Quali sono i farmaci antipertensivi più prescritti?

Classi di antipertensivi più prescritti: ACE-inibitori, sartani, calcio-antagonisti, diuretici e beta-bloccanti; indicazioni, modalità d’uso, effetti collaterali e interazioni farmacologiche.

L’ipertensione arteriosa è una condizione estremamente diffusa e spesso silente, che nel tempo può danneggiare cuore, cervello, reni e vasi sanguigni. La riduzione stabile dei valori pressori è uno dei pilastri per prevenire eventi come infarto, ictus e insufficienza renale. Per molte persone, gli interventi sullo stile di vita (riduzione del sale, attività fisica regolare, controllo del peso, moderazione dell’alcol) rappresentano il primo passo; tuttavia, quando tali misure non bastano o quando il rischio cardiovascolare è elevato, entra in gioco la terapia farmacologica con gli antipertensivi.

Capire quali sono i farmaci antipertensivi più prescritti è utile per orientarsi tra le opzioni terapeutiche e le differenze tra le varie classi. Prima di entrare nel dettaglio dell’elenco dei medicinali più utilizzati e di come vengono prescritti nella pratica clinica, è fondamentale chiarire che cosa si intende per “antipertensivi”, come funzionano e perché la terapia è spesso cronica. Queste informazioni supportano un dialogo informato tra persona assistita e professionisti della salute e aiutano a comprendere la logica delle scelte terapeutiche, fermo restando che la valutazione clinica individuale resta imprescindibile.

Cosa sono gli antipertensivi

Con “antipertensivi” si indica un insieme eterogeneo di farmaci progettati per ridurre e stabilizzare la pressione arteriosa su valori considerati sicuri nel medio-lungo periodo. Il loro obiettivo non è soltanto “abbassare la pressione” al momento della misurazione, ma prevenire le complicanze a carico di organi bersaglio, come cuore, cervello e reni, diminuendo lo sforzo cui il sistema cardiovascolare è sottoposto quotidianamente. Gli antipertensivi trovano impiego sia nell’ipertensione primaria (o essenziale), che rappresenta la maggior parte dei casi e non ha una causa singola identificabile, sia nelle forme secondarie, in cui l’aumento pressorio è legato a condizioni riconoscibili (ad esempio alcune malattie renali o endocrine). Nella pratica quotidiana vengono usati soprattutto per la gestione cronica dell’ipertensione, con somministrazioni regolari, di solito una volta al giorno, mentre in situazioni acute e selezionate si utilizzano approcci specifici e spesso diversi per rapidità d’azione e modalità di controllo.

Elenco dei farmaci più prescritti

Gli antipertensivi sono suddivisi in più classi, distinte in base al meccanismo con cui abbassano la pressione. Tra le più rilevanti si annoverano i farmaci che modulano il sistema renina–angiotensina–aldosterone (RAAS): gli ACE-inibitori (come enalapril, ramipril o lisinopril) che riducono la produzione di angiotensina II, e i sartani o antagonisti del recettore dell’angiotensina II (come losartan, valsartan o olmesartan) che bloccano l’azione dell’angiotensina II sul suo recettore; in casi selezionati si può usare anche un inibitore diretto della renina. Un’altra classe molto utilizzata è quella dei calcio-antagonisti, in particolare i diidropiridinici come l’amlodipina, che rilassano la muscolatura dei vasi e riducono la resistenza periferica; esistono anche calcio-antagonisti non diidropiridinici (come verapamil o diltiazem) impiegati soprattutto quando coesistono altre indicazioni. I diuretici, soprattutto tiazidici e tiazido-simili (idroclorotiazide, clortalidone, indapamide), favoriscono l’eliminazione di sodio e acqua, riducendo il volume circolante; diuretici dell’ansa e risparmiatori di potassio (come spironolattone o eplerenone) hanno indicazioni più specifiche, ad esempio nell’ipertensione resistente o in presenza di scompenso cardiaco. Completano lo scenario i beta-bloccanti, gli alfa-bloccanti, i simpaticolitici centrali (per esempio clonidina o moxonidina) e i vasodilatatori diretti (come idralazina o minoxidil), che vengono usati in contesti clinici selezionati o come aggiunta in schemi complessi.

Indicazioni e modalità d’uso

I farmaci antipertensivi sono prescritti per gestire l’ipertensione arteriosa, una condizione che, se non trattata, può aumentare il rischio di eventi cardiovascolari come infarti e ictus. La scelta del farmaco dipende da vari fattori, tra cui l’età del paziente, la presenza di altre condizioni mediche e la risposta individuale al trattamento.

