduzione della richiesta di ossigeno del miocardio e del consumo energetico. Inoltre, inibendo il rilascio di renina nel rene, contribuiscono a modulare il sistema renina-angiotensina-aldosterone, con effetti antipertensivi aggiuntivi. Queste azioni spiegano gran parte dei benefici clinici osservati in patologie come coronaropatia, aritmie e ipertensione.

Non tutti i betabloccanti agiscono allo stesso modo su tutti i recettori: alcuni sono relativamente selettivi per i recettori β1 (detti “cardioselettivi”), mentre altri sono non selettivi e bloccano sia β1 che β2. La cardioselettività è clinicamente importante perché a dosi terapeutiche può ridurre il rischio di broncocostrizione e vasospasmo periferico: questo rende i betabloccanti β1-selettivi di preferenza in pazienti con malattie respiratorie ostruttive, benché la selettività sia dose-dipendente e non assoluta. Al contrario, i betabloccanti non selettivi possono avere impieghi specifici laddove il blocco β2 conferisce vantaggi, ad esempio nella profilassi di varici esofagee o nel tremore essenziale. La scelta della molecola, quindi, non è meramente teorica ma incide in modo concreto sull’efficacia e sulla tollerabilità in base al profilo clinico del singolo paziente e alle comorbidità presenti.

Oltre alla selettività recettoriale, altri attributi discriminano le diverse molecole: alcuni betabloccanti possiedono attività simpaticomimetica intrinseca (ISA), cioè una parziale attività agonista pur bloccando i recettori. L’ISA tende a determinare una minore riduzione della frequenza cardiaca a riposo e può essere utile in persone che sviluppano bradicardia significativa o intolleranza alla fatigue con i betabloccanti “puri”. D’altro canto, nelle situazioni in cui è ricercata la massima protezione anti-ischemica o una netta riduzione di frequenza (come nell’angina stabile o nel post-infarto), i farmaci senza ISA sono spesso preferiti. Un altro elemento distintivo è la presenza di proprietà vasodilatatrici: alcuni betabloccanti, infatti, associano al blocco β un’azione vasodilatante mediata da blocco α1 o da rilascio di ossido nitrico endoteliale, con potenziale beneficio ulteriore sul profilo pressorio e sulla rigidità arteriosa. Queste differenze farmacodinamiche guidano la scelta in base a obiettivi terapeutici, tollerabilità e condizioni concomitanti come disfunzione erettile, fenomeno di Raynaud o emicrania.

La farmacocinetica contribuisce significativamente a definire la “personalità” clinica dei betabloccanti. Le molecole lipofile attraversano più facilmente la barriera emato-encefalica e possono dare effetti centrali (ad esempio sogni vividi o stanchezza), ma hanno anche una maggiore variabilità interindividuale per il metabolismo epatico, spesso mediato da specifici citocromi. I betabloccanti idrofili tendono ad avere una distribuzione più periferica, con eliminazione renale e minori effetti centrali, ma richiedono attenzione in caso di ridotta funzione renale. L’emivita varia ampiamente: alcuni farmaci necessitano di somministrazioni multiple o formulazioni a rilascio prolungato per mantenere un effetto costante sulle 24 ore, mentre altri hanno emivita molto breve e sono impiegati per via endovenosa in contesti acuti, dove la titolazione rapida e la reversibilità dell’effetto sono cruciali. Le interazioni farmacologiche non sono tutte uguali per l’intera classe: in particolare, i betabloccanti metabolizzati da specifici enzimi possono subire alterazioni di concentrazione in presenza di inibitori o induttori, con conseguenze su frequenza cardiaca e pressione. Anche la co-somministrazione con altri farmaci bradicardizzanti o che rallentano la conduzione AV richiede cautela.

