Ammi majus: proprietà curative. A cosa serve? Come si usa?

Ammi majus

Tratto da “Piante Medicinali – Chimica, Farmacologia e Terapa” di R. Benigni, C. Capra e P.F.Cattorini

(Sin. – Ammios muricata Moench. – Apium Ammi Crantz. – Ammi vulgare Raj.)

Ammi majus- Ultimo aggiornamento pagina: 27/02/2018

Indice dei contenuti

  1. Generalità
  2. Componenti principali
  3. Proprietà farmacologiche
  4. Estratti e preparati vari
  5. Preparazioni usuali e Formule
  6. Bibliografia

Generalità

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ammimajus

Etimologia – Ammi Ammios. dal greco sabbia, allusione all’aspetto dei frutti che, in quantità, sembrano sabbia.

majus – comparativo neutro di magnus (grande) = maggiore.

Apium – Nome generico da ape, perchè fu creduto che le api ricercassero i fiori di queste piante; oppure da apice, cima, perché gli antichi usavano l'appio per fare corone che mettevano in cima al capo.

Nome volgare Rizzomolo. Capo bianco.

Habitat – Qua e là nei campi, luoghi incolti, vigne. Regione mediterranea, Sicilia, Spagna.

Pianta erbacea annuale.

Parti usate 1 frutti (freschi) (diacheni e mericarpi).

Componenti principali

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Le furocumarine ammotdina (1) (2), identica alla xantotossina C14H8O4 (3). ammidina (1), identificata con la imperatorina C16H14O4 (3). majudina. identica al bergaptene C12H8O4 (1), ammaijna (21) ed una quinta furocumarina identificata con la marmesina C14H14O4 (4). trovata da Chatterjee e Mitra (5) nella corteccia di Aegle marmelos Correa. Dai frutti sono stati isolati 0,5 di ammoidina, 0,3% di ammidina e 0,04% di majudina (1).

Altri componenti (6): composto glicosidico amorfo (1%), tannino (0,45 %), oleoresina (4,67 %), olio fisso (12,94 7n). protidi (13,8 7), cellulosa (22,4%). ossalato di calcio, tracce di olio volatile, mucillaggine, gomme; ceneri (7,09 %), acqua (6,17%) (6).

ammimajus Figura 1

Proprietà farmacologiche ed impiego terapeutico

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L'Ammi majus era nota in Egitto fin dal secolo XIII e sembra fossero i medici arabi Ibn El Bitar, Dawood El Antaky ed altri ad usarla per primi nel trattamento delle leucodermie.

La droga veniva ed è tuttora, impiegata dagli arabi d'Egitto, sotto forma di polvere del frutto, che viene somministrata alla dose di 4-12 mg dopo i pasti per 15 giorni, esponendo le parti leucodermiche al sole, sino alla formazione di eritemi.

L'impiego della droga sotto questa forma, non è però privo di inconvenienti, inconvenienti dovuti principalmente alla sua azione irritante sul tubo gastroenterico e tossica sul fegato e sui reni, azioni che si manifestano con nausea, vomito, diarrea, dolori addominali e, in alcuni inalati ricoverati in ospedale, furono notate anche dermatiti desquamative, epatiti con cirrosi, nefriti e coma più o meno prolungato. Il fatto che, nonostante la comparsa di queste manifestazioni tossiche, i risultati terapeutici si presentavano soddisfacenti, indusse alcuni dermatologi egiziani ad approfondirne lo studio e fu appunto un dermatologo, il Prof. Azer (7) che nel 1941 inviò un campione di polvere della droga, a lui ancora sconosciuta, al Prof. Ragab Fahmy per la identificazione e lo studio.

Le ricerche che ne seguirono condussero alla identificazione botanica della polvere, che risultò essere costituita appunto dai frutti di Ammi majus e all'isolamento dei principi! attivi, ammoidina e ammidina, da parte di Ragab Fahmy e Abu Shady (1-2).

Venne dapprima preparato un estratto molle alcoolico (una parte del del quale corrispondeva a 4 p. del frutto polverizzato) che veniva som- ministrato in capsule cheratinizzate, esponendo poi le aree leucodermiche alla luce solare per 1 ora e ½ al giorno.

