Qual è il migliore betabloccante?

Betabloccanti: definizione, principali molecole, indicazioni cliniche, effetti collaterali e controindicazioni, criteri di scelta personalizzata in ipertensione, angina, aritmie e scompenso cardiaco.

Quando ci si chiede “qual è il migliore betabloccante?”, la risposta non è unica né universale. I betabloccanti sono una famiglia eterogenea di farmaci con caratteristiche farmacologiche diverse e con profili di efficacia e tollerabilità che dipendono dal contesto clinico: tipo di patologia cardiovascolare, età, comorbidità (ad esempio broncopneumopatia o diabete), funzione renale ed epatica, interazioni con altri farmaci e perfino preferenze del paziente rispetto alla posologia. In altre parole, il “migliore” è quello più adatto alla persona e all’obiettivo terapeutico, non quello che vince un confronto astratto.

Per orientarsi, è utile partire dalle basi: capire cosa sono i betabloccanti, come funzionano e quali variabili ne distinguono le diverse molecole. In questo modo, i clinici possono impostare una scelta ragionata e i lettori non specialisti possono cogliere perché, in cardiologia, il trattamento si personalizza. In questa prima parte vediamo l’essenza della classe, rimandando alle sezioni successive l’analisi dei singoli principi attivi, delle indicazioni, degli effetti collaterali e dei criteri pratici per selezionare il farmaco più idoneo anche in associazione, per esempio, con un calcioantagonista come l’amlodipina.

Cosa sono i betabloccanti

I betabloccanti (o beta-bloccanti) sono farmaci antagonisti dei recettori beta-adrenergici, i “trasmettitori” attraverso cui catecolamine come adrenalina e noradrenalina esercitano i loro effetti su cuore, vasi, bronchi e altri organi. Bloccare questi recettori, soprattutto quelli cardiaci di tipo beta-1, riduce la frequenza e la forza di contrazione del cuore, rallenta la conduzione atrioventricolare e abbassa la richiesta di ossigeno miocardico. È il razionale che spiega l’utilità dei betabloccanti in condizioni come ipertensione arteriosa, angina, aritmie e scompenso cardiaco stabilizzato. I recettori beta-2, invece, si trovano in bronchi e vasi periferici: la loro inibizione può causare broncospasmo o vasocostrizione, motivo per cui la selettività recettoriale è un punto chiave per la sicurezza e la tollerabilità.

Non tutti i betabloccanti sono uguali: alcune molecole sono cardioselettive (prevalentemente beta-1) e tendono a risparmiare i recettori beta-2, altre sono non selettive. Alcuni composti presentano attività simpaticomimetica intrinseca (ISA), che limita la bradicardia a riposo ma può essere meno desiderabile in prevenzione secondaria dopo infarto; altri hanno proprietà aggiuntive come la vasodilatazione mediata da NO o da blocco alfa-adrenergico. La lipofilia influisce sulla penetrazione nel sistema nervoso centrale (e quindi su effetti come sogni vividi o depressione) e sulla via di eliminazione (epatica vs renale), aspetti che guidano la scelta in caso di insufficienza d’organo o rischio di interazioni. Un esempio di betabloccante cardioselettivo ampiamente utilizzato è il metoprololo a rilascio prolungato, commercialmente noto come Seloken, tema approfondito nella risorsa dedicata: Seloken (metoprololo): un beta-bloccante selettivo.

Sul piano farmacodinamico, l’effetto più evidente è la riduzione della frequenza cardiaca (azione cronotropa negativa) e della contrattilità (azione inotropa negativa), che si traduce in un minor consumo di ossigeno da parte del miocardio. Il rallentamento della conduzione a livello del nodo AV (azione dromotropa negativa) offre un beneficio antiaritmico nelle tachiaritmie sovraventricolari. Inoltre, l’inibizione del sistema renina–angiotensina–aldosterone attraverso il blocco beta-1 a livello juxtaglomerulare contribuisce all’azione antipertensiva. Questi meccanismi spiegano perché i betabloccanti siano inseriti nelle linee di trattamento di ipertensione (soprattutto se coesistono coronaropatia o tachicardia), angina stabile, prevenzione secondaria post-infarto e scompenso cardiaco cronico in stadio stabile, con titolazione graduale. Da ricordare che le molecole non selettive possono peggiorare bronchospasmo in pazienti con asma o BPCO, mentre l’interruzione brusca può determinare un “rebound” adrenergico con tachicardia e angina: la sospensione va sempre scalata. In associazione terapeutica, i betabloccanti si combinano spesso con diidropiridinici come l’amlodipina per controllare pressione e angina, evitando invece la co-somministrazione con verapamil o diltiazem per il rischio di blocco AV e bradicardia.