Dal punto di vista clinico, i betabloccanti sono strumenti modulabili che vanno iniziati e titolati con gradualità, monitorando frequenza cardiaca, pressione arteriosa e segni di intolleranza. La sospensione improvvisa, specialmente dopo uso prolungato, può scatenare fenomeni di rebound con aumento di frequenza, ipertensione o ricomparsa di angina: per questo si raccomanda una riduzione progressiva della dose. È importante sottolineare che non tutte le indicazioni sono condivise da tutte le molecole: ad esempio, nella terapia dell’insufficienza cardiaca con frazione di eiezione ridotta l’evidenza robusta riguarda specifici betabloccanti, mentre altri non hanno mostrato lo stesso beneficio prognostico. In parallelo, alcune molecole trovano impiego privilegiato in condizioni extraccardiache come emicrania, tremore o ipertiroidismo. Conoscere queste sfumature consente di allineare le caratteristiche del farmaco agli obiettivi terapeutici, ottimizzando efficacia e sicurezza e ponendo le basi per comprendere, nelle prossime sezioni, quali molecole sono più utilizzate e con quali nomi commerciali sono disponibili.

Elenco dei principali betabloccanti

Tra i betabloccanti β1-selettivi, ampiamente impiegati in pratica clinica, rientrano bisoprololo, metoprololo (nelle formulazioni tartrato e succinato a rilascio prolungato), atenololo, nebivololo e betaxololo. La prevalente azione su β1 li rende generalmente meglio tollerati a livello broncopolmonare; le differenze di emivita e di lipofilia spiegano la scelta tra somministrazioni una volta/die e più volte al giorno.

Fra i non selettivi (blocco β1 e β2) si annoverano propranololo, nadololo e timololo. Propranololo è tradizionalmente utilizzato anche per indicazioni extraccardiache come emicrania e tremore essenziale, mentre nadololo è impiegato, insieme al propranololo, nella profilassi dell’ipertensione portale e del sanguinamento da varici esofagee; il timololo trova largo impiego in formulazione oftalmica. Sotalolo, pur appartenendo ai betabloccanti, esercita anche un marcato effetto antiaritmico di classe III.

Alcune molecole associano al blocco β un effetto vasodilatante: carvedilolo combina antagonismo β con blocco α1, labetalolo è frequentemente usato in ambito ipertensivo acuto, mentre nebivololo promuove il rilascio di ossido nitrico endoteliale. Queste caratteristiche possono risultare utili quando si desidera un maggior impatto sulla resistenza vascolare periferica o un profilo metabolico più favorevole.

Esistono infine betabloccanti con caratteristiche peculiari: pindololo e acebutololo presentano attività simpaticomimetica intrinseca, riducendo la bradicardizzazione a riposo; esmololo e landiololo, a emivita molto breve, sono somministrati per via endovenosa per il controllo rapido della frequenza in contesti acuti. Le differenze di farmacocinetica (ad esempio propranololo più lipofilo rispetto ad atenololo, nadololo o sotalolo più idrofili) contribuiscono a modulare effetti centrali, eliminazione e interazioni.

Nomi commerciali

I betabloccanti sono commercializzati sotto vari nomi, a seconda del principio attivo e del produttore. Ecco alcuni esempi:

  • Propranololo: Inderal®
  • Metoprololo: Lopresor®, Seloken®
  • Atenololo: Tenormin®
  • Bisoprololo: Concor®, Cardicor®
  • Carvedilolo: Dilatrend®
  • Nadololo: Corgard®
  • Timololo: Blocadren® (uso sistemico), Timoptic® (uso oftalmico)

È importante notare che la disponibilità dei nomi commerciali può variare in base al paese e al produttore. Inoltre, molti di questi farmaci sono disponibili anche in formulazioni generiche, che contengono lo stesso principio attivo ma possono avere nomi diversi.

