Cellule staminali nella terapia del diabete

Cellule staminali nella terapia del diabete

Il ruolo delle cellule staminali nella terapia del diabete mellito è attualmente ancora controverso: si moltiplicano gli studi che cercano di stabilirne l’utilità, ma i risvolti pratici sono ancora pochi, seppur promettenti: cerchiamo di fare insieme il punto della situazione.

L’aumento delle conoscenze nell’ambito della medicina rigenerativa porta sempre più di frequente i pazienti e i clinici a spostare l’attenzione sulle aspettative terapeutiche basate su approcci di terapia cellulare.

Tra questi, le cellule staminali nella terapia del diabete vengono spesso mostrate come una possibile opzione già in atto o praticabile nell’immediato futuro.

Cerchiamo di fare il punto sulle attuali conoscenze e prospettive dell’uso delle cellule staminali nella terapia del diabete incentrando la trattazione su quegli aspetti che maggiormente incuriosiscono e sono motivo di discussione nella pratica clinica e nel rapporto con il paziente.

Le cellule staminali nella terapia del diabete

Attualmente non esistono protocolli fondati sull’uso di cellule staminali nella terapia del diabete clinicamente approvate.

Vi sono però svariati approcci terapeutici per il diabete basati sull’utilizzo delle cellule staminali già valutati o su cui si stanno eseguendo delle valutazioni in studi clinici.

Si possono distinguere 3 grossi campi di potenziale applicazione:

  1. La ricostruzione della massa β-cellulare;
  2. L’immunomodulazione nel diabete di tipo 1;
  3. Il trattamento delle complicanze.

Ci limiteremo a valutare le cellule staminali nella terapia del diabete sottolineando gli approcci che hanno già una potenziale di applicazione clinica, tralasciando volontariamente gli aspetti di biologia di base e preclinica.

Ricostruzione della massa beta-cellulare a partire da cellule staminali pluripotenti

Molte pubblicazioni riferiscono la possibilità di differenziare o transdifferenziare cellule producenti insulina a partire da cellule staminali di diversa origine o da precursori isolati da pancreas o da altri tessuti.

I risultati di molti di questi approcci non sono stati confermati in altri laboratori o nell’uomo e sono quindi controversi.

Attualmente i soli risultati rilevanti in termini qualitativi e quantitativi sono quelli ottenuti con l’uso di cellule staminali pluripotenti (cellule staminali embrionali o cellule staminali pluripotenti ottenute attraverso la riprogrammazione di cellule somatiche).

Per quanto riguarda le prospettive cliniche a breve termine, l’approccio più avanzato (in quanto studio clinico di fase 1-2 già iniziato) evidenzia la possibilità di utilizzare cellule producenti insulina provenienti da cellule staminali pluripotenti impiantate nel sottocute situate in un macrodevice (1-4).

Tale “prodotto” è stato chiamato VC-01TM (5) ed è formato da cellule progenitrici pancreatiche (denominate PEC-01TM, derivate da una linea di cellule staminali embrionali (6)) posizionate in un macrodevice di nome EncaptraTM.

La U.S. Food and Drug Administration (“FDA”) ha approvato l’Investigational New Drug Application (“IND”) per l’utilizzo di VC-01TM nella terapia del diabete mellito di tipo 1 nell’agosto del 2014.

VC-01TM è stato sviluppato da ViaCyte, una company californiana con sede a San Diego che è stata supportata sia dal California Institute for Regenerative Medicine (CIRM) che dalla Juvenile Diabetes Research Foundation (JDRF).

Lo studio clinico (denominato A Safety, Tolerability, and Efficacy Study of VC-01TM Combination Product in Subjects With Type 1 Diabetes Mellitus; NCT02239354, ClinicalTrials.gov) è uno studio prospettico multicentrico in aperto che prevede l’impianto di VC-01TM in pazienti diabetici di tipo 1 senza l’immunosoppressione, in quanto il macrodevice dovrebbe riuscire a proteggere dalla risposta immunitaria. Per lo studio sono stati reclutati quaranta soggetti e il primo paziente è stato trapiantato il 29/10/2014.

Attualmente non ci sono ancora informazioni sui primi risultati. Lo studio verrà a breve replicato anche in Canada, presso l’Università di Alberta.

Nel breve-medio periodo probabilmente approcci simili verranno sviluppati anche da altri gruppi di ricerca in quanto negli ultimi mesi sono stati riportati almeno altri due protocolli per differenziare cellule producenti insulina con alta efficienza.

Infatti, i ricercatori della BetaLogics Venture, una sussidiaria della Johnson & Johnson, con l’aiuto della University of British Columbia hanno sviluppato un efficiente protocollo di differenziamento per creare in vitro cellule insulino-secernenti mature a partire da cellule staminali pluripotenti (7-12), ricerca realizzata grazie al supporto di JDRF, del Canadian Institutes of Health Research,  della Stem Cell Network del Canada, della Stem Cell Technologies di Vancouver e, infine dalla Fondazione Michael Smith for Health Research.

In modo analogo, l’Harvard Stem Cell Institute ha descritto un terzo protocollo per realizzare in vitro con alta efficienza cellule insulino-secernenti mature da cellule staminali pluripotenti (13).

Al momento quest’approccio è stato assegnato a una start-up denominata Semma Therapeutics che si pone l’obiettiva di arrivare in clinica in partnership con “big pharma” (come Novartis, Medtronic, e Astrazeneca) nei prossimi 5 anni.

Cellule staminali nella terapia del diabete: utilizzo del midollo osseo e del sangue cordonale

Negli ultimi anni, l’esperienza clinica sempre più consolidata nel campo dell’ematologia ha portato alla pratica dell’utilizzo delle cellule staminali prelevate dal midollo osseo o dal sangue del cordone in malattie non ematologiche.

Molti studi clinici sono stati intrapresi anche per la terapia del diabete di tipo 1 e di tipo 2, che si avvalgono di cellule staminali ematopoietiche e cellule stromali/staminali mesenchimali (MSC) derivate dal midollo osseo e dal sangue cordonale (o dagli annessi extraembrionali), ricorrendo a semplici protocolli per la raccolta, la coltura e la conservazione di queste cellule staminali.

Numerosi gruppi hanno fatto ricerca sul loro ruolo potenziale d’induzione e/o recupero della tolleranza, nel rimodellamento del tessuto pancreatico come cellule “feeder” e nella differenziazione diretta in cellule b, con lo scopo finale comune di salvaguardare o sostituire la funzione delle cellule produttrici d’insulina.

Infusione di midollo osseo autologo intrapancreatico per la terapia del diabete di tipo 1 e 2

In passato è stata considerata la possibilità che le cellule di midollo osseo potessero differenziarsi in cellule in grado di produrre insulina in risposta alla concentrazione di glucosio (14-16) ma tali dati sono risultati molto controversi e non confermati in altri studi (17-19).

Di recente è stato suggerito un altro tipo di ruolo per le cellule del midollo osseo grazie all’evidenza che in alcuni modelli le cellule midollari trapiantate possono dare inizio alla rigenerazione del pancreas endocrino stimolando sia la proliferazione delle cellule b che la neogenesi insulare (20, 21).

Da queste premesse sono partiti alcuni studi clinici sul ruolo delle cellule staminali nella terapia del diabete di tipo 1 o 2 usando cellule mononucleate prelevate dal midollo osseo autologo non purificate infuse per via intrarteriosa a livello del pancreas (vedi tabella 1).