Le principali classi di antipertensivi includono diuretici, beta-bloccanti, ACE-inibitori, antagonisti del recettore dell’angiotensina II (ARB) e calcio-antagonisti. Ogni classe ha specifiche indicazioni e meccanismi d’azione. Ad esempio, i diuretici sono spesso utilizzati come terapia di prima linea, mentre gli ACE-inibitori sono preferiti in pazienti con diabete o insufficienza cardiaca. (msdmanuals.com)

È fondamentale seguire attentamente le indicazioni del medico riguardo al dosaggio e alla frequenza di assunzione. L’aderenza alla terapia è cruciale per mantenere la pressione arteriosa sotto controllo e prevenire complicanze. Inoltre, è importante non interrompere il trattamento senza consultare il medico, poiché ciò potrebbe causare un aumento improvviso della pressione sanguigna. (paginemediche.it)

Al di là dei nomi commerciali, la logica fisiopatologica è comune: ridurre il carico emodinamico cui è sottoposto il sistema cardiovascolare. Ciò può avvenire diminuendo la resistenza dei vasi (come con i calcio-antagonisti o con i farmaci RAAS), riducendo il volume intravascolare (come con i diuretici), rallentando la frequenza cardiaca e la forza di contrazione (come con alcuni beta-bloccanti) o attenuando la risposta del sistema nervoso simpatico. La scelta di molecole a lunga durata d’azione consente un controllo pressorio uniforme nelle 24 ore, riducendo le oscillazioni tra picchi e cali e migliorando la protezione d’organo. Nella gestione moderna dell’ipertensione si mira spesso a combinare, anche in una singola compressa, farmaci con meccanismi complementari, in modo da ottenere una riduzione più efficace e stabile della pressione con dosi più basse di ciascun principio attivo e, potenzialmente, una migliore tollerabilità. La continuità terapeutica è cruciale: l’efficacia degli antipertensivi emerge con l’assunzione regolare nel tempo e con l’aggiustamento graduale dello schema in base alla risposta pressoria e alla tollerabilità.

Nella scelta del trattamento, i clinici considerano variabili legate alla persona (età, profilo di rischio cardiovascolare, presenza di diabete, malattia renale cronica con o senza albuminuria, coronaropatia, scompenso cardiaco, storia di ictus o TIA), alle caratteristiche della pressione (valori, pattern giorno/notte, danno d’organo) e alla probabilità di effetti indesiderati. Per esempio, in presenza di proteinuria o nefropatia diabetica si preferiscono spesso ACE-inibitori o sartani per la loro azione protettiva renale; nelle persone con angina o post-infarto i beta-bloccanti hanno un ruolo specifico; durante la gravidanza alcuni farmaci (ACE-inibitori e sartani) sono controindicati e si ricorre ad alternative sicure in quel contesto. L’amlodipina è un esempio di calcio-antagonista ampiamente impiegato grazie alla buona efficacia sul tono vascolare e alla posologia semplice. Allo stesso tempo, ogni classe presenta possibili effetti collaterali: la tosse con gli ACE-inibitori o l’edema periferico con i calcio-antagonisti diidropiridinici, le alterazioni elettrolitiche con i diuretici tiazidici, la bradicardia o l’affaticamento con i beta-bloccanti, la ginecomastia con lo spironolattone. Questi aspetti vengono valutati in modo personalizzato, modulando molecole e dosi e, se necessario, cambiando classe.

Collocare gli antipertensivi nel percorso di cura significa anche comprendere che si tratta di una terapia di fondo, non sintomatica né “a richiesta”. In molti casi l’avvio del trattamento avviene con due farmaci a basse dosi, spesso in un’unica compressa, soprattutto quando i valori pressori sono significativamente elevati o il rischio cardiovascolare è alto: questo approccio aumenta la probabilità di raggiungere il target pressorio e riduce i tempi di esposizione a valori non controllati. La misurazione domiciliare della pressione e l’aderenza costante alla terapia aiutano a verificare l’efficacia reale nella vita quotidiana, oltre la misurazione in ambulatorio. La revisione periodica del piano terapeutico consente di ottimizzare le combinazioni, semplificare gli schemi per favorire l’aderenza e gestire eventuali interferenze con altri farmaci assunti per comorbidità. È importante ricordare che la sospensione o la modifica autonoma degli antipertensivi può comportare rialzi pressori e rischi evitabili: le decisioni sul trattamento vanno sempre condivise con il team di cura, che bilancia benefici attesi e possibili effetti indesiderati, tenendo conto delle preferenze della persona e dei suoi obiettivi di salute.