Indicazioni terapeutiche

I betabloccanti sono utilizzati per trattare una varietà di condizioni mediche, principalmente legate al sistema cardiovascolare. Le principali indicazioni terapeutiche includono:

  • Ipertensione arteriosa: I betabloccanti riducono la pressione sanguigna diminuendo la frequenza e la forza delle contrazioni cardiache.
  • Angina pectoris: Aiutano a prevenire gli attacchi di angina riducendo il lavoro del cuore e il suo bisogno di ossigeno.
  • Aritmie cardiache: Sono efficaci nel controllare ritmi cardiaci anormali, come la fibrillazione atriale.
  • Insufficienza cardiaca: In alcuni casi, i betabloccanti migliorano la funzione cardiaca e aumentano la sopravvivenza.
  • Prevenzione dell’infarto miocardico: Possono ridurre il rischio di ulteriori attacchi di cuore in pazienti che ne hanno già avuto uno.
  • Emicrania: Alcuni betabloccanti sono utilizzati per prevenire gli attacchi di emicrania.
  • Ansia: Possono essere prescritti per gestire i sintomi fisici dell’ansia, come il tremore e la tachicardia.
  • Glaucoma: Il timololo, in forma di collirio, è utilizzato per ridurre la pressione intraoculare nel trattamento del glaucoma.

La scelta di utilizzare un betabloccante per una specifica condizione dipende da vari fattori, tra cui le caratteristiche del paziente, la presenza di altre condizioni mediche e le proprietà specifiche del farmaco.

Effetti collaterali

Come tutti i farmaci, i betabloccanti possono causare effetti collaterali. La loro incidenza e gravità variano in base al tipo di betabloccante, alla dose e alla sensibilità individuale del paziente. Gli effetti collaterali più comuni includono:

  • Bradicardia: Rallentamento del battito cardiaco, che può causare vertigini o svenimenti.
  • Ipotensione: Pressione sanguigna bassa, che può portare a sensazione di debolezza o capogiri.
  • Affaticamento: Sensazione di stanchezza o mancanza di energia.
  • Disturbi del sonno: Insonnia o sogni vividi.
  • Freddo alle estremità: Mani e piedi freddi a causa della ridotta circolazione periferica.
  • Broncospasmo: Restringimento delle vie aeree, particolarmente in pazienti con asma o malattie polmonari ostruttive croniche.
  • Disfunzione sessuale: Problemi di erezione o riduzione della libido.

È fondamentale che i pazienti informino il proprio medico di eventuali effetti collaterali riscontrati durante la terapia con betabloccanti. In alcuni casi, potrebbe essere necessario modificare la dose o cambiare farmaco. Inoltre, la sospensione improvvisa dei betabloccanti può causare effetti di rimbalzo, come un aumento della pressione sanguigna o della frequenza cardiaca; pertanto, qualsiasi modifica al trattamento dovrebbe essere effettuata sotto stretta supervisione medica.

In conclusione, i betabloccanti rappresentano una classe di farmaci ampiamente utilizzata per il trattamento di diverse condizioni cardiovascolari e non solo. La loro efficacia e sicurezza dipendono da una corretta selezione del farmaco, da un dosaggio appropriato e da un attento monitoraggio degli effetti collaterali. È essenziale che i pazienti seguano le indicazioni del proprio medico e comunichino qualsiasi problema o dubbio riguardante la terapia.

Per approfondire

I beta bloccanti: cosa sono e perché usarli – ISSalute
Una panoramica completa sui betabloccanti, le loro indicazioni e precauzioni d’uso.

Farmaci betabloccanti – AIFA
Informazioni ufficiali sui betabloccanti fornite dall’Agenzia Italiana del Farmaco.

Betabloccanti – Società Italiana di Cardiologia
Dettagli sull’uso dei betabloccanti nel trattamento delle malattie cardiovascolari.

Betabloccanti: cosa sono e come funzionano – Fondazione Veronesi
Articolo divulgativo che spiega il meccanismo d’azione e le applicazioni dei betabloccanti.

Betabloccanti – Humanitas
Informazioni sui betabloccanti, le loro indicazioni e possibili effetti collaterali.