Le differenze tra molecole emergono anche dalla farmacocinetica. Emivita, formulazione e via di eliminazione determinano la frequenza di assunzione e l’adattamento in caso di insufficienza renale o epatica. Molecole lipofile come metoprololo e propranololo sono metabolizzate prevalentemente a livello epatico (metabolismo di primo passaggio, coinvolgimento di isoenzimi come CYP2D6), con variabilità interindividuale; idrofile come atenololo hanno eliminazione renale più prevedibile e minor penetrazione nel SNC. Le formulazioni a rilascio prolungato permettono una somministrazione unica giornaliera con profilo di concentrazione più stabile e minori picchi/trough, migliorando l’aderenza. Tali proprietà pratiche contano tanto quanto l’efficacia clinica, perché un farmaco “migliore” è spesso quello che il paziente riesce a prendere in modo regolare, con posologia semplice e ben tollerata. Un esempio di betabloccante idrofilo ampiamente prescritto è l’atenololo, di cui è disponibile una scheda completa: .

Il profilo di sicurezza è generalmente favorevole, ma dipende dalla selettività e dalla dose. Effetti indesiderati comuni includono bradicardia, ipotensione, affaticamento, estremità fredde, disturbi del sonno (più frequenti con molecole lipofile) e, in alcuni casi, disfunzione erettile. I betabloccanti possono attenuare i segni adrenergici dell’ipoglicemia (come tremore e tachicardia), richiedendo attenzione nei pazienti con diabete in terapia insulinica: è un motivo ulteriore per preferire molecole selettive quando possibile. Le controindicazioni comprendono bradicardia marcata, blocco AV di grado avanzato, shock cardiogeno e, per i non selettivi, asma non controllata. In gravidanza e allattamento la scelta è caso-specifica, valutando rischio e beneficio. Tutti questi elementi concorrono a definire quale betabloccante sia “migliore” per una determinata persona e condizione: il principio attivo, la formulazione, la frequenza di somministrazione, le comorbidità e le potenziali interazioni con altri farmaci (compresi i calcioantagonisti come amlodipina) orientano la decisione, mentre la titolazione graduale e il monitoraggio clinico ne ottimizzano l’esito.

Principali betabloccanti sul mercato

Sul mercato sono disponibili numerosi principi attivi, che si distinguono per selettività recettoriale e proprietà accessorie. Tra i cardioselettivi (prevalentemente beta-1) si annoverano metoprololo, bisoprololo, atenololo, nebivololo e betaxololo; tra i non selettivi propranololo, nadololo, timololo (anche in formulazioni oftalmiche) e sotalolo; tra quelli con azione addizionale vasodilatatrice o alfa-bloccante carvedilolo e labetalolo. Alcune molecole, come pindololo e acebutololo, presentano attività simpaticomimetica intrinseca (ISA).

Le differenze fra queste sostanze riguardano cardioselettività, presenza di ISA, lipofilia/idrofilia e vie di eliminazione, con ricadute pratiche su effetti centrali, interazioni e necessità di aggiustamento in caso di insufficienza renale o epatica. Nebivololo esercita vasodilatazione mediata da NO; carvedilolo e labetalolo combinano il blocco beta con quello alfa-1; propranololo e metoprololo sono più lipofili, mentre atenololo e nadololo sono più idrofili.

Gli impieghi clinici variano in base al profilo: metoprololo, bisoprololo e nebivololo sono largamente utilizzati in ipertensione, angina e controllo della frequenza; carvedilolo trova spazio quando si desidera un effetto vasodilatatore aggiuntivo; sotalolo, dotato anche di proprietà di classe III, è impiegato nella prevenzione di recidive aritmiche con monitoraggio cardiologico; timololo in collirio è usato nel glaucoma; propranololo è utilizzato in ambiti extra-cardiologici come profilassi dell’emicrania o controllo dei sintomi adrenergici.

Sono disponibili formulazioni a rilascio immediato e prolungato, che permettono schemi posologici diversi e profili di concentrazione più stabili nell’arco delle 24 ore. La scelta della formulazione, insieme a emivita e tollerabilità, contribuisce all’aderenza terapeutica; la titolazione graduale e il monitoraggio clinico restano elementi centrali per massimizzare efficacia e sicurezza.