Effetti collaterali

Come tutti i farmaci, anche gli antipertensivi possono causare effetti collaterali, che variano a seconda della classe di appartenenza. I diuretici, ad esempio, possono provocare squilibri elettrolitici, come la perdita di potassio, mentre i beta-bloccanti possono causare bradicardia e affaticamento. (santagostino.it)

Gli ACE-inibitori sono noti per causare tosse secca in alcuni pazienti, mentre gli ARB possono provocare capogiri. I calcio-antagonisti, come l’amlodipina, possono causare edema periferico e vampate di calore. È essenziale monitorare attentamente la comparsa di effetti indesiderati e riferirli al medico per eventuali aggiustamenti terapeutici. (msdmanuals.com)

L’ipotensione sintomatica (capogiri, offuscamento visivo, stanchezza) può comparire soprattutto all’inizio della terapia o dopo aumenti di dose; di solito tende a ridursi con l’adattamento e con una titolazione graduale. Alcuni farmaci del RAAS e i risparmiatori di potassio possono aumentare il potassio nel sangue, specie in presenza di malattia renale; i tiazidici possono favorire iponatriemia, ipokaliemia, iperuricemia e alterazioni glicemiche. I vasodilatatori diretti possono causare cefalea, arrossamento e tachicardia riflessa; i simpaticolitici centrali sonnolenza, secchezza delle fauci e, se sospesi bruscamente, rialzo pressorio.

Il monitoraggio periodico include in genere la misurazione della pressione e della frequenza cardiaca, oltre a esami del sangue per valutare elettroliti e funzione renale quando indicato. La comparsa di tosse persistente con un ACE‑inibitore può richiedere il passaggio a un sartano; edemi importanti, sincope, dispnea, rash marcato o gonfiore a labbra/lingua sono segnali che meritano attenzione clinica. L’adeguamento delle dosi e la scelta di molecole con profili di tollerabilità più adatti consentono spesso di mantenere il controllo pressorio limitando gli effetti indesiderati.

Interazioni con altri farmaci

Gli antipertensivi possono interagire con altri farmaci, influenzandone l’efficacia o aumentando il rischio di effetti collaterali. Ad esempio, l’assunzione concomitante di diuretici e ACE-inibitori può aumentare il rischio di ipotensione e squilibri elettrolitici. (torrinomedica.it)

È importante informare il medico di tutti i farmaci in uso, inclusi quelli da banco e gli integratori, per evitare interazioni potenzialmente pericolose. Inoltre, alcuni antipertensivi possono interagire con alimenti o bevande; ad esempio, il consumo di alcol può potenziare l’effetto ipotensivo di alcuni farmaci, aumentando il rischio di vertigini o svenimenti. (santagostino.it)

Farmaci antinfiammatori non steroidei possono ridurre l’efficacia di diuretici, ACE‑inibitori e sartani e, in associazione, aumentare il rischio di peggioramento della funzione renale, soprattutto se coesistono disidratazione o malattia renale. Decongestionanti simpaticomimetici per il raffreddore possono innalzare la pressione; alcuni corticosteroidi favoriscono ritenzione idrosalina.

Gli ACE‑inibitori, i sartani e i risparmiatori di potassio possono aumentare la potassiemia se assunti insieme a integratori di potassio o sostituti del sale ricchi di potassio. I diuretici e gli ACE‑inibitori possono aumentare le concentrazioni di litio. Con calcio‑antagonisti non diidropiridinici (verapamil, diltiazem) l’associazione con beta‑bloccanti richiede cautela per il rischio di bradicardia o blocchi atrioventricolari.

Alcuni calcio‑antagonisti diidropiridinici possono interagire con il succo di pompelmo aumentando l’esposizione al farmaco; la liquirizia in quantità elevate può alzare la pressione e contrastare l’efficacia degli antipertensivi. Anche sospendere bruscamente clonidina o altri simpaticolitici centrali, specie se in terapia concomitante con beta‑bloccanti, può determinare rialzi pressori di rimbalzo.

In conclusione, la gestione dell’ipertensione richiede un approccio personalizzato e attento, che consideri le caratteristiche individuali del paziente, le potenziali interazioni farmacologiche e la comparsa di effetti collaterali. Una stretta collaborazione con il medico curante è fondamentale per ottimizzare la terapia e migliorare la qualità di vita del paziente.

Per approfondire

Antipertensivi: quando e come usarli – Una guida completa sull’uso corretto dei farmaci antipertensivi.

Farmaci per il trattamento dell’ipertensione – Una panoramica sui diversi tipi di farmaci utilizzati per controllare la pressione arteriosa.

ACE-inibitori: come agiscono, quando si usano e quali effetti collaterali provocano – Un approfondimento sugli ACE-inibitori, il loro funzionamento e gli effetti indesiderati associati.