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Tra le molte domande che i pazienti con fibrillazione atriale si pongono, il rapporto con il caffè è tra le più frequenti. In Italia il caffè è un’abitudine culturale oltre che un piacere quotidiano, ma la presenza di un’aritmia fa emergere dubbi legittimi: il caffè può scatenare palpitazioni? Esiste una quantità “sicura”? Conta il tipo di preparazione (espresso, moka, filtro) o l’orario in cui lo si beve? Rispondere in modo utile richiede di distinguere tra gli effetti della caffeina sul cuore, la sensibilità individuale e il contesto clinico di ciascuno (età, comorbidità, terapia).
Questa guida offre un quadro chiaro e bilanciato sugli effetti del caffè in presenza di fibrillazione atriale, con linguaggio accessibile ma attenzione clinica. Nei prossimi passaggi analizzeremo come la caffeina agisce sul sistema cardiovascolare, perché alcune persone percepiscono un peggioramento dei sintomi dopo il caffè, cosa suggeriscono i dati osservazionali sulla sicurezza del consumo moderato e quali fattori possono aumentare il rischio di episodi aritmici. L’obiettivo è fornire informazioni affidabili per orientare scelte consapevoli nella vita di tutti i giorni.
Effetti del caffè sulla fibrillazione atriale
La fibrillazione atriale (FA) è caratterizzata da un’attività elettrica caotica negli atri, con conduzione irregolare ai ventricoli: il risultato è un battito “disordinato” che può essere più o meno rapido, causa palpitazioni, affanno, riduzione della performance fisica e, nel lungo periodo, aumento del rischio tromboembolico. Gli episodi possono essere parossistici (a intermittenza), persistenti o permanenti. Al di là dei meccanismi di base, è noto che vari “trigger” possono facilitare l’insorgenza di un episodio in persone predisposte: stress psico-fisico, abuso di alcol, deprivazione di sonno, febbre, disidratazione, esercizio intenso, scosse adrenergiche. Il caffè rientra spesso tra i sospettati perché contiene caffeina, una sostanza psicoattiva con effetti acuti sul sistema nervoso e cardiovascolare. Tuttavia, l’effetto del caffè sulla FA non è univoco: dipende dalla dose, dal timing di assunzione, dal profilo del paziente e dal tipo di preparazione.
La caffeina agisce principalmente come antagonista dei recettori dell’adenosina (A1 e A2A), bloccando un mediatore che normalmente promuove rilassamento vascolare e “freno” sulla conduzione cardiaca. Questo si traduce in aumento della vigilanza, lieve incremento della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa in soggetti non abituati, e in una maggiore disponibilità di catecolamine (effetto “adrenergico” contenuto). In parallelo, la caffeina può influenzare l’eccitabilità delle cellule miocardiche tramite modulazioni del calcio intracellulare, fattore che, a dosi elevate o in persone sensibili, può favorire battiti ectopici atriali, potenziali inneschi di FA. Anche la quantità ingerita conta: una tazzina di espresso tipicamente contiene 60–90 mg di caffeina, una tazza di moka 70–100 mg, il caffè filtro 120–200 mg; il decaffeinato ne contiene poche tracce (di solito 2–5 mg per porzione), mentre tè, energy drink e alcune bibite possono aggiungere ulteriore carico di caffeina. Per inquadrare al meglio il peso complessivo della FA sulla salute, incluso l’orizzonte temporale della condizione, può essere utile esplorare anche il tema di quanti anni si può vivere con la fibrillazione atriale
Dal punto di vista clinico, molte evidenze suggeriscono che un consumo moderato di caffè non sia associato a un incremento significativo dell’incidenza di FA nella popolazione generale, e in alcuni contesti si osservano addirittura segnali neutri o potenzialmente favorevoli. Questo dato, apparentemente controintuitivo, può avere diverse spiegazioni: la tolleranza che si sviluppa con l’uso regolare (gli effetti emodinamici si attenuano nei consumatori abituali), la presenza nel caffè di composti non caffeinici (come polifenoli) con effetti antiossidanti e modulanti sull’endotelio, e il fatto che la caffeina, a dosi moderate, può avere un impatto meno marcato di altri trigger quotidiani spesso sottovalutati (come deficit di sonno o stati di stress acuti). Detto questo, a livello individuale possono emergere risposte molto diverse: alcuni pazienti riferiscono chiaramente un aumento di palpitazioni dopo il caffè, soprattutto se assunto a stomaco vuoto o in rapida sequenza; altri non rilevano alcun cambiamento o, paradossalmente, notano che una piccola quantità aiuta a percepire meglio i propri ritmi e a mantenere routine regolari.