Tabella 1. Studi su trapianto di cellule mononucleate del midollo osseo autologhe per la terapia del diabete

ClinicalTrial.gov Sede Cellule Sito infusione Diabete Stato Ref
NCT00821899 Hospital Clinic Universitari, Barcellona, Spagna Cellule mononucleate midollo osseo Intrapancreatica, intraarteriosa Tipo 1 Completato (27)
NCT00644241 NCT01065298 Postgraduate Institute of Medical Education and Research, Pgimer, Chandigarh, India Cellule mononucleate midollo osseo Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 2 Sconosciuto (22,23)
NCT00767260 Fuzhou GeneralHospital Fuzhou, Fujian, China Cellule mononucleate midollo osseo + terapia iperbarica Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 2 Attivo ma non reclutante
NCT01677013 Peking University Aerospace Centre Hospital, Beijing, China Cellule mononucleate midollo osseo+ terapia iperbarica Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 2 Attivo reclutante
NCT00465478 Qilu Hospital of Shandong University, China Cellule mononucleate midollo osseo Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 1 e2 Sconosciuto
NCT00971503 Pontificia Universidad Catolica de Chile, Santiago de Chile, Cile Midollo osseo totale Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 1 Sospeso
NCT01143168 NCT01142050 Armed Police General Hospital, P. R. Beijing, China Cellule mononucleate midollo osseo + MSC da cordone ombelicale Intrapancreatica intraarteriosa, intravenosa sistemica Tipo 1 e2 Sconosciuto
NCT01832441 Chaitanya Hospital, Pune, Maharashtra, India Cellule mononucleate midollo osseo Non chiaro ? Attivo reclutante
NCT01786707 University of Miami, USA Cellule mononucleate midollo osseo + terapia iperbarica Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 2 Completato

Tra le esperienze i cui risultati sono descritti in letteratura ci sono quelle del Post Graduate Institute of Medical Education and Research (Chandigarh) in India (22, 23), dello Stem Cell Argentina (Buenos Aires) in Argentina (24), del Central Hospital of Wuhan (Huazhong University of Science and Technology, Wuhan, Hubei) (25) e dello Stem Cell Research Center (Qingdao University, Qingdao) in Cina (26) ed infine dello Hospital Clinic Universitari (Barcellona) in Spagna (27).

Per quanto riguarda il ruolo delle cellule staminali nella terapia del diabete di tipo 1, lo studio clinico portato avanti allo Hospital Clinic Universitari di Barcellona non ha evidenziato effetti in termini di livelli sierici di peptide C (sia basali che stimolati), di cambiamenti di fabbisogno d’insulina o di controllo metabolico dopo infusione dei pazienti trattati.

Per via della mancanza di efficacia questo studio, che in principio doveva reclutare dieci soggetti, è stato fermato dopo il terzo paziente.

I risultati pubblicati sulle cellule staminali nella terapia del diabete di tipo 2 sono di difficile interpretazione.

Venticinque pazienti con diabete di tipo 2 hanno ricevuto un trapianto autologo di cellule mononucleate del midollo iniettate attraverso l’arteria dorsale del pancreas in combinazione con un trattamento con ossigeno iperbarico allo Stem Cells Argentina Medical Center di Buenos Aires (24): tutti i parametri metabolici misurati (glicemia e peptide C a digiuno, HbAlc, fabbisogno insulinico) sono migliorati rispetto al basale del primo anno di follow-up.

Miglioramenti del controllo glicemico e diminuzione del fabbisogno insulinico o dell’utilizzo degli ipoglicemizzanti orali sono stati riportati anche in 31 pazienti con diabete di tipo 2 reclutati al Central Hospital of Wuhan in Cina e trattati analogamente.

Simili esperimenti con cellule staminali nella terapia del diabete, si stanno svolgendo anche al Fuzhou General Hospital alla Shandong University sempre in Cina, anche se ad oggi i risultati non sono ancora stati resi noti.

Recentemente Hu et al. (26) della Qingdao University in Cina hanno comparato l’efficacia a 3 anni dalla somministrazione di cellule autologhe mononucleate di midollo con la terapia convenzionale in 118 pazienti con diabete di tipo 2, registrando un miglioramento significativo del controllo glicemico e una diminuzione del fabbisogno insulinico o dell’utilizzo di ipoglicemizzanti orali nei pazienti trapiantati rispetto ai controlli.

Esperienza analoga è stata sviluppata anche al Postgraduate Institute of Medical Education and Research in India (22, 23).

Qui è stato avviato uno studio basato sull’impiego di cellule staminali ematopoietiche e sull’utilizzo, come sito d’iniezione, non dell’arteria dorsale del pancreas ma dell’arteria pancreaticoduodenale che vascolarizza prevalentemente la testa del pancreas e parte del corpo.

Sei dei dieci pazienti trattati hanno evidenziato un’importante riduzione del fabbisogno insulinico rispetto al basale (74%, con un paziente che ha raggiunto e mantenuto l’insulino indipendenza per quindici mesi).

Generalmente i risultati di questi studi sono difficili da interpretare: il disegno sperimentale non è stato adeguato e gli studi sono senza un braccio di controllo, hanno un’alta percentuale di drop-out, sono state incluse popolazione eterogenee con vari trattamenti ipoglicemizzanti al basale e con un pessimo controllo glicemico.

Anche quando un gruppo di controllo è stato inserito nel disegno sperimentale (25) lo studio non è stato randomizzato, ma al contrario ai pazienti è stata data la possibilità di scegliere il braccio di trattamento.

Di solito è riscontrato un beneficio, quasi sempre transitorio, ma non appare chiaro se l’effetto è dovuto al miglior trattamento correlato all’ingresso nello studio clinico o al miglior controllo terapeutico indotto da un reale beneficio determinato dall’infusione di midollo osseo.

In accordo con il Reflection paper on classification (25-b) del Comitato per le Terapie Avanzate (CAT) dell’Agenzia Europea dei Medicinali (EMA), un prodotto in cui la sostanza attiva è formata da cellule mononucleate di midollo infuse per vi arteriosa intrapancreatica al fine di ripristinare o variare livelli insulinemici, e quindi trattare il diabete, va classificato come prodotto medicinale di terapia avanzata (ATMP).

Infine, attualmente manca una chiara evidenza che supporti l’utilizzo del midollo autologo infuso per via arteriosa intrapancreatica.

La somministrazione di un simile prodotto medicinale deve quindi intendersi come sperimentazione clinica di un prodotto medicinale sperimentale e di conseguenza deve essere proposta ai pazienti unicamente all’interno di studi clinici controllati e adeguatamente valutati dai comitati etici e dalla autorità regolatoria competente.

Cellule staminali nella terapia del diabete: trapianto di cellule ematopoietiche da midollo osseo

Il trapianto di cellule staminali ematopoietiche è ormai ampiamente riconosciuto come un trattamento curativo per molte malattie ematologiche.

Negli ultimi due decenni, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche autologhe è stato anche analizzato come una possibilità terapeutica per i pazienti con gravi malattie autoimmuni ritenuti refrattari alle terapie convenzionali (28-30).

Il razionale alla base di questi studi si trova nella convinzione che si possa sostituire il sistema immunitario difettoso, in quanto capace di riconoscere come antigeni le proteine self, con uno sano, ricreato a partire dalle proprie cellule staminali ematopoietiche allontanate dalle presunte circostanze ambientali accidentali che hanno portato allo sviluppo della risposta autoimmune.

Nella routine clinica, i pazienti che ricevono un trapianto di cellule staminali ematopoietiche sono sottoposti ad una potente terapia immunosoppressiva non prima, però, di aver mobilizzato dal midollo al sangue periferico le cellule staminali ematopoietiche utilizzando diversi protocolli di solito fondati sull’utilizzo del Granulocyte-Colony Stimulating Factor (G-CSF) e/o della Ciclofosfamide (un farmaco mielosoppressivo che mobilizza queste cellule per un fenomeno di “rebound”).

Nonostante il successo clinico ben documentato del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche nel correggere alcune malattie autoimmuni (31), una spiegazione dettagliata dei meccanismi di azione di questa terapia è ancora difficile.