Risultò che anche sotto questa forma, la droga era tollerata soltanto da pochi soggetti particolarmente resistenti, mentre nella maggior parte dei casi provocava vertigine, nausea, perdita dell’appetito per parecchie ore, tanto che alcuni pazienti furono costretti a sospendere la cura.

I risultati terapeutici ottenuti, furono però giudicati soddisfacenti in generale e tali da giustificare successive indagini.

La DL50 di tale estratto, determinata sul Bufo vulgaris, risultò essere di g 0,05/100 g di p. c. mentre quella dell'ammoidina risultò pari a 400 mg/Kg e quella dell'ammidina di 800 mg/Kg.

L'ammoidina e l'ammidina. che non sono dotate delle proprietà irritanti e dell'odore pungente caratteristici della droga e dell'estratto alcoolico, vennero sperimentate clinicamente da Abdel Monem E1 Mofty (8) della Facoltà di Medicina dell'Università del Cairo ed impiegate sia in soluzione, a gocce per os, sia sotto forma di pomate per applicazione locale, esponendo le lesioni leucodermiche alla luce solare o ai raggi ultravioletti.

I risultati ottenuti dall'A. dimostrarono che queste sostanze sono dotate di un notevole effetto specifico sulla leucodermia idiopatie?, sia per uso orale che locale. L'ammoidina veniva somministrata alla dose di g 0,05 al giorno (pari a g 10 circa, di droga polverizzata), oppure applicata localmente sotto forma di pomata all' 1 %> di ammoidina in glicerina e alcool.

Per esposizione ai raggi solari o ai raggi ultravioletti, si ottiene una reazione eritematosa con formazione di flittene, scomparsa la quale si osserva, nella maggior parte dei casi, la ripigmentazione delle zone leucodermiche.

L'A. descrive alcuni casi giudicati refrattari e che risposero invece positivamente ripetendo lo stesso trattamento dopo un intervallo di 15 giorni.

Secondo l’A., la droga somministrata sotto forma di polvere dei frutti avrebbe il grande svantaggio di provocare nausea, vomito, diarrea, itterizia in 3lcuni casi, nefrite in altri, coma prolungato, depressione generale, incapacità di concentrarsi e dermatiti desquamative. Il processo di depurazione ridurrebbe notevolmente le reazioni tossiche senza alterare l'attività della droga. Anche l’estratto molle però non è esente da effetti tossici e verrebbe tollerato soltanto da pochi pazienti. Il principio attivo cristallizzato, l’ammoidina, è invece meglio tollerato e non determina nausea o albuminuria, anche se somministrato per un periodo di tre mesi alla dose di g 0,05 al giorno.

L’A. ha anche notato che la somministrazione orale dell’ammoidina, in qualche caso ha lo stesso effetto della pomata applicata localmente.

Fu osservato inoltre che i risultati sono più sicuri nei soggetti giovani e nei casi recenti [Fahmy e Abu Shady (9)].

Lo studio clinico dell'Ammi majus venne ripreso qualche anno dopo in Francia da Sidi e Bourgeois-Gavardin (10) i quali dopo aver ricordato che la vitiligo è un'acromia acquisita, la cui eziologia non è stata ancora chiarita e che si manifesta soprattutto nelle donne giovani e nei soggetti a pelle molto pigmentata, hanno riferito i risultati da essi ottenuti su alcuni pazienti trattati con principii attivi puri di Ammi majus.

La cura veniva eseguita somministrando per os, compresse contenenti – 10 mg di ammoidina e 5 mg di ammidina e trattando localmente le lesioni leucodermiche con impacchi di cotone imbevuto di una soluzione alcoolica di ammoidina allo 0,75 '/n e di ammidina allo 0,25 % e facendo seguire dopo 10’ dall’applicazione, l’esposizione al sole o ai raggi ultravioletti a dose suberitematosa, per un tempo progressivamente crescente. Le compresse venivano somministrate alla dose iniziale di una al giorno ed aumentando, ce ben tollerata, fino a 4 al giorno dopo due settimane e, in seguito, fino a 5-6 compresse al giorno, nel caso in cui la ripignienta- zione non avesse avuto inizio. Gli AA. applicarono questo trattamento locale e generale a 6 malati, in 4 dei quali la pigmentazione comparve un mese dopo l’inizio del trattamento protratto per 3 settimane. In un altro, le prime macchie di pigmento comparvero soltanto dopo tre mesi mentre il sesto venne sottoposto per 5 mesi al trattamento orale, senza alcun risultato: la pigmentazione comparve però dopo la seconda applicazione locale seguita da esposizione alla luce solare.

