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L’infiammazione è una risposta biologica complessa, progettata per proteggere l’organismo e riparare i tessuti danneggiati. Quando ci chiediamo “che cosa fa passare l’infiammazione?”, in realtà stiamo cercando di capire come spegnere in modo fisiologico una cascata di segnali che parte dal sistema immunitario e coinvolge vasi, cellule e mediatori chimici. La risoluzione avviene quando lo stimolo che ha scatenato la risposta viene rimosso e quando il corpo ristabilisce l’equilibrio attraverso meccanismi di “spegnimento” attivi. Se lo stimolo persiste o la risposta resta disallineata all’obiettivo, l’infiammazione può cronicizzare e diventare causa di dolore, rigidità, stanchezza e danni d’organo.
Non tutta l’infiammazione è uguale: quella acuta è rapida, intensa e finalizzata alla riparazione (per esempio dopo una distorsione o un’infezione), mentre quella cronica è più silente ma prolungata e può sostenere malattie reumatologiche, metaboliche e cardiovascolari. Comprendere le cause, riconoscere i segnali e intervenire in modo mirato è la chiave per ridurre i sintomi e favorire una vera risoluzione. In questa guida analizziamo i fattori che innescano l’infiammazione e perché a volte non si spegne da sola, per arrivare poi a considerare opzioni farmacologiche e complementari utili a gestirla con consapevolezza.
Cause dell’infiammazione
L’infiammazione nasce quando l’organismo rileva un danno o una minaccia. Tra i trigger acuti più comuni rientrano traumi (contusioni, distorsioni), infezioni batteriche o virali, ustioni, esposizione a sostanze irritanti o tossiche e microlesioni ripetute dovute a sovraccarico meccanico. Il sistema immunitario risponde con la liberazione di mediatori (come prostaglandine, leucotrieni, citochine) che aumentano il flusso di sangue, richiamano cellule difensive e modulano la percezione del dolore. Clinicamente compaiono i segni classici: arrossamento, calore, gonfiore, dolore e, talvolta, perdita di funzione. In condizioni ideali, dopo la fase acuta subentra la fase di risoluzione, sostenuta da mediatori pro-risolutivi, che disinnescano la risposta e promuovono la rigenerazione dei tessuti. Se l’agente causale persiste o la riparazione è incompleta, i segnali infiammatori possono mantenersi e aprire la strada alla cronicità.
Esistono poi cause che favoriscono un’infiammazione di basso grado ma continua, spesso coinvolta nelle patologie croniche. In ambito reumatologico, infezioni persistenti, reazioni autoimmuni (in cui il sistema immunitario attacca strutture proprie), depositi cristallini (come nell’attacco gottoso), microtraumi ripetuti o degenerazione articolare (come nell’artrosi) possono mantenere attivi i circuiti infiammatori. Anche condizioni sistemiche quali obesità viscerale, insulino-resistenza e dislipidemia creano un ambiente pro-infiammatorio attraverso il rilascio costante di citochine dall’adipe e lo stress ossidativo; l’età e la “immunosenescenza” possono alterare ulteriormente i meccanismi di controllo. Identificare la radice del problema è cruciale, perché strategia e tempi di risoluzione dipendono dal tipo di trigger e dalla sua persistenza. Scoprire quali antinfiammatori fanno meno male può aiutare a scegliere opzioni più tollerabili quando la terapia farmacologica è necessaria.