Chiaramente, il trapianto è accompagnato da un vasto debulking del sistema immunitario del ricevente grazie ai potenti protocolli di condizionamento immunosoppressivi come l’irradiazione corporea totale (TBI), la ciclofosfamide, l’utilizzo di anticorpi monoclonali depletanti (anti-CD2, anti-CD52), la fludarabina o la globulina anti-timociti (ATG); questi trattamenti causano una profonda linfopenia di lunga durata accompagnata da livelli ridotti delle plasmacellule capaci di produrre autoanticorpi (32) ed è stato provato che l’utilizzo di tali terapie linfoablative, anche in mancanza di cellule ematopoietiche, riesce da sé ad arrestare o rallentare il progredire delle patologie autoimmuni (33).

D’altronde, oltre all’effetto immunosoppressivo aspecifico correlato ai protocolli di induzione, vi sono anche prove che l’autotrapianto di cellule staminali ematopoietiche possa ristabilire la tolleranza immunologica modulando le cellule T regolatorie e facendo ripartire la funzione timica (34-36).

Purtroppo per colpa delle cellule immunitarie autoreattive (linfociti T e B memoria, plasmacellule a lunga vita) l’autoimmunità può ripresentarsi dopo un trapianto di cellule staminali autologhe e altri studi sono necessari per trovare i protocolli di induzione ottimali per raggiungere una remissione stabile e duratura dell’autoimmunità.

Potenzialmente più efficace nell’evitare la ricorrenza dell’autoimmunità è il trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche.

Infatti, un condizionamento moderato non consistente in un’ablazione completa delle cellule staminali ematopoietiche autologhe combinato con un trapianto di cellule ematopoietiche allogeniche può indurre una condizione chiamata “mixed hematopoietic  chimerism” in cui cellule ematopoietiche del donatore e del ricevente collaborano e costituiscono un sistema immunitario misto.

In questa condizione i linfociti T ad alta affinità per le proteine autologhe vengono eliminati assicurando lo sviluppo di una nuova tolleranza verso il self (37, 38).

Essendo il diabete di tipo 1 una patologia autoimmune è stata considerata negli ultimi anni la possibilità di utilizzare il trapianto di cellule staminali ematopoietiche per la sua terapia.

L’utilizzo del trapianto allogenico di midollo per prevenire il manifestarsi del diabete di tipo 1 è stato proposto per la prima volta nel 1985 nel modello del topo NOD (39) e più recentemente il trapianto di cellule staminali allogeniche e lo sviluppo del “mixed hematopoietic chimerism” hanno riscontrato un grande interesse per la terapia del diabete di tipo 1.

Molti studi preclinici hanno dimostrato l’efficacia del trapianto allogenico di cellule staminali ematopoietiche sia nella prevenzione che nella remissione del diabete di tipo 1 (40-42) ma, a dispetto dei risultati preclinici, è stato preferito il trapianto autologo a quello allogenico nei primi trials clinici, per via del rischio minore di tossicità severa.

Il primo tentativo per verificare la sicurezza e l’efficacia di un regime immunosoppressivo non mieloablativo seguito dal trapianto di cellule staminali ematopoietiche autologhe nei pazienti con diabete di tipo 1 è stato effettuato da Voltarelli et al in Brasile (43, 44) (ClinicalTrial.gov Identifier: NCT00315133).

In questo studio di fase I/II, 23 pazienti di età compresa tra i 13 e i 31 anni con esordio di diabete di tipo 1 entro le sei settimane precedenti sono stati sottoposti alla mobilizzazione delle cellule staminali ematopoietiche (con successivo recupero e criopreservazione) attraverso l’utilizzo di G-CSF e ciclofosfamide.

Nei mesi successivi (follow-up medio 29,8) 20 dei 23 pazienti hanno riportato remissione della malattia e acquisito l’insulino indipendenza.

Dodici di questi 20 hanno conservato lo stato di insulino indipendenza all’ultimo follow-up (media 31 mesi, range 15-52 mesi), mentre 8 hanno presentato una ricorrenza del diabete con necessità di una terapia insulinica, anche se a basse dosi (0,1-0,3 UI/kg).

Non è stata riscontrata una mortalità associata al trattamento, anche se 2 pazienti hanno sviluppato una polmonite ospedaliera bilaterale, 3 pazienti disfunzioni endocrine tardive e 9 oligospermia (43, 44).

Nel 2009-2011 simili risultati sono stati riportati in 8 pazienti trattati in Polonia utilizzando lo stesso protocollo (45, 46).

Tutti i pazienti hanno sviluppato l’insulino indipendenza con un miglioramento notevole del controllo metabolico (HbA1c da 12,3% a 6,2% a sei mesi dal trapianto autologo) e con un solo paziente che ha presentato la ricorrenza del diabete a 7 mesi.

Li et al (47) hanno esposto i risultati ottenuti in 13 pazienti con lo stesso schema di mobilizzazione e condizionamento, allargando l’indicazione entro i 12 mesi dall’esordio del diabete invece che entro le 6 settimane:

  1. in 11 pazienti su 13 si è ottenuta una notevole riduzione del fabbisogno insulinico,
  2. in 3 di 11 pazienti si è riscontrata l’insulino indipendenza nei tre mesi successivi al trapianto delle staminali e questa è stata conservata per 7 mesi, più di 3 e più di 4 anni rispettivamente,
  3. livelli normali di HbA1c si sono mantenuti in 7 degli 8 pazienti che hanno raggiunto un follow-up di 2 anni.

Inoltre lo stesso gruppo ha pubblicato un case report (48) in cui si evidenzia che l’insulino indipendenza viene raggiunta anche da pazienti che hanno manifestato un esordio di diabete con chetoacidosi, condizione che non era stata inclusa nei precedenti trials.

Nonostante questo risultato, Gu et al hanno verificato in uno studio prospettico di fase 2 che il trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche può essere maggiormente efficace sul lungo periodo se la popolazione inserita non ha esordito con chetoacidosi (49, 50).

Recentemente però sono stati pubblicati dati meno confortanti sull’efficacia di questo approccio: il gruppo cinese del Beijing Children’s Hospital (51) ha riferito i risultati di uno studio progettato per verificare la sicurezza e l’efficacia  del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche rispetto alla terapia insulinica convenzionale in 42 bambini (età 1,5-12,5 anni) all’esordio di diabete di tipo 1: 14 pazienti sono stati sottoposti a trapianto  entro 3 mesi dall’esordio mentre 28 pazienti controllo sono stati trattati con terapia insulinica nello stesso periodo.

I risultati riscontrati di follow-up (a 3-5 anni) determinano che l’autotrapianto ha portato a:

  1. insulino indipendenza in 3 dei 14 pazienti per 2, 3 e 11 mesi rispettivamente,
  2. assenza di episodi di chetoacidosi,
  3. nessuna differenza significativa nel fabbisogno insulinico e nei valori di peptide C,
  4. HbA1c notevolmente più alta rispetto ai controlli (51).

La deduzione dello studio è che non sussiste un reale beneficio a favore del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (51).

I dati cumulativi dell’esperienza del centro polacco (45, 46) e di due dei centri cinesi (47-50) che hanno provato questo approccio terapeutico sono stati analizzati di recente (52): in totale sui 65 pazienti trattati il 59% ha raggiunto l’insulino indipendenza entro i 6 mesi dal trapianto e il 32% l’ha mantenuta all’ultimo follow-up.

Inoltre in tutti è stata riportata una diminuzione dei valori di HbA1c e un aumento dei valori di peptide C.
Nonostante i risultati apparentemente incoraggianti, il 52% dei pazienti ha manifestato eventi avversi ed è stato riportato un decesso, evidenziando la difficoltà a giustificare un trattamento così potenzialmente pericoloso all’esordio del diabete di tipo 1.

Alcuni studi clinici fondati su quest’approccio sono ancora attivi o in attesa di un follow-up di maggiore lunghezza (NCT01121029, NCT01285934) e, quando pubblicati, aiuteranno a ultimare il quadro.
Attualmente è complicato esprimere un giudizio finale.

Anche in questo caso va sottolineato che, a dispetto delle numerose esperienze cliniche, la maggior parte degli studi non ha incluso un gruppo di controllo randomizzato con terapia insulinica tradizionale o con solo immunosoppressione, e quando è stato fatto, non è apparso chiaro un reale beneficio a favore del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (51).