Nonostante i risultati favorevoli ottenuti, la guarigione non è apparsa completa e gli AA. non escludono la possibilità di recidive.

Le ricerche vennero riprese dagli stessi AA. dopo un anno dalle prime prove, impiegando questa volta compresse contenenti mg 7,5 di ammoidina (xantotossina) e mg 2,6 di ammidina (imperatorina) per os e soluzioni alcooliche di diversa concentrazione, normale e debole (contenenti rispettivamente r 1 % di ammoidina e lo 0,5 % di ammidina, oppure lo 0,50 % di ammoidina e lo 0,25 % di ammidina), per applicazioni locali.

Le compresse venivano somministrate alla dose di 3-4 al giorno dopo i pasti, interrompendo la somministrazione per 8 giorni ogni mese. Questo trattamento sarebbe in generale ben tollerato e soltanto raramente può dar luogo a disturbi del tipo già descritto e che comunque scompaiono continuando la cura.

La terapia locale è stata attuata esponendo le aree acromiche, precedentemente bagnate con le suddette soluzioni, a irradiazioni solari o ai raggi ultravioletti. Le radiazioni solari si sono dimostrate di gran lunga più attive e .sono risultate efficaci soltanto se applicate dopo diverse ore dal trattamento con la soluzione. Gli AA. precisano che, allo scopo di evitare la comparsa di iperpigiiientazioni antiestetiche al limite delle aree leucodermiche, è necessario limitare l'applicazione della soluzione alla zona acromica e proteggere la cute circostante bagnandola con una soluzione di acido paraminobenzoico in alcool di 60".

Gli eritemi più o meno gravi, possono essere evitati limitando l'esposizione al sole o ai raggi ultravioletti, esposizione che deve essere brevissima nei primi giorni e gradatamente aumentata nei giorni successivi. Essa deve essere fatta però tutti i giorni o a giorni alterni. E’ importante lavare poi le zone trattate e ricoprirle con una crema antiattinica, evitando la ulteriore esposizione al sole.

La soluzione debole viene impiegata soltanto nelle prime due settimane o per il trattamento delle parti più delicate (palpebre, ascelle, ecc.).

L'esposizione troppo prolungata può dar luogo alla formazione di edemi, di flittene o a nausea, vertigine, cefalea, anuria transitoria od anche a fenomeni relativi a fotosensibilizzazione, con la comparsa di eczemi, dopo tre settimane (due mesi dall’inizio della terapia). Nel primo caso occorre sospendere il trattamento sino alla scomparsa dei disturbi, badando poi che l’esposizione alla luce sia brevissima (15-30”) all’inizio della ripresa del trattamento e prolungandola poi gradatamente. Anche nel secondo caso la cura deve essere immediatamente interrotta! onde evitare la generalizzazione degli eczemi. I casi di fotosensibilizzazione sono però rari e gli AA. non ne avrebbero notati che 5 su 106 soggetti trattati.

Di questi 106 pazienti sottoposti al suddetto trattamento, 33 lo hanno interrotto, o in seguito alla comparsa di reazioni locali o per il sopraggiungere dll’inverno. 84 hanno risposto favorevolmente alla cura. Di questi, 7 sono guariti; in 10 la guarigione è stata quasi completa; 17 sono migliorati e 50 non presentavano che un principio di ripigmentazione.

I bambini e gli adolescenti rispondono più rapidamente alla terapia con Ammi majus e le forme più recenti con tendenza alla ripigmentazione spontanea, sono più sensibili al trattamento, mentre le forme di vecchia data, poco estese e poco evolutive, si rivelano le più resistenti. Nei casi di guarigione, il buon esito della cura sembrerebbe persistente.

Secondo Elliot (11) invece, la ripigmentazione, più che con l’età dei pazienti, la durata della malattia e l’estensione delle lesioni, sembrerebbe in relazione con il tempo totale dell’esposizione al sole e con la localizzazione delle lesioni. Le lesioni del dorso della mano e del piede, sarebbero meno sensibili al trattamento di quelle localizzate sulla cute del viso, dell’addome e delle ascelle.