Fattori ambientali e stili di vita contribuiscono in modo significativo. Fumo di sigaretta, inquinanti atmosferici, carenza cronica di sonno, stress psico-fisico prolungato e sedentarietà amplificano la reattività infiammatoria. Anche la dieta ha un ruolo: un eccesso di alimenti ultra-processati, zuccheri semplici e grassi trans, insieme a un rapporto sbilanciato tra omega-6 e omega-3, può favorire uno stato infiammatorio subclinico; al contrario, regimi alimentari ricchi di fibre, legumi, pesce, frutta e verdura modulano positivamente il microbiota e i mediatori pro-risolutivi. Le disbiosi intestinali e condizioni come la parodontite possono agire da serbatoi infiammatori cronici. Sul versante muscolo-scheletrico, sovraccarico e scarsa variabilità del movimento alimentano microlesioni che, nel tempo, si traducono in dolore e rigidità. In questo contesto, patologie articolari come l’artrosi possono riacutizzarsi con fasi infiammatorie più marcate, per le quali talvolta è utile valutare il miglior antinfiammatorio per l’artrosi.

Nel campo della reumatologia, diverse entità cliniche hanno meccanismi causali distinti che influenzano l’andamento dell’infiammazione. Le malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide sono sostenute da autoanticorpi e citochine pro-infiammatorie che colpiscono sinovia e altri tessuti; le spondiloartriti, spesso associate a predisposizione genetica (es. HLA-B27), si presentano con infiammazione a carico di entesi e colonna, talvolta innescata da eventi infettivi o stress meccanici. Le artropatie microcristalline (gotta, condrocalcinosi) dipendono dalla deposizione di cristalli che attivano l’inflammasoma, generando attacchi acuti molto dolorosi. L’artrosi, pur essendo una patologia degenerativa, comprende una componente infiammatoria locale legata al danno cartilagineo e alla sinovite reattiva. La diagnosi differenziale tra queste condizioni è fondamentale perché indirizza trattamenti specifici (dai farmaci sintomatici agli agenti modificanti la malattia) e definisce aspettative realistiche sui tempi di risoluzione.
Esistono infine situazioni in cui l’infiammazione segnala cause meno evidenti: reazioni avverse a farmaci (per esempio a carico di cute o fegato), malattie granulomatose, condizioni endocrine (ipotiroidismo subclinico con mialgie e indici infiammatori modestamente elevati), neoplasie con paraneoplasie infiammatorie o infezioni “riparate” parzialmente dall’organismo che però lasciano focolai attivi. Anche fattori occupazionali (gesti ripetitivi, vibrazioni, esposizione a irritanti) contribuiscono a microtraumi e a infiammazione cronica. In gravidanza e in età pediatrica alcuni pattern infiammatori cambiano per l’assetto immunitario peculiare; negli anziani l’infiammazione “di base” può essere più alta per rimodellamento immunologico. Per chiarire la causa, la valutazione clinica integra anamnesi, esame obiettivo, indici di flogosi (come VES e PCR), eventuale imaging (ecografia articolare, radiografia, risonanza) e, quando indicato, analisi più mirate (autoanticorpi, esami del liquido sinoviale). Comprendere con precisione l’origine dell’infiammazione è il primo passo per poterla far passare davvero, con interventi proporzionati alla causa e al contesto della persona.
Farmaci antinfiammatori più efficaci
I farmaci antinfiammatori sono strumenti fondamentali nel trattamento di condizioni infiammatorie e dolorose. Tra i più utilizzati troviamo i Farmaci Antinfiammatori Non Steroidei (FANS), che includono principi attivi come ibuprofene, diclofenac, ketoprofene e naprossene. Questi farmaci agiscono inibendo l’enzima cicloossigenasi (COX), riducendo così la produzione di prostaglandine, sostanze coinvolte nei processi infiammatori e nella percezione del dolore. (marionegri.it)
Nonostante l’efficacia dei FANS, è importante considerare i potenziali effetti collaterali, soprattutto a livello gastrointestinale. L’inibizione delle prostaglandine può infatti compromettere la protezione della mucosa gastrica, aumentando il rischio di gastrite e ulcere. Per questo motivo, l’uso prolungato di FANS dovrebbe avvenire sotto stretta supervisione medica, valutando attentamente il rapporto tra benefici e rischi. (marionegri.it)
Un’altra classe di farmaci antinfiammatori è rappresentata dai corticosteroidi, che agiscono modulando la risposta immunitaria e riducendo l’infiammazione. Questi farmaci sono spesso prescritti per condizioni infiammatorie più severe o croniche, ma il loro utilizzo prolungato può comportare effetti collaterali significativi, come osteoporosi, ipertensione e aumento del rischio di infezioni. (torrinomedica.it)
La scelta del farmaco antinfiammatorio più appropriato dipende da vari fattori, tra cui la natura e la gravità dell’infiammazione, le condizioni di salute del paziente e la presenza di eventuali controindicazioni. È fondamentale consultare un medico prima di iniziare qualsiasi terapia antinfiammatoria, per assicurarsi che il trattamento sia sicuro ed efficace.
