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La fibrillazione atriale è l’aritmia cardiaca persistente più comune e, a seconda del contesto clinico, può essere classificata come “valvolare” o “non valvolare”. Questa distinzione, apparentemente semantica, ha conseguenze pratiche importanti, soprattutto nella prevenzione dell’ictus e nella scelta dei farmaci anticoagulanti. Comprendere che cosa si intenda per fibrillazione atriale non valvolare aiuta clinici e pazienti a inquadrare correttamente la condizione e a impostare decisioni terapeutiche coerenti con le evidenze disponibili.
Non si tratta di una forma “più lieve” di fibrillazione atriale, ma di un’etichetta che indica l’assenza di specifiche patologie valvolari che modificano significativamente il rischio tromboembolico e le strategie terapeutiche. Sapere quali quadri rientrano (e quali no) nella definizione di “non valvolare” evita ambiguità nella pratica quotidiana, nella comunicazione tra specialisti e nella lettura di studi clinici, in cui i criteri di inclusione/esclusione sono spesso costruiti proprio su questa distinzione.
Definizione di fibrillazione atriale non valvolare
Con “fibrillazione atriale non valvolare” si indica la fibrillazione atriale presente in un paziente che non ha una stenosi mitralica reumatica di grado moderato-severo né una protesi valvolare meccanica. Questi due scenari – stenosi mitralica reumatica significativa e valvola meccanica – sono considerati altamente trombogenici e richiedono protocolli specifici di anticoagulazione che differiscono dalla gestione della maggior parte dei pazienti con fibrillazione atriale. In altre parole, la qualifica “non valvolare” risponde alla domanda: la fibrillazione atriale si verifica in assenza di quelle due condizioni valvolari che impongono scelte terapeutiche dedicate? Se la risposta è sì, parliamo di fibrillazione atriale non valvolare.
Questa definizione nasce dall’esigenza di separare contesti clinici con fisiopatologia e rischio tromboembolico peculiari. Nella stenosi mitralica reumatica significativa, il rimodellamento dell’atrio sinistro e il rallentamento dei flussi favoriscono la formazione di trombi anche in modo più accentuato rispetto ad altre valvulopatie. Le protesi meccaniche, dal canto loro, introducono superfici artificiali intravascolari intrinsecamente trombogeniche, con necessità di anticoagulazione a range terapeutici specifici. È per questo che queste due condizioni sono esplicitamente escluse dalla categoria “non valvolare” e considerate a parte nei percorsi di cura.
Rientrano invece generalmente nella definizione di fibrillazione atriale non valvolare tutti gli altri contesti: valvulopatie native non reumatiche (ad esempio insufficienza mitralica o aortica, stenosi aortica), forme lievi o moderate di malattia valvolare non reumatica, valvole biologiche (bioprotesi) una volta superata la fase perioperatoria, esiti di riparazione valvolare (per esempio annuloplastica mitralica), e dispositivi transcatetere come TAVI e riparazione edge-to-edge quando non coesista una stenosi mitralica reumatica moderato-severa. In queste situazioni, la fisiopatologia del rischio tromboembolico è più vicina a quella della fibrillazione atriale “comune”, e le raccomandazioni terapeutiche si allineano a quelle per la fibrillazione atriale non valvolare.

È importante sottolineare che la dicitura “non valvolare” non descrive la gravità dell’aritmia né la sua probabilità di recidiva: riguarda esclusivamente la presenza o l’assenza di specifiche condizioni valvolari che cambiano le regole del gioco. Un paziente con fibrillazione atriale non valvolare può avere un carico aritmico elevato, sintomi importanti o comorbilità significative; viceversa, una fibrillazione atriale “valvolare” può manifestarsi in forma pauci-sintomatica. La classificazione, quindi, non è un giudizio prognostico univoco, ma un’etichetta utile a orientare la strategia di prevenzione dell’ictus e la scelta dei farmaci anticoagulanti più appropriati.
Dal punto di vista fisiopatologico, la fibrillazione atriale non valvolare condivide i meccanismi di base della fibrillazione atriale in generale: attivazioni elettriche caotiche che originano spesso dalle vene polmonari e si propagano nell’atrio sinistro, perdita della contrazione atriale efficace e conduzione ventricolare irregolare. Questi fenomeni determinano sia la sintomatologia (palpitazioni, ridotta tolleranza allo sforzo, dispnea) sia il rischio di formazione di trombi nell’auricola sinistra. Ciò che distingue la forma non valvolare è che questo rischio, pur presente, non è accentuato da una stenosi mitralica reumatica significativa o da una protesi meccanica, contesti per i quali le strategie di prevenzione devono essere più stringenti e con farmaci specifici.
La distinzione “valvolare vs non valvolare” ha soprattutto implicazioni terapeutiche. Nei pazienti con fibrillazione atriale non valvolare, le principali linee guida supportano l’uso di anticoagulanti orali diretti per la prevenzione dell’ictus, quando il profilo di rischio tromboembolico supera determinate soglie, tenendo conto in parallelo del rischio emorragico. Al contrario, in presenza di protesi meccaniche valvolari o di stenosi mitralica reumatica moderato-severa, si raccomanda tradizionalmente l’impiego di anticoagulanti antagonisti della vitamina K con target specifici. È quindi la definizione stessa a fungere da snodo decisionale: accertare se la fibrillazione atriale sia “non valvolare” o “valvolare” è il primo passo logico prima di impostare la prevenzione dell’ictus.