Indicazioni terapeutiche

I betabloccanti sono una classe di farmaci ampiamente utilizzata in cardiologia per il trattamento di diverse condizioni patologiche. La loro azione principale consiste nel bloccare i recettori beta-adrenergici, riducendo così la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa. (issalute.it)

Tra le principali indicazioni terapeutiche dei betabloccanti troviamo:

  • Ipertensione arteriosa: i betabloccanti sono spesso prescritti per abbassare la pressione sanguigna, sia come monoterapia che in combinazione con altri farmaci. (ospedaleniguarda.it)
  • Angina pectoris: riducendo la richiesta di ossigeno del cuore, i betabloccanti aiutano a prevenire gli episodi di dolore toracico.
  • Aritmie cardiache: sono efficaci nel controllo di aritmie come la fibrillazione atriale, stabilizzando il ritmo cardiaco. (marionegri.it)
  • Insufficienza cardiaca: alcuni betabloccanti, come il bisoprololo, sono indicati nel trattamento dell’insufficienza cardiaca cronica. (santagostino.it)
  • Prevenzione dell’infarto miocardico: possono essere utilizzati per ridurre il rischio di eventi cardiaci in pazienti con storia di infarto.

Oltre alle applicazioni cardiologiche, i betabloccanti trovano impiego in altre condizioni, come:

  • Emicrania: alcuni betabloccanti sono utilizzati nella prevenzione degli attacchi emicranici.
  • Ansia: possono aiutare a controllare i sintomi fisici dell’ansia, come tachicardia e tremori.
  • Glaucoma: alcuni betabloccanti, come il timololo, sono impiegati nel trattamento del glaucoma per ridurre la pressione intraoculare.

Effetti collaterali e controindicazioni

Come tutti i farmaci, i betabloccanti possono causare effetti collaterali. I più comuni includono:

  • Bradicardia: rallentamento del battito cardiaco.
  • Affaticamento: sensazione di stanchezza o debolezza.
  • Capogiri: soprattutto all’inizio del trattamento.
  • Disturbi del sonno: come insonnia o incubi.
  • Mani e piedi freddi: a causa della vasocostrizione periferica.

Effetti collaterali meno comuni ma clinicamente rilevanti possono includere:

  • Broncospasmo: soprattutto nei pazienti con asma o BPCO.
  • Disfunzione erettile: possibile effetto indesiderato.
  • Alterazioni del metabolismo glucidico: possono mascherare i sintomi dell’ipoglicemia nei diabetici.

Le principali controindicazioni all’uso dei betabloccanti includono:

  • Asma bronchiale: rischio di broncospasmo.
  • Bradicardia severa: ulteriore rallentamento del battito cardiaco.
  • Blocco atrioventricolare di secondo o terzo grado: possono aggravare il blocco.
  • Insufficienza cardiaca acuta: possono peggiorare la condizione.

È fondamentale che l’uso dei betabloccanti sia sempre supervisionato da un medico, che valuterà attentamente i benefici e i rischi per ciascun paziente.

Come scegliere il betabloccante giusto

La scelta del betabloccante più adatto dipende da vari fattori, tra cui la condizione clinica da trattare, le caratteristiche individuali del paziente e la presenza di eventuali comorbidità. Ad esempio, in caso di insufficienza cardiaca cronica, il bisoprololo è spesso preferito per la sua efficacia e tollerabilità.

Per i pazienti con asma o malattie polmonari ostruttive, è consigliabile optare per betabloccanti selettivi per i recettori β1, come il metoprololo o l’atenololo, per ridurre il rischio di broncospasmo.

In presenza di ipertensione arteriosa, la scelta del betabloccante può essere influenzata dalla presenza di altre condizioni, come l’angina o le aritmie. In questi casi, farmaci come il carvedilolo, che agisce anche sui recettori α1, possono offrire benefici aggiuntivi.

È essenziale che la selezione del betabloccante sia personalizzata e basata su una valutazione clinica completa, tenendo conto delle specifiche esigenze e condizioni del paziente.

In conclusione, i betabloccanti rappresentano una classe di farmaci fondamentale nel trattamento di numerose patologie cardiovascolari e non solo. La loro efficacia e sicurezza dipendono da una corretta selezione e gestione terapeutica, sempre sotto la supervisione di un medico specialista.

Per approfondire

Istituto Superiore di Sanità: Informazioni dettagliate sui betabloccanti, le loro indicazioni e controindicazioni.

Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri: Approfondimento sul meccanismo d’azione e le applicazioni cliniche dei betabloccanti.

Ospedale Niguarda: Panoramica sui betabloccanti e il loro utilizzo nelle patologie cardiovascolari.