Dopo i favorevoli risultati comunicati dagli AA. francesi ed egiziani, l’ Ammi majus ha destato l’interesse anche dei dermatologi italiani e fra essi ricordiamo il Serri (12) che considera questa droga come il miglior rimedio a nostra disposizione per il trattamento della vitiligo. Scotti e Montini (13), meno entusiasti, non ritengono che con VAmmi majus si possano ottenere risultati migliori di quelli da essi stessi ottenuti con la vitamina H e con i raggi ultravioletti. Il Donati (H) ritiene l'Ammi majus degna di considerazione nel trattamento della vitiligo, dato il sistematico fallimento di tutti gli altri mezzi terapeutici.

Avverte però che questa droga non è di facile impiego e che i risultati non sono costanti.

Analogamente il Puglisi (15), trova la droga efficace e, benché incostante, la considera come l’unico mezzo atto a dare risultati esteticamente soddisfacenti.

Il Grassi (16), il quale conclude che il trattamento della vitiligo con l'Ammi majus è apparso, dai risultati delle sue esperienze cliniche, come l'unica cura dalla quale si possano trarre con una certa costanza, notevoli vantaggi. Pur non rappresentando la terapia ideale, in quanto raramente capace di condurre a guarigione della malattia, è tuttavia idonea a determinare risultati estetici soddisfacenti. Secondo questo A. i risultati sarebbero tanto più brillanti quanto più vivaci sono le reazioni della cute vitiliginosa sensibilizzata alla irradiazione attinica. Per evitare fotodermatiti dannose, sarebbe pertanto necessaria, secondo l'A., un'attenta e continua sorveglianza medica per tutta la durata del trattamento che, altrimenti, potrebbe riuscire inutile e dannoso.

Un potenziamento dell'attività dell’ Ammi majus, sembra si possa ottenere, secondo E1 Mofty (17), associando la somministrazione di solfato di rame somministrato alla dose di 15 mg suddivisi in tre dosi, per OS. Tale associazione migliorerebbe notevolmente i risultati conseguibili con l'Ammi majus e con la irradiazione attinica. Con ciò la percentuale delle guarigioni (ripigmentazione completa di tutte le aree leucodermiche) salirebbe dal 7 % al 34 %.

Sull'attività terapeutica dell’Ammi majus e dei suoi principii attivi, sono state eseguite molte ricerche durante questi ultimi due o tre anni (*) ma il meccanismo d'azione di queste sostanze non è ancora noto. Esse determinano una sensibilizzazione fotodinamica della cute, ma un’influenza diretta sul pigmento o sulle cellule pigmentate, secondo i risultati di ricerche sperimentali condotte da Korting e coll. (18), non sembrerebbe probabile. Molti aspetti della loro attività farmacologica e tossicologica non sono stati ancora sufficientemente chiariti e molti interrogativi esistono ancora per i quali mancano tuttora risposte soddisfacenti.

Da un recente lavoro statistico eseguito dal Pariser (19) in base alle casistiche ottenute da cento dermatologi di diverse parti del mondo, risulterebbe che l'uso sistematico delle furocumarine ad azione fotosensibilizzante derivate dal psoralene (quali l'ammoidina, l'ammidina e la majudina) mentre ha causato una vasta gamma di disturbi, fra i quali nausea, vomito, ulcere gastriche, dermatiti, ustioni, albuminuria, emorragie rettali, itterizia, non hanno dato che scarsi e dubbi risultati terapeutici, nella maggior parte dei casi clinici trattati.

Esperimenti su animali avrebbero inoltre dimostrato che l'uso prolungato di queste sostanze può provocare lesioni oculari (cataratta) e lo sviluppo di tumori, dovuto probabilmente all'azione di fattori foto- sensibilizzanti.

L’uso cosmetico dell'Ammi majus e dei suoi principii attivi, come sostanze abbronzanti, dovrebbe essere escluso (18-20) e così pure dovrebbe essere evitato il loro impiego incauto e indiscriminato. Secondo il Pariser anzi, il loro uso dovrebbe essere, almeno per ora, limitato al solo scopo sperimentale.

Estratti e preparati vari

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Estratto fluido (g 1 = LV gtt).

Dosi: si usa la tintura per uso esterno, secondo prescrizione medica.

Preparazioni usuali e formule galeniche

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Tintura

Estratto fluido ammi majus …………………………………… g. 20

Alcool di 70" ……………………………………………………. g. 80

(per uso esterno)

BIBLIOGRAFIA

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