Un aspetto chiave è la “finestra” di suscettibilità. Nelle forme di FA con predominanza adrenergica, tipicamente legate a sforzo, stress o mattinate frenetiche, la caffeina assunta in concomitanza può sommarsi allo stimolo simpatico e facilitare extrasistoli atriali. Viceversa, nelle forme cosiddette vagali (più frequenti a riposo, dopo i pasti, la sera o di notte), la caffeina può avere un ruolo meno prevedibile: talvolta sembra ridurre la vulnerabilità legata all’eccesso di tono vagale, altre volte, favorendo il reflusso gastroesofageo o aumentando la sensibilità esofagea, può indurre riflessi vagali che agiscono da innesco. Conta anche l’orario di assunzione: caffè consumato nelle ore tarde può peggiorare la qualità del sonno o ridurre la durata delle fasi profonde; il deficit di sonno, a sua volta, è un trigger indipendente di episodi aritmici. Ecco perché persone con FA che tollerano bene il caffè al mattino possono invece sperimentare palpitazioni dopo una dose serale, pur a parità di milligrammi.
La preparazione del caffè e il “contesto metabolico” aggiungono ulteriori variabili. Un espresso singolo, bevuto lentamente dopo la colazione, comporta un picco di caffeina relativamente contenuto e più gestibile, mentre due o tre caffè ravvicinati a digiuno possono determinare un rapido incremento delle concentrazioni plasmatiche, con potenziali sintomi di iperstimolazione (palpitazioni, ansia, tremori). Il caffè filtro, proprio per il maggior contenuto di caffeina a tazza, può “caricare” di più, specie se consumato in grandi volumi. Il cappuccino ha un contenuto di caffeina simile all’espresso su cui è preparato; il latte non neutralizza la caffeina, ma può rallentarne lievemente l’assorbimento. Infine, abitudini concomitanti – come una scarsa idratazione, un pasto molto abbondante e ricco di carboidrati semplici, o l’assunzione di alcol – possono modulare la risposta elettrofisiologica degli atri e rendere più probabile la comparsa di extrasistoli dopo il caffè. In sintesi: non è solo “quanto” caffè, ma “come” e “quando”.
Va considerato anche il profilo farmacologico e comorbido. La caffeina può attenuare gli effetti di farmaci che agiscono sui recettori dell’adenosina impiegati in ambito diagnostico; non ha interazioni clinicamente rilevanti con gli anticoagulanti orali di uso comune, ma dosi elevate possono aumentare transitoriamente pressione arteriosa e frequenza cardiaca, peggiorando il controllo dei sintomi in chi ha ipertensione non ben gestita o tachiaritmie rapide. Un terreno fertile per palpitazioni dopo il caffè è l’associazione con altre sostanze stimolanti (energy drink, integratori pre-workout, nicotina), o con uno stato d’ansia sottostante che amplifica la percezione dei battiti. Per chi convive con la FA, può essere utile un diario semplice di correlazione tra assunzione di caffè, orario, modalità (espresso/moka/filtro), attività svolta, qualità del sonno e sintomi nelle ore successive: spesso, nel giro di poche settimane, emergono pattern personali che aiutano a definire una “zona di tolleranza” più affidabile delle regole generiche.
Quanti caffè si possono bere al giorno?
Non esiste un numero “giusto per tutti”, perché la tolleranza alla caffeina varia e la suscettibilità agli inneschi aritmici è personale. In generale, nella popolazione sana il consumo moderato è spesso ben tollerato; nelle persone con fibrillazione atriale è prudente orientarsi su quantità contenute e osservare con attenzione la risposta individuale. Per molti, 1–2 caffè al giorno, preferibilmente dopo i pasti, non comportano variazioni percepibili dei sintomi; altri possono tollerarne 3 se ben distanziati.
Traducendo i milligrammi in tazze: un espresso fornisce in media 60–90 mg di caffeina, la moka 70–100 mg e il filtro 120–200 mg a tazza. Questo significa che 2 espressi al giorno corrispondono indicativamente a 120–180 mg, mentre una tazza di filtro può avvicinarsi da sola a quella soglia. È importante considerare anche le altre fonti (tè, cola, energy drink, cioccolato) che sommano caffeina al totale giornaliero.
Oltre al “quanto” conta il “come”: dosi singole elevate o più caffè ravvicinati, specialmente a digiuno, aumentano il picco plasmatico e possono favorire palpitazioni. Spaziare le assunzioni di 3–4 ore, preferire il mattino e limitare il consumo nel tardo pomeriggio-sera aiuta a proteggere il sonno, la cui qualità è a sua volta legata al rischio aritmico. Se si desidera mantenere il rito senza aumentare l’apporto, alternare con decaffeinato può essere utile.