Soltanto il monitoraggio a lungo termine dei pazienti trattati fino ad ora potrà far luce sul rapporto rischio/beneficio di questo approccio per la terapia del diabete di tipo 1 che, attualmente, sembra complicato da giustificare considerando la morbilità e la mortalità legata al trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche nel campo delle malattie autoimmuni (30, 53, 54).

Tabella 2. Studi su trapianto di cellule staminali ematopoietiche autologhe per la terapia del diabete

ClinicalTrial.gov Sede Mobilizzazione Condizionamento Diabete Stato Ref
NCT00315133 University of São Paulo, School of Medicine of Ribeirão Preto, Brasile cyclophosphamide (2.0 g/m2), G-CSF(10 µg/kg/die) cyclophosphamide (200 mg/kg), ATG(4.5 mg/kg). Entro 6 settimane da esordio Sconosciuto (43,44)
NCT01341899 Hospital of Nanjing University, Jiangsu, Cina cyclophosphamide (2.0 g/m2), G-CSF(10 µg/kg per day) cyclophosphamide (200 mg/kg), ATG(4.5 mg/kg). Entro 12mesi da esordio Attivo reclutante (47,48)
NCT01121029 Hospital Universitario Dr. José Eleuterio González; Monterrey, Nuevo Leon, Messico cyclophosphamide (1.5 g/m2), G-CSF(10 µg/kg per day) cyclophosphamide (500 mg/kg); fluradabina (30mg/m2) Entro 4 settimane da esordio Completato
NCT00807651 Shanghai Jiao Tong University School ofMedicine, Shanghai, Cina cyclophosphamide (2.0 g/m2), G-CSF(10 µg/kg per day) cyclophosphamide (200 mg/kg), ATG(4.5 mg/kg). Entro 6mesi da esordio Attivo ma non reclutante (49,50)
NCT01285934 Northwestern University, Chicago, Illinois, United States cyclophosphamide (2.0 g/m2), G-CSF(10 µg/kg per day) cyclophosphamide (200 mg/kg), ATG(4.5 mg/kg), rituxan (500mg) Entro 5mesi da esordio Attivo reclutante

 

Somministrazione di cellule stromali/staminali mesenchimali (MSC) per la terapia del diabete

Le MSC rappresentano un’altra componente cellullare del midollo osseo e sono essenziale per mantenere la nicchia delle cellule staminali ematopoietiche.

Le MSC sono state argomento di approfondite ricerche per decenni. Più di trentamila lavori scientifici sono stati pubblicati al riguardo su riviste indicizzate descrivendo la loro capacità di differenziarsi in molteplici linee, di sostenere l’emopoiesi, di svolgere immunoregolazione e di secernere fattori di crescita e citochine.

Quest’ambito di ricerca è cresciuto particolarmente negli ultimi 20 anni con la scoperta di nuove proprietà di queste cellule (55-57).

Infatti, inizialmente le cellule staminali mesenchimali erano isolate solo dal midollo osseo e classificate come cellule staminali multipotenti per lineage mesenchimale (ossa, grasso, cartilagine), mentre in un secondo momento queste cellule cominciarono ad essere isolate praticamente da tutti i tessuti post natali (tessuto adiposo, gelatina di Wharton, polpa dentale, pancreas, liquido amniotico, fegato) ed è stata descritta la loro capacità di differenziarsi in vitro anche lungo il lineage ectodermico ed endodermico.

In una terza e ultima fase, l’interesse per le cellule staminali mesenchimali è stato spostato dalla loro plasticità alla loro capacità di regolare la funzione dei tessuti; molti studi hanno infatti registrato che queste cellule hanno funzioni immunomodulatorie e di cellule “nutrici” svolte sia mediante contatto diretto cellula-cellula sia mediante secrezione di citochine e/o altri fattori solubili (58).

L’ipotesi che esse possano partecipare alla rigenerazione dei tessuti regolando l’infiammazione ha fatto nascere un nuovo interesse per il loro impiego come strumento terapeutico per sopprimere l’infiammazione e inibire le risposte immunitarie nella Graft versus host disease (GVHD), nella malattia di Chron e nelle malattie autoimmuni come il diabete, la sclerosi multipla, l’artrite reumatoide e, come recentemente dimostrato, in patologie molto severe quale l’Acute Respiratory Distress Syndrome o ARDS (59).

Le proprietà immunomodulatorie e anti-infiammatorie non sono costitutivamente espresse dalle MSC, ma sono velocemente indotte dall’attivazione attraverso citochine infiammatorie quali IFN-g e TNF-a, un processo denominato “licensing” che avviene sia in vivo che in vitro, rappresentando un requisito per la loro efficacia terapeutica (60).

In relazione alle caratteristiche immunomodulatorie e alla possibilità d’impiego delle cellule staminali mesenchimali in protocolli clinici alcuni elementi chiave sono ormai stati definiti, come ottimamente recensito recentemente da Wang et al (58).

Tabella 3. Studi su trapianto di cellule stromali/staminali mesenchimali (MSC) per la terapia del diabete

ClinicalTrial.gov Sede meccanismo cellule Sito infusione Diabete stato Ref
NCT01068951 Uppsala University Hospital, Sweden immunomodulazione Autologhe da midollo osseo Infusione sistemica Tipo 1 esordio Completato (83)
NCT02057211 Uppsala University Hospital, Sweden immunomodulazione Autologhe da midollo osseo Infusione sistemica Tipo 1 esordio Reclutante (83)
NCT00690066 Mesoblast International Srl inpartnership con JDRF immunomodulazione linea di cellule staminali mesenchimali derivate da midollo osseo (Prochymal) Infusione sistemica Tipo 1 esordio Completato
NCT01322789 University of São Paulo, School ofMedicine of Ribeirão Preto, Brasile immunomodulazione Allogeniche da parente di primo grado da midollo osseo Infusione sistemica Tipo 1 esordio Reclutante
NCT01219465 Qingdao University, Qingdao, Cina immunomodulazione Allogeniche da cordone ombelicale Infusione sistemica Tipo 1 esordio Sconosciuto
NCT01157403 Hospital of the Third Military Medical University, Chongqing, China immunomodulazione Autologhe da midollo osseo Infusione sistemica Tipo 1 esordio Sconosciuto
NCT01374854 Fuzhou General Hospital Fuzhou, Fujian, China riparazione tessutale Allogeniche da cordone ombelicale Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 1 Sconosciuto
NCT01496339 First Affiliated Hospital of Zhejiang University, Hangzhou, Zhejiang, China Riparazione tessutale Allogeniche da sangue mestruale Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 1 Sconosciuto
NCT02302599 Chinese PLA General Hospital, Beijing, Beijing, China Riparazione tessutale Allogeniche da cordone ombelicale Infusione sistemica Tipo 2 Reclutante
NCT01759823 Postgraduate Institute of Medical Education and Research, Pgimer, Chandigarh, India Riparazione tessutale Autologhe da midollo osseo Intrapancreatica intraarteriosa Tipo 2 Reclutante
NCT01576328 Mesoblast International Srl Riparazione tessutale linea di cellule staminali mesenchimali derivate da midollo osseo (Prochymal) Infusione sistemica Tipo 2 Attivo ma non reclutante
NCT01954147 Diabetes Care Riparazione Allogeniche da Infusione Tipo 2 Attivo ma non reclutante
Center of Nanjing Military Command, Fuzhou, Fujian, China tessutale cordone ombelicale+ liraglutide sistemica non reclutante
NCT01453751 Ageless Institute, Miami, Florida, United States Riparazione tessutale Singeneiche da tessuto adiposo Intrapancreatica intraarteriosa, intravenosa sistemica Tipo 2 Reclutante
NCT01413035 Department of Hematology of the 2ndHospital of Shandong University Jinan, Shandong, China Riparazione tessutale Allogeniche da cordone ombelicale e da placenta Infusione sistemica Tipo 2 Sconosciuto
In breve:

Le cellule staminali mesenchimali, quando sono iniettate per via endovenosa, restano in gran parte bloccate nei polmoni, un’altra parte rilevante viene attaccata dal sistema immunitario (instant blood-mediated inflammatory reaction (IBMIR) [Moll, 2012 #15343] [Moll, 2014 #15352]), ma alcune, se è presente un danno tissutale, sono capaci di migrare nella sede del danno e contribuire alla riparazione dello stesso (61)

La percentuale di cellule staminali mesenchimali che persistono nel sito di localizzazione è bassa e la permanenza è generalmente di breve durata, facendo pensare a un effetto di “hit-and-run” sul tessuto danneggiato (57)

In risposta a mediatori dell’infiammazione le cellule mesenchimali staminali sono capaci di produrre un gran numero di fattori solubili (citochine, chemochine, fattori di crescita) che possono regolare l’infiammazionee il rimodellamento del tessuto. Tra i fattori conosciuti sono stati descritti TNF-a, IL-1, IL-6, IFN-g, TGF-b, HGF, EGF, IGF, FGF, PDGF, KGF, angiopoietina-1, PGE2, VEGF, SDF-1, IDO, NO e iNOS (62)

Le cellule staminali mesenchimali sono in grado di regolare la risposta immunitaria sia come soppressori che come amplificatori, a seconda del tipo e intensità dei segnali che ricevono dal microambiente (63).

Una volta attivate da stimoli infiammatori, riescono ad esercitare un effetto sulle cellule del sistema immunitario sia innato che adattativo e, in particolare, possono sopprimere la funzione delle cellule T e B, cellule NK, cellule dendritiche, macrofagi e neutrofili (60)

Nel processo di riparazione dei tessuti le cellule staminali mesenchimali riescono ad esercitare un’azione anche sulle cellule endogene del tessuto danneggiato, ad esempio proteggendole dall’apoptosi o stimolandone la proliferazione (64).

Rimane però da definire quali siano i test funzionali in vitro che meglio possono prevedere l’efficacia terapeutica delle MSC come agenti immunomodulatori, fungendo in questo modo da criteri di rilascio del lotto di cellule da utilizzare nel paziente, oltre a rappresentare la base per un confronto dei risultati dei diversi protocolli clinici basati su MSC.

A tal proposito, negli ultimi anni è stato fatto un grosso sforzo all’interno di società scientifiche come l’International Society for Cellular Therapy (ISCT) per condividere una piattaforma di test funzionali che possa rapidamente fornire delle linee guida per l’utilizzo terapeutico delle MSC nell’ambito delle patologie infiammatorie e autoimmunitarie (65, 66).

Similmente al processo generale delle conoscenze sulle cellule staminali mesenchimali, anche per la loro applicazione nel campo del diabete si è assistito a una prima fase incentrata sulla differenziazione in cellule che producono insulina, con il fine di dare una fonte autologa di tessuto da trapiantare e a una seconda fase il cui utilizzo è stato indirizzato alla regolazione della risposta immunitaria e del rimodellamento tissutale.

Numerosi tentativi sono stati fatti per differenziare le cellule staminali mesenchimali in vitro in cellule che producono insulina.

Vari studi hanno riscontrato la comparsa di mRNA dell’insulina in colture trattate con combinazioni definite di fattori di crescita (67-69).

Un esempio per i vari studi eseguiti in questo ambito è lo studio da poco pubblicato in cui è stato applicato un protocollo di differenziazione di 18 giorni con l’utilizzo di FGF-b, EGF, activinA e b-cellulin (70).

Cellule differenziate si sono riunite in aggregati di cellule, alcuni dei quali molto simili alle isole pancreatiche capaci di secernere peptide C (70).

I limiti di questo e di molti studi pubblicati in precedenza sono che, a una valutazione più accurata, nessuna di queste cellule differenziate mostra le caratteristiche necessarie per essere definite come cellule b, soprattutto la secrezione d’insulina in risposta al glucosio e la capacità di stabilizzare la glicemia in modelli animali diabetici.

Inoltre, in un recente studio sono stati messi in risalto alcuni aspetti di safety, in quanto, in contesti in cui le cellule staminali mesenchimali sono state forzatamente convertite in un altro tipo di cellula, le cellule differenziate ottenute potevano migliorare l’iperglicemia nei topi diabetici ma presentavano anche un potenziale tumorigenico (71).

Finora, anche se coscienti che il rischio di trasformazione neoplastica può risultare persino maggiore, i dati più convincenti  sulla riprogrammazione delle cellule staminali mesenchimali in cellule b funzionali provengono dagli studi che hanno utilizzato un approccio di modificazione genica.

Questo si basa principalmente sull’espressione forzata dei fattori di trascrizione associato allo sviluppo embrionale del pancreas quali Pdx1 e/o Ngn3 (72-77), ma questa strategia necessita di un miglioramento per aumentarne l’efficacia prima di poter fornire un buon candidato per la sostituzione delle cellule b in applicazioni cliniche, anche se appare comunque evidente che è fortemente limitata dal  rischio di tumorigenesi.

Le capacità di queste cellule staminali mesenchimali di regolare la risposta immunitaria e di riparare i tessuti sono state sperimentate e validate in vari modelli preclinici di diabete (78-81).

Le esperienze in vitro e nei modelli animali, con il crescente numero di dati per quanto riguarda le applicazioni cliniche delle cellule staminali mesenchimali in altre malattie (82), hanno portato alla creazione di sperimentazioni cliniche  anche nel campo del diabete.

Tra questi studi clinici, finora soltanto uno è stato portato a termine e i dati sono stati pubblicati (83).

Questo studio (ClinicalTrials.gov Identifier: NCT01068951) è stato portato avanti nell’Università di Uppsala (Svezia) e aveva come fine la valutazione della sicurezza e dell’efficacia della somministrazione di cellule staminali mesenchimali autologhe prelevate dal midollo osseo in pazienti con recente esordio di diabete di tipo 1.

L’ipotesi di partenza è che un incremento del numero di cellule staminali mesenchimali circolanti assicurerebbero immunomodulazione, e quindi sarebbe in grado di bloccare il processo immunitario che provoca la distruzione delle cellule b nel diabete di tipo 1.

Venti pazienti sono stati randomizzati al trapianto o al gruppo di controllo.

La sicurezza del trattamento è stata provata, in quanto è stato ben tollerato e non si sono riscontrati effetti collaterali.

L’end-point primario di efficacia è stato centrato, in quanto è stato riportato un miglioramento della risposta secretoria del peptide C a un pasto misto durante il primo anno post trattamento nei pazienti trattati con cellule staminali mesenchimali rispetto ai controlli.

Questi risultati incoraggianti hanno spianato la strada a un più ampio studio, randomizzato e in doppio cieco, con un follow-up più lungo, per validare i risultati ottenuti.

Questo nuovo studio (ClinicalTrials.gov Identifier: NCT02057211) sta reclutando i partecipanti e si stima che la data di completamento sia maggio 2017.

Un altro importante studio clinico è stato effettuato da Mesoblast International Srl, in collaborazione con JDRF.

Questo studio (ClinicalTrials.gov Identifier: NCT00690066) di fase II, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo mira a testare la sicurezza e l’efficacia di Prochymal, una linea di cellule  staminali mesenchimali umane derivate da midollo, in pazienti con recente diagnosi di diabete di tipo 1.

La valutazione intermedia a un anno ha provato che l’infusione sistemica di Prochymal è ben sopportata e non vi sono differenze nei tassi di eventi avversi con il gruppo placebo.

In termini di efficacia non si sono riscontrati benefici sulla conservazione della funzione secretoria misurata come rilascio di peptide C sotto  stimolo, anche se si è scoperta una tendenza verso una diminuzione di eventi ipoglicemici per i pazienti trattati con Prochymal rispetto ai controlli.