Rimedi naturali per l’infiammazione
Oltre ai farmaci convenzionali, esistono diversi rimedi naturali che possono contribuire a ridurre l’infiammazione. L’artiglio del diavolo, ad esempio, è una pianta utilizzata tradizionalmente per alleviare dolori articolari e muscolari grazie alle sue proprietà antinfiammatorie. (mdmfisioterapia.it)
L’arnica è un altro rimedio naturale noto per le sue proprietà antinfiammatorie e analgesiche. Viene spesso utilizzata sotto forma di gel o pomata per trattare contusioni, distorsioni e dolori muscolari. (mdmfisioterapia.it)
La bromelina, un enzima presente nel gambo dell’ananas, ha mostrato effetti antinfiammatori e può essere utile nel ridurre l’edema e il dolore associati a traumi o interventi chirurgici. (mdmfisioterapia.it)
È importante sottolineare che, sebbene questi rimedi naturali possano offrire benefici, non sostituiscono i trattamenti medici convenzionali. Prima di utilizzare qualsiasi rimedio naturale, è consigliabile consultare un professionista sanitario per valutare la sicurezza e l’efficacia nel proprio caso specifico.
Quando consultare un medico
È fondamentale rivolgersi a un medico quando l’infiammazione persiste per un periodo prolungato, peggiora nel tempo o è accompagnata da sintomi gravi come febbre alta, perdita di peso inspiegabile o dolore intenso. Inoltre, se l’infiammazione è associata a difficoltà respiratorie, gonfiore improvviso o altri sintomi preoccupanti, è necessario cercare assistenza medica immediata.
Le persone con condizioni mediche preesistenti, come malattie cardiovascolari, disturbi gastrointestinali o problemi renali, dovrebbero consultare un medico prima di assumere farmaci antinfiammatori, poiché potrebbero essere a rischio di effetti collaterali o interazioni farmacologiche. (marionegri.it)
Inoltre, se l’uso di farmaci antinfiammatori non porta a un miglioramento dei sintomi o se si verificano effetti collaterali indesiderati, è consigliabile interrompere l’assunzione e consultare un professionista sanitario per valutare alternative terapeutiche.
In conclusione, l’infiammazione è una risposta naturale dell’organismo a lesioni o infezioni, ma quando diventa cronica o severa, è essenziale intervenire adeguatamente. L’uso di farmaci antinfiammatori, sia convenzionali che naturali, può essere efficace, ma deve sempre essere guidato da un professionista sanitario per garantire sicurezza ed efficacia nel trattamento.
Per approfondire
Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) – Informazioni ufficiali sui farmaci antinfiammatori e le loro indicazioni terapeutiche.
Ministero della Salute – Linee guida e raccomandazioni sull’uso dei farmaci antinfiammatori.
Società Italiana di Reumatologia (SIR) – Risorse e aggiornamenti sulle terapie per le malattie infiammatorie.
Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) – Informazioni sui farmaci antinfiammatori approvati a livello europeo.
Istituto Superiore di Sanità (ISS) – Studi e pubblicazioni sulle terapie antinfiammatorie e le loro applicazioni cliniche.