Un approccio pratico è definire una “soglia personale” tenendo un breve diario (2–4 settimane) su dosi, orari, preparazione e sintomi. In periodi di ipertensione poco controllata, insonnia, reflusso o concomitante uso di altre sostanze stimolanti, può essere opportuno ridurre temporaneamente la quota di caffeina. In caso di recente aumento degli episodi o sintomi fastidiosi dopo il caffè, una prova di riduzione o sospensione e la successiva reintroduzione graduale aiutano a chiarire la tolleranza.
Rischi del consumo eccessivo di caffè
Il consumo eccessivo di caffè può comportare diversi rischi per la salute, specialmente per chi soffre di fibrillazione atriale. Un’assunzione elevata di caffeina può aumentare la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa, fattori che possono aggravare le aritmie cardiache. Inoltre, un consumo eccessivo può causare insonnia, nervosismo e disturbi gastrointestinali.
Alcuni studi hanno evidenziato che l’eccesso di caffeina può interferire con l’assorbimento di alcuni minerali essenziali, come il calcio e il magnesio, importanti per la salute cardiovascolare. Pertanto, è fondamentale moderare l’assunzione di caffè per prevenire potenziali complicazioni.
È importante sottolineare che la sensibilità alla caffeina varia da persona a persona. Alcuni individui possono tollerare quantità maggiori senza effetti avversi, mentre altri possono sperimentare sintomi anche con un consumo moderato. Per questo motivo, è consigliabile monitorare la propria risposta al caffè e consultare un medico per determinare la quantità appropriata.
Consigli per ridurre il consumo di caffè
Ridurre il consumo di caffè può essere una sfida, soprattutto per chi è abituato a berne diverse tazze al giorno. Tuttavia, esistono strategie efficaci per diminuire gradualmente l’assunzione di caffeina.
Una delle prime misure è sostituire alcune tazze di caffè con alternative a basso contenuto di caffeina, come il caffè decaffeinato o le tisane. Questo permette di mantenere il rituale della pausa caffè senza gli effetti stimolanti della caffeina.
Un’altra strategia consiste nel ridurre gradualmente la quantità di caffè consumata quotidianamente. Ad esempio, si può iniziare diminuendo di mezza tazza al giorno fino a raggiungere l’obiettivo desiderato. Questo approccio aiuta a minimizzare i sintomi di astinenza, come mal di testa e irritabilità.
È utile anche identificare i momenti della giornata in cui si tende a bere caffè per abitudine piuttosto che per necessità. In questi casi, si può optare per altre bevande o attività che offrano una pausa senza l’assunzione di caffeina.
Alternative al caffè per chi ha fibrillazione atriale
Per chi soffre di fibrillazione atriale, esistono diverse alternative al caffè che possono soddisfare il desiderio di una bevanda calda senza gli effetti stimolanti della caffeina.
Le tisane a base di erbe, come camomilla, melissa e passiflora, sono ottime opzioni. Queste bevande non solo sono prive di caffeina, ma possiedono anche proprietà rilassanti che possono aiutare a ridurre lo stress, un fattore che può influenzare negativamente la fibrillazione atriale.
Il caffè d’orzo è un’altra valida alternativa. Questa bevanda ha un sapore simile al caffè tradizionale ma è naturalmente priva di caffeina, rendendola adatta per chi desidera evitare stimolanti.
Anche il tè verde decaffeinato può essere considerato, poiché offre antiossidanti benefici senza l’effetto stimolante della caffeina. Tuttavia, è importante assicurarsi che sia effettivamente privo di caffeina, poiché alcune varietà possono contenerne tracce.
Infine, l’acqua aromatizzata con fette di frutta fresca o erbe come la menta può rappresentare una bevanda rinfrescante e salutare, contribuendo all’idratazione senza introdurre caffeina nell’organismo.
In conclusione, mentre il consumo moderato di caffè può essere tollerato da alcune persone con fibrillazione atriale, è essenziale monitorare la propria risposta individuale e consultare un medico per determinare la quantità appropriata. Adottare alternative prive di caffeina e seguire una dieta equilibrata può contribuire significativamente al benessere cardiovascolare e alla gestione della fibrillazione atriale.
Per approfondire
Società Italiana di Cardiologia – Informazioni aggiornate sulle patologie cardiache e le linee guida per la gestione della fibrillazione atriale.
Ministero della Salute – Risorse ufficiali sulla salute cardiovascolare e raccomandazioni per uno stile di vita sano.
Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) – Informazioni sui farmaci utilizzati nella gestione della fibrillazione atriale e sulle terapie disponibili.
European Society of Cardiology – Linee guida europee sulla gestione delle aritmie cardiache e della fibrillazione atriale.
Mayo Clinic – Approfondimenti sulla fibrillazione atriale, cause, sintomi e trattamenti disponibili.