Questo studio è ormai terminato e un’analisi completa dei dati è prevista per il prossimo anno.

Tra gli altri studi avviati, soprattutto in Cina, l’unico che risulta apparentemente attivo e sta  selezionando pazienti si svolge presso University of Sao Paulo, in Brasile (ClinicalTrials.gov Identifier: NCT01322789) in cui si sta sperimentando l’infusione per via endovenosa di cellule staminali mesenchimali autologhe prelevate da midollo osseo di parenti di primo grado in pazienti con T1D di recente diagnosi.

La capacità delle cellule staminali mesenchimali autologhe di migliorare l’iperglicemia in animali diabetici attraverso il rilascio di fattori trofici per le cellule b (in grado di preservare le cellule b esistenti, stimolare la generazione di cellule b endogene da precursori pancreatici e abbassare la resistenza periferica all’insulina) ha guidato la ricerca sul loro uso nel diabete di tipo 2 e di tipo 1 di lunga durata (84-86).

Molti studi clinici sono stati avviati, e tra questi sono stati recentemente pubblicati i dati di uno studio portato avanti da Mesoblast (ClinicalTrials.gov Identifier: NCT01576328), la stessa società che ha testato Prochymal nel diabete di tipo 1, sull’impiego di cellule precursori mesenchimali (MPC, rexlemestrocel-L) nel diabete di tipo 2 (87).

Consiste in uno studio randomizzato, controllato con placebo, di dose-escalation, che ha lo scopo di valutare la sicurezza e la tollerabilità di una singola infusione endovenosa di cellule staminali mesenchimali allogeniche nei pazienti con controllo sub-ottimale con metformina.

Lo studio ha mostrato la sicurezza e la fattibilità dell’infusione di precursori mesenchimali allogenici ottenuti da midollo osseo adulto (dose massima 2×106/kg) e ha dimostrato anche un modesto miglioramento metabolico in termini di HbA1c associato alla terapia, anche se il follow-up di 12 settimane e il basso numero di soggetti reclutati (61) non permettono di trarre conclusioni definitive.

Un’altra ricerca interessante, ancora in atto, è uno studio cinese (ClinicalTrials.gov Identifier: NCT01954147), che sta testando una terapia combinata di cellule staminali mesenchimali allogeniche da cordone ombelicale e Liraglutide in pazienti con diabete di tipo 2.

Altri studi con i medesimo razionale prevedono l’infusione, sistemica o intrapancreatica, di cellule staminali mesenchimali prelevate da diversi distretti come il cordone ombelicale, il sangue mestruale e  la placenta (NCT01759823, NCT01453751, NCT02302599, NCT01759823), ma attualmente non si hanno pubblicazioni dei risultati.

Quindi ad oggi non c’è alcuna chiara evidenza a favore di un utilizzo delle cellule staminali mesenchimali come terapia standard per il diabete anche se qualche esperienza clinica ha dato risultati incoraggianti.

Tale procedura deve essere proposta solamente all’interno di studi clinici controllati e adeguatamente valutati dai comitati etici e dall’autorità regolatoria competente.

Cordone ombelicale e annessi extraembrionali come sorgente di cellule staminali per la terapia del diabete.

Il cordone ombelicale rappresenta un’altra possibile fonte di cellule staminali con potenziale di differenziazione e capacità immunoregolatorie simili a quelle ottenute dal midollo osseo.

Negli esseri umani, il cordone ombelicale contiene normalmente due arterie ombelicali e una vena, immerse in un tessuto connettivo denominato gelatina di Wharton (88).

Il sangue cordonale è formato dal sangue rimasto nel cordone ombelicale e nella placenta dopo il parto.

Dopo il primo utilizzo del sangue cordonale nel 1988 per il trattamento dell’anemia di Fanconi (89), si è verificato un notevole sviluppo della sua applicazione come fonte di cellule per la cura di molte malattie ematologiche e non (90).

Infatti, le cellule staminali derivate dal sangue cordonale vengono facilmente raccolte e crioconservate per anni senza significative perdite di vitalità (91,92).

Il cordone ombelicale contiene 60-200 ml di sangue e la sua raccolta consente l’isolamento di circa 10×106 cellule per ml (93).

Il sangue cordonale è composto da globuli rossi, globuli bianchi, piastrine, plasma ed è anche ricco di cellule staminali multipotenti o pluripotenti che possono differenziarsi in vari tessuti (94).

Tra le cellule staminali isolate ci sono cellule staminali embrionali, precursori endoteliali, cellule staminali ematopoietiche e cellule staminali mesenchimali (95, 96).

Le cellule staminali embrionali del cordone ombelicale sono una popolazione di cellule scoperta di recente, di dimensioni molto ridotte che esprimono i marcatori embrionali Oct4, Nanog e SSEA-4 e sono stimate virtualmente totipotenti (97).

I precursori endoteliali sono cellule CD133+, CD34+, VEGFR2+ e sono viste come la fonte più promettente di cellule staminali per l’integrazione in strutture vascolari con l’obiettivo di rigenerare i vasi sanguigni (98).

Le cellule staminali mesenchimali sono indicate come cellule CD44+, CD73+, CD90+, CD105+ con la potenzialità di differenziarsi in vari lineage cellulari quali il condrogenico, l’adipogenico e l’osteogenico.

Queste cellule sono facilmente raccolte sia dal sangue cordonale che dalla gelatina di Wharton (88).

Infine, le cellule staminali ematopoietiche sono le più solidamente conosciute e utilizzate.

A differenza delle cellule staminali ematopoietiche ottenute dal midollo osseo dell’adulto, quelle derivate dal sangue cordonale hanno numerosi vantaggi, tra cui un maggiore potenziale proliferativo, un tasso maggiore di ciclo cellulare e una lunghezza dei telomeri più elevata (95).

Inoltre, per via dell’immunità immunologica di questo tessuto, le cellule ottenute dal cordone ombelicale in caso di trapianto non correlato tollerano meglio la disparità HLA tra il donatore e il ricevente e presentano quindi un minor rischio di GVHD grave acuta (96, 99, 100).

Le cellule ematopoietiche del cordone sono oggi considerate le cellule maggiormente adatte per le procedure di trapianto per il trattamento di malattie, ematologiche e non, nei pazienti in cui no è possibile identificare un donatore compatibile (90, 101).

Negli ultimi anni, l’utilizzo di cellule prelevate dal cordone ombelicale per la regolazione del sistema immunitario in diverse malattie autoimmuni ha acquisito grande interesse (102-105).

In teoria il cordone ombelicale potrebbe avere un ruolo significativo nel trattamento del diabete grazie alla varietà di cellule staminali disponibili in questo tessuto; infatti, sia il controllo dell’autoimmunità mediante l’induzione di chimerismo e della tolleranza immunitaria, sia la possibilità di superare la carenza di cellule produttrici d’insulina con processi di differenziazione potrebbero essere ottenuti impiegando cellule provenienti dal cordone ombelicale.

Alcuni dati sperimentali hanno evidenziato una potenzialità delle cellule prelevate dal cordone ombelicale ad essere trasformate in simil-beta cellule, come provato dalla produzione di insulina e peptide C, ma il loro attecchimento e la sopravvivenza in vivo o non è stata sperimentata (106, 107) o è risultata insoddisfacente per passare a ipotesi di utilizzo in clinica nell’uomo (108, 109).

Più vicina alla clinica appare invece la possibilità dell’utilizzo delle cellule del sangue cordonale per la terapia del diabete di tipo 1 per via del loro ruolo potenziale di regolazione immunitaria.

A partire dall’evidenza che il sangue cordonale contenga una grossa popolazione di linfociti T regolatori immaturi (CD4+, CD25+, FoxP3+), si è testato in un primo trial clinico la possibilità di infondere il sangue cordonale autologo crioconservato all’esordio del diabete di tipo 1 (110, 111).

Difatti i linfociti T regolatori riescono ad inibire la risposte infiammatoria e ad anergizzare i linfociti T effettori che hanno un ruolo primario nella distruzione delle cellule b (112).