Cause principali
Le cause della fibrillazione atriale non valvolare sono multifattoriali e derivano dall’interazione tra condizioni cardiache e fattori sistemici. L’età avanzata, l’ipertensione arteriosa, la cardiopatia ischemica, l’insufficienza cardiaca, le cardiomiopatie e alcune valvulopatie native non reumatiche contribuiscono al rimodellamento elettrico e strutturale degli atri, favorendo l’insorgenza dell’aritmia. La definizione “non valvolare” esclude specificamente la stenosi mitralica reumatica moderato-severa e le protesi meccaniche, ma non altre malattie valvolari, che possono coesistere.
Tra i fattori extracardiaci assumono rilievo l’obesità, la sindrome delle apnee ostruttive del sonno, il diabete mellito, le disfunzioni tiroidee, la malattia renale cronica e stati infiammatori sistemici. Anche lo stile di vita influisce: consumo eccessivo di alcol (compreso il cosiddetto “holiday heart”), fumo di sigaretta e l’uso di sostanze o farmaci stimolanti possono facilitare l’innesco o la recidiva degli episodi.
Eventi acuti possono precipitare una fibrillazione atriale in soggetti predisposti: infezioni sistemiche, interventi chirurgici (in particolare cardio-toracici), squilibri elettrolitici, disidratazione, embolia polmonare o pericardite sono tra i trigger più comuni. In questi scenari, la correzione del fattore scatenante si accompagna alla gestione dell’aritmia, ma la suscettibilità di base può persistere.
Esiste inoltre una componente genetica e familiare in una quota di pazienti, mentre a livello atriale il progressivo accumulo di fibrosi e l’aumento delle pressioni di riempimento creano un substrato favorevole al mantenimento del ritmo irregolare. Il riconoscimento dei fattori modificabili e la loro correzione (controllo pressorio, gestione del peso, trattamento dell’apnea del sonno, moderazione dell’alcol) integrano le terapie specifiche e possono ridurre il carico aritmico nel tempo.
Sintomi comuni
La fibrillazione atriale non valvolare (FANV) può manifestarsi con una varietà di sintomi, la cui intensità varia da persona a persona. I sintomi più frequenti includono palpitazioni, ovvero la percezione di un battito cardiaco rapido e irregolare, spesso descritto come “batticuore” o “sfarfallio” nel petto. (my-personaltrainer.it)
Altri sintomi comuni sono la dispnea, ossia la difficoltà respiratoria, che può insorgere anche durante attività fisiche leggere, e l’astenia, una sensazione di stanchezza o debolezza generale. Alcuni pazienti riferiscono anche vertigini, senso di svenimento o sincope, e dolore toracico.
È importante notare che, in alcuni casi, la FANV può essere asintomatica, rendendo la diagnosi più complessa. In tali situazioni, l’aritmia viene spesso scoperta incidentalmente durante esami medici di routine o valutazioni per altre condizioni. (humanitas.it)
Diagnosi e trattamento
La diagnosi di fibrillazione atriale non valvolare si basa su una combinazione di anamnesi, esame obiettivo ed esami strumentali. L’elettrocardiogramma (ECG) è l’esame principale per identificare l’aritmia, registrando l’attività elettrica del cuore e rilevando eventuali irregolarità nel ritmo cardiaco.
In alcuni casi, può essere necessario un monitoraggio prolungato tramite Holter ECG, che registra l’attività cardiaca per 24-48 ore, o l’impianto di un loop recorder, un dispositivo sottocutaneo che monitora continuamente il ritmo cardiaco per periodi più lunghi. (auxologico.it)
Il trattamento della FANV mira a controllare la frequenza cardiaca, ripristinare il ritmo sinusale normale e prevenire le complicanze tromboemboliche. Le opzioni terapeutiche includono:
- Farmaci antiaritmici: utilizzati per mantenere o ripristinare un ritmo cardiaco normale.
- Farmaci per il controllo della frequenza: come i beta-bloccanti o i calcio-antagonisti, che aiutano a mantenere la frequenza cardiaca entro limiti accettabili.
- Anticoagulanti orali: fondamentali per ridurre il rischio di formazione di trombi e conseguenti ictus. I nuovi anticoagulanti orali (NAO) offrono vantaggi rispetto ai tradizionali antagonisti della vitamina K, come una minore necessità di monitoraggio e un profilo di sicurezza migliorato. (topdoctors.it)
- Procedure interventistiche: in alcuni casi, può essere indicata l’ablazione transcatetere, una procedura che mira a isolare le aree del cuore responsabili dell’aritmia.
Quando consultare un cardiologo
È consigliabile consultare un cardiologo se si manifestano sintomi suggestivi di fibrillazione atriale, come palpitazioni persistenti, dispnea inspiegabile, vertigini frequenti o dolore toracico. Anche in assenza di sintomi evidenti, è opportuno sottoporsi a controlli cardiologici regolari se si presentano fattori di rischio come ipertensione, diabete, obesità o una storia familiare di malattie cardiache.
Una diagnosi precoce e un trattamento tempestivo della FANV sono essenziali per prevenire complicanze gravi, come l’ictus o l’insufficienza cardiaca. Pertanto, non bisogna sottovalutare eventuali segnali d’allarme e rivolgersi prontamente a uno specialista per una valutazione approfondita.
In conclusione, la fibrillazione atriale non valvolare è un’aritmia comune che richiede attenzione medica adeguata. Riconoscere i sintomi, sottoporsi a una diagnosi accurata e seguire un trattamento appropriato sono passaggi fondamentali per gestire efficacemente questa condizione e migliorare la qualità di vita dei pazienti.
Per approfondire
Humanitas – Fibrillazione atriale: Una panoramica completa sulla fibrillazione atriale, incluse cause, sintomi e opzioni terapeutiche.
Auxologico – Fibrillazione atriale: sintomi, cura, cause, terapia: Approfondimenti sulle opzioni diagnostiche e terapeutiche per la fibrillazione atriale.