In un primo studio pilota 15 bambini (età media 5,5 anni) con  diabete di tipo 1 con recente diagnosi (media 4,1 mesi dall’esordio) sono stati infusi con sangue di cordone ombelicale autologo e controllati nel tempo in termini di risposta metabolica e immunologica.

Sei mesi dopo l’infusione è stato rilevato un incremento dei linfociti T regolatori nel sangue periferico in mancanza di eventi avversi significativi associati (110, 111).

Tuttavia, dopo un anno dal trapianto, non si sono notati cambiamenti nel fabbisogno di insulina, nei livelli del peptide C, nei titoli degli autoanticorpi o nel numero dei linfociti T regolatori, mostrando che la procedura è praticabile e sicura, ma non risulta efficace (113).

I medesimi riscontri negativi si sono presentati alla fine dello studio (2 anni di osservazione), conducendo alla conclusione che una sola infusione di sangue da cordone ombelicale in bambini con diabete di tipo 1 non è efficace nel revertire e arrestare la malattia (114), neanche quando l’infusione è stata accompagnata da un anno di supplementazione con vitamina D e Omega3 (110).

Un secondo studio ha ottenuto gli stessi risultati negativi (115).

Una delle ragione del fallimento di questi studi potrebbe consistere nel fatto che è stato trasferito nei pazienti un numero insufficiente di cellule con capacità rigenerativa o immunoregolatoria.

A favore di questa ipotesi in un altro studio, svolto su 7 bambini con diabete di tipo 1 di nuova diagnosi, a 6 mesi dall’infusione si è evidenziata un’associazione tra il numero di cellule ematopoietiche CD34+ presenti nel sangue cordonale e la funzione residuale delle cellule b, controllata con misurazione del peptide C dopo stimolo (115).

Un approccio diverso è stato suggerito da Zhao et al., che hanno descritto in vitro e nei modelli preclinici la capacità immunomodulatoria delle cellule staminali derivate dal cordone ombelicale sui linfociti T allogenici (116, 117).

Partendo dai risultati sperimentali ottenuti questo gruppo ha realizzato una strategia denominata “Stem Cell Educator therapy”, e l’ha applicata in un’esperienza clinica sull’uomo (118): 15 soggetti (età media di 29 anni, range 15-41) con una storia media di diabete di 8 anni (range 1-21) sono stati ri-infusi con linfociti autologhi prelevati dal sangue periferico e “rieducati” mediante il contatto con cellule staminali di cordone ombelicale allogeniche.

Questa terapia ha apparentemente migliorato i livelli di peptide C, ha ridotto i valori di HbA1c e abbassato il fabbisogno giornaliero di insulina sia in pazienti che avevano una funzione residua pancreatica che in quelli in cui questa mancava, portando gli autori dello studio a ritenere che l’approccio potesse controllare la risposta immunitaria in maniera sufficiente a permettere la rigenerazione della popolazione di cellule b native (119).

Lo stesso approccio è stato portato avanti in un secondo studio in aperto di fase I/II in 36 pazienti con diabete di tipo 2 di lunga durata, dimostrando anche in questo caso che i pazienti trattati hanno sviluppato un miglior controllo metabolico (120).

L’efficacia e la sicurezza di quest’approccio sono attualmente in fase di sperimentazione in una fase I/II di trial clinico in bambini con diabete di tipo 1 (ClinicalTrials.gov Identifier: NCT01996228, NCT01350219).

In conclusione, l’utilizzo di sangue di cordone autologo come fonte di cellule immunomodulatorie per la terapia del diabete di tipo 1 è stata inefficace.

Altri approcci che utilizzano cellule cordonali allogeniche sono in via di sperimentazione e dovranno essere valutati con molta attenzione in termini di efficacia prima di poter essere adoperati su un numero maggiore di pazienti.

Tabella 4. Studi su utilizzo di cellule di derivazione dal cordone ombelicale per la terapia del diabete

ClinicalTrial.gov Sede meccanismo cellule Sito infusione Diabete stato Ref
NCT00305344 University of Florida, Gainesville, Florida, United States immunomodulazione Sangue cordone ombelicale autologo Infusione sistemica Tipo 1 esordio Completato (113,114)
NCT00873925 University of Florida, Gainesville, Florida, United States immunomodulazione Sangue cordone ombelicale autologo + vitamin D3 e Omega 3FA Infusione sistemica Tipo 1 esordio Completato (110)
NCT00989547 Technische Universität München immunomodulazione Sangue cordone ombelicale autologo Infusione sistemica Tipo 1 esordio Sconosciuto (115)
NCT01996228 The Second Xiangya Hospital, Changsha, Hunan, China, immunomodulazione Cellule staminali del cordone ombelicale allogeniche (Stem Cell Educator therapy) Contatto exvivo conlinfociti autologhi Tipo 1 Reclutante (119)
NCT01350219 The Second Xiangya Hospital, Changsha, Hunan, China, immunomodulazione Cellule staminali del cordone ombelicale allogeniche (Stem Cell Educator therapy) Contatto exvivo conlinfociti autologhi Tipo 1 Reclutante (119)
NCT01415726 General Hospital of Jinan Military Command, Jinan, Shandong, China immunomodulazione Cellule staminali del cordone ombelicale allogeniche (Stem Cell Educator therapy) Contatto exvivo conlinfociti autologhi Tipo 2 Completato (120)
NCT01219465 Qingdao University, Qingdao, Cina immunomodulazione Cellule staminali mesenchimali allogeniche da cordone ombelicale Infusione sistemica Tipo 1 esordio Sconosciuto
NCT01954147 Diabetes Care Center of Nanjing Military Command, Fuzhou, Fujian, China Riparazione tessutale Cellule staminali mesenchimali allogeniche da cordone ombelicale+ liraglutide Infusione sistemica Tipo 2 Attivo ma non reclutante
NCT01143168 Armed Police General Hospital, P. R. Beijing, China Riparazione tessutale Cellule staminali mesenchimali allogeniche da cordone ombelicale Intrapancreatica intraarteriosa, Tipo 1 Sconosciuto
NCT02302599 Chinese PLA General Riparazione tessutale Cellule staminali Infusione sistemica Tipo 2 Reclutante
Hospital, Beijing, Beijing, China mesenchimali allogeniche da cordone ombelicale

Conservazione sangue cordonale e altre componenti staminali degli annessi extraembrionali per la terapia del diabete

Una delle domande ricorrenti nella pratica clinica posta dal paziente con diabete, tendenzialmente di tipo 1, in occasione dell’attesa di un figlio è se la conservazione del sangue cordonale o di altre componenti staminali degli annessi extraembrionali può essere utile per il trattamento del proprio diabete o di quello del nascituro qualora dovesse presentarglisi la malattia nel futuro.

Ad oggi non esiste un’applicazione clinica del sangue cordonale per il diabete che giustifichi la sua conservazione per utilizzo privato da parte del paziente che presenta il diabete.

Il tema della conservazione del sangue cordonale merita però un approfondimento più generale allo scopo di poter intendere meglio la sua utilità e i suoi limiti.

A cosa serve conservare il sangue del cordone ombelicale?

L’utilizzo clinico del sangue del cordone ombelicale è dovuto al suo contenuto di cellule staminali ematopoietiche.

Infatti, l’uso delle cellule staminali ematopoietiche che si trovano nel sangue del cordone ombelicale rappresenta una realtà terapeutica ormai affermata per la terapia di diversi pazienti affetti da varie malattie del sangue, quali malattie tumorali come la leucemia e i linfomi e patologie non tumorali come: la talassemia, l’aplasia midollare e le immunodeficienze congenite in pazienti bambini e adulti.

L’elenco completo di tali patologie è riportato nell’allegato al decreto ministeriale 18 novembre 2009 “Disposizioni in materia di conservazione di cellule staminali da sangue del cordone ombelicale per uso autologo-dedicato”, aggiornato nel 2014.

È possibile conservare il sangue del cordone ombelicale?

In Italia la normativa vigente permette, nel contesto dei servizi garantiti dal Sistema Sanitario Nazionale (SSN), la raccolta e la conservazione del sangue del cordone ombelicale:

donato per uso allogenico a fini solidaristici:

  • Dedicato al neonato con malattia in corso al momento della nascita o riscontrata in periodo prenatale, o per uso dedicato a consanguineo con patologia in atto al momento della raccolta o pregressa, che sia curabile con il trapianto di cellule staminali ematopoietiche;
  • Dedicato a famiglie a rischio di avere figli affetti da patologie geneticamente determinate per le quali vi siano comprovate evidenze scientifiche d’impiego di cellule staminali di sangue del cordone ombelicale;
  • A uso autologo-dedicato nell’ambito di sperimentazioni cliniche, approvate in accordo con la normativa vigente, volte a raccogliere le evidenze scientifiche di un possibile utilizzo del sangue cordonale nel caso di particolari patologie;

mentre vieta:

  • La conservazione a esclusivo uso autologo, in mancanza delle condizioni sopra indicate;
  • L’istituzione di banche private sul territorio nazionale;
  • Ogni forma di pubblicità relativa alle banche private.

È comunque permessa la raccolta del sangue del cordone ombelicale a scopo personale e la sua esportazione in strutture private al di fuori del territorio italiano in accordo con le regole definite da uno specifico atto normativo.

Dove è possibile donare il sangue del cordone ombelicale?

Sul territorio nazionale, il sangue del cordone ombelicale è conservato presso strutture pubbliche (Banche del Sangue da Cordone Ombelicale) e rimane a disposizione dei centri trapianto che ne avessero bisogno. L’elenco delle Banche del Sangue da Cordone Ombelicale è pubblico e disponibile al seguente link:

https://www.centronazionalesangue.it/pagine/rete-banche-sangue-cordonale.

Il Centro Nazionale Sangue in unione con il Centro Nazionale Trapianti lavora per garantire la sicurezza e l’affidabilità delle unità conservate a tutela della saluta di chi dona e di chi riceve (https://www.centronazionalesangue.it/pagine/sangue-cordonale#sthash.lkRERMt6.dpuf).

Perché non è prevista la conservazione del sangue cordonale a esclusivo uso autologo?

La conservazione del sangue cordonale ad uso autologo non è consentita in Italia perché, attualmente, non esistono prove scientifiche riguardo a un suo impiego a scopo personale al di fuori dei casi riportati nella normativa di riferimento.

Per maggiori informazioni consulta il Position Paper “Uso appropriato delle cellule staminali” e il  Position Statement “Raccolta e conservazione del sangue cordonale in  Italia” del Ministero della Salute.

Anche l’ADISCO (Associazione Donatrici Italiane Sangue Cordone Ombelicale) ha prodotto un Position Statement sulla raccolta e conservazione del sangue cordonale in Italia.

Esistono banche private per la conservazione del proprio sangue da cordone ombelicale?

In Italia non si possono istituire banche private per la conservazione del sangue del cordone ombelicale, ma esiste una rete di “mediatori” che provvedono a fornire il servizio di ritiro, trasporto e consegna del cordone dall’Italia a una banca all’estero.

Banche private per la conservazione del sangue cordonale per la terapia del diabete?

Una valutazione tramite rete ha individuato 32 siti di banche private che promuovono la conservazione del sangue del cordone ombelicale a uso “personale”.

Queste aziende hanno sede legale negli Stati Uniti, a San Marino, in UK, Repubblica Slovacca, Belgio, Svizzera, Polonia, Germania e Grecia mentre le sedi dove vengono fisicamente conservate le cellule staminali sono sparse in tutto il mondo.

Il costo medio per la raccolta e la crioconservazione per circa 20 anni delle cellule del cordone è di 2370 euro (con un range tra 1570 e 3100 euro).

Una revisione delle informazioni sui benefici della crioconservazione delle cellule dal sangue cordonale mostra un modello di informazioni non chiare e potenzialmente fuorviante.

Tutte le banche del cordone private redigono elenchi molto simili di malattie che “possono essere trattate” con il trapianto di sangue del cordone ombelicale, tra cui tumori, patologie con sintomatologia di deficit midollare e malattie genetiche.

La maggior parte di queste sono malattie curabili solamente con un trapianto allogenico di cellule ottenute da cordone ombelicale, ma molte banche commerciali non descrivono la differenza tra trapianto autologo e allogenico con sufficiente chiarezza, lasciando pensare al possibile cliente che le indicazioni per il trapianto allogenico siano valide anche per i trapianti autologhi.

La maggior parte delle banche commerciali inoltre mette in elenco anche molte condizioni che potrebbero essere curate in futuro con terapie cellulari al momento ancora in una fase precoce di studio.

Per quanto riguarda il trattamento del diabete, 28 delle 32 banche considerate descrivono nei loro siti web l’utilità della crioconservazione delle cellule staminali del cordone.

Nella maggior parte dei casi il diabete appare come una delle patologie che potranno essere curate in futuro e per le quali sono in corso dei trials clinici con lo scopo di determinarne l’efficacia.

In alcuni casi l’indicazione di un potenziale utilizzo delle cellule staminali conservate nel  campo del diabete viene data alla descrizione dei trials clinici (spesso facendo riferimento al sito clinicaltrials.gov, del NIH) o alla pubblicazione di un elenco di articoli scientifici in cui si è sperimentato il potenziale delle cellule staminali ematopoietiche nel diabete o ancora alle parole di un esperto.

Alcune banche riportano un’esperienza diretta di trapianto di cellule staminali da loro conservate in soggetti con diabete di tipo 1 e 2, senza riferimenti specifici a sperimentazioni registrate o a pubblicazioni scientifiche.

Conclusione

L’evoluzione della medicina rigenerativa e lo studio della biologia delle cellule staminali sta spianando la strada a scenari innovativi anche nel campo terapeutico.

Nonostante ciò attualmente tutti i trattamenti riportati in questo documento non possono essere considerati uno standard clinico e quindi devono essere eseguiti solamente all’interno di studi clinici approvati dai comitati etici e dalle rispettive autorità regolatorie competenti.

Per poter meglio informare i pazienti si segnala che la International Society for Stem Cell Research ha stilato delle linee guida per i pazienti sulla partecipazione a trial con terapia cellulare tradotti in molte lingue, compreso l’italiano che si possono trovare nel  web all’indirizzo: https://www.closerlookatstemcells.org/docs/default-source/patient-resources/patient-handbook—italian.pdf?sfvrsn=4.

Riferimenti di società scientifiche per informazione sulla donazione del midollo osseo e del sangue cordonale

Riferimenti Internazionali

  • European Group for Blood and Marrow Transplantation
  • International Society for Cell Therapy (ISCT)
  • International Bone Marrow Transplant Registry (IBMTR)
  • Joint Accreditation Committee of ISHAGE and EBMT (JACIE)
  • World Marrow Donor Association (WMDA)
  • International Society of Blood Transfusion (ISBT)
  • International NetCord Foundation(NETCORD)

Gruppi clinico-scientifici ed organizzazioni nazionali:

  • Gruppo Italiano Trapianto Midollo Osseo (GITMO)
  • Italian Bone Marrow Donor Registry (IBMDR)
  • Associazione Donatori Midollo Osseo (ADMO)
  • Società Italiana di Ematologia (SIE)
  • Associazione Italiana di Oncoematologia Pediatrica (AIEOP)
  • Società Italiana di Medicina Trasfusionale e di Immunoematologia (SIMTI)
  • Società Italiana di Emaferesi (SIDE)

 

BIBLIOGRAFIA

  1. D’Amour KA, Bang AG, Eliazer S, Kelly OG, Agulnick AD, Smart NG, et al. Production of pancreatic hormone-expressing endocrine cells from human embryonic stem cells. Nat Biotechnol 2006;24:1392-401.
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