Mavenclad: è un farmaco sicuro? Come funziona?

Mavenclad (Cladribina): sicurezza e modo d’azione

Mavenclad (Cladribina) è un farmaco che serve per curare le seguenti malattie:

MAVENCLAD è indicato per il trattamento di pazienti adulti con sclerosi multipla (SM) recidivante ad elevata attività, definita da caratteristiche cliniche o di diagnostica per immagini (vedere paragrafo 5.1).

Mavenclad: come funziona?

Ma come funziona Mavenclad? Qual è il suo esatto meccanismo d’azione? Su quali organi del corpo agisce? Vediamolo insieme.

Farmacodinamica di Mavenclad

Categoria farmacoterapeutica: agenti antineoplastici, antimetaboliti, analoghi purinici, codice ATC: L01BB04

Meccanismo d’azione

La cladribina è un analogo nucleosidico della deossiadenosina. Una sostituzione del cloro nell’anello purinico protegge la cladribina dalla degradazione da parte dell’adenosina deaminasi e aumenta così il tempo di permanenza intracellulare del profarmaco cladribina. La successiva fosforilazione della cladribina alla forma trifosfato attiva, 2-clorodeossiadenosina trifosfato (Cd-ATP), è particolarmente efficace nei linfociti, a causa dei livelli costitutivamente elevati di deossicitidina chinasi (DCK) e ai livelli relativamente bassi di 5′-nucleotidasi (5′-NTasi). Un rapporto DCK/5′-NTasi elevato favorisce l’accumulo di Cd-ATP e rende i linfociti particolarmente suscettibili alla morte cellulare. A causa di un rapporto DCK/5′-NTasi più basso, altre cellule di origine midollare sono meno interessate dei linfociti. DCK è l’enzima limitante la velocità di conversione del profarmaco cladribina nella forma trifosfato attiva, con conseguente deplezione selettiva delle cellule T e B in divisione e non.

Il meccanismo d’azione principale del Cd-ATP che induce apoptosi ha effetti diretti e indiretti sulla sintesi del DNA e sulla funzione mitocondriale. Nelle cellule in divisione, il Cd-ATP interferisce con la sintesi del DNA tramite l’inibizione della ribonucleotide reduttasi e compete con la deossiadenosina trifosfato per l’incorporazione nel DNA da parte delle DNA polimerasi. Nelle cellule in fase di riposo, la cladribina induce rotture del DNA a singola elica, consumo rapido di nicotinammide adenina dinucleotide, deplezione di ATP e morte cellulare. Vi è evidenza che la cladribina possa indurre anche apoptosi diretta dipendente e indipendente dalla caspasi tramite il rilascio di citocromo-c e fattori di induzione dell’apoptosi nel citosol delle cellule non in divisione.

La patogenesi della SM è costituita da una serie complessa di eventi, nella quale cellule immunitarie di diverso tipo, incluse le cellule T e B autoreattive, svolgono un ruolo fondamentale. Il meccanismo attraverso il quale la cladribina esercita i suoi effetti terapeutici nella SM non è chiarito del tutto, ma si ritiene che l’effetto principale sui linfociti B e T interrompa a cascata di eventi immunitari alla base della malattia.

Variazioni dei livelli di espressione di DCK e 5′-NTasi tra sottotipi di cellule immunitarie potrebbero spiegare le differenze di sensibilità delle cellule immunitarie alla cladribina. A causa di questi livelli di espressione, le cellule del sistema immunitario innato sono meno colpite delle cellule del sistema immunitario acquisito.

Effetti farmacodinamici

È stato dimostrato che la cladribina esercita un effetto a lungo termine attraverso l’azione su un target preferenziale rappresentato dai i linfociti e dai processi autoimmuni coinvolti nella fisiopatologia della SM.

Nei vari studi, la percentuale maggiore di pazienti con linfopenia di grado 3 o 4 (da < 500 a

200 cellule/mm³ o < 200 cellule/mm³) è stata osservata 2 mesi dopo la prima dose di cladribina di ciascun anno, il che indica la presenza di un divario temporale tra le concentrazioni plasmatiche di cladribina e il massimo effetto ematologico.

Nei vari studi clinici, i dati relativi alla dose cumulativa proposta di 3,5 mg/kg di peso corporeo mostrano un miglioramento graduale della conta linfocitaria mediana verso l’intervallo dei valori normali alla settimana 84 dalla prima dose di cladribina (approssimativamente 30 settimane dopo l’ultima dose di cladribina). Le conte linfocitarie di più del 75% dei pazienti sono ritornate nell’intervallo dei valori normali entro la settimana 144 dalla prima dose di cladribina (approssimativamente 90 settimane dopo l’ultima dose di cladribina).

Il trattamento con cladribina orale determina una rapida riduzione delle cellule T CD4+ e CD8+ circolanti. Le cellule T CD8+ presentano una riduzione meno marcata e un recupero più rapido rispetto alle cellule T CD4+, con conseguente riduzione temporanea del rapporto CD4/CD8. La cladribina riduce le cellule B CD19+ e le cellule natural killer CD16+/CD56+, che a loro volta presentano un recupero più rapido delle cellule T CD4+.

Efficacia e sicurezza clinica

SM recidivante-remittente

L’efficacia e la sicurezza clinica di cladribina orale sono state valutate in uno studio clinico randomizzato, in doppio cieco, controllato con placebo (CLARITY) in 1.326 pazienti con SM recidivante-remittente. L’obiettivo dello studio è stata la valutazione dell’efficacia della cladribina rispetto al placebo nel ridurre il tasso annualizzato di recidiva (annualised relapse rate, ARR) (endpoint primario), nel rallentare la progressione della disabilità e nel ridurre le lesioni attive misurate tramite RMI.

I pazienti hanno ricevuto placebo (n = 437) o cladribina alla dose cumulativa di 3,5 mg/kg (n = 433) o 5,25 mg/kg di peso corporeo (n = 456) durante le 96 settimane di studio (2 anni) suddivisa in due cicli di trattamento. I pazienti randomizzati alla dose cumulativa di 3,5 mg/kg hanno ricevuto un primo ciclo di trattamento alle settimane 1 e 5 del primo anno e un secondo ciclo di trattamento alle settimane 1 e 5 del secondo anno. I pazienti randomizzati alla dose cumulativa di 5,25 mg/kg hanno ricevuto trattamenti aggiuntivi alle settimane 9 e 13 del primo anno. La maggior parte dei pazienti del gruppo placebo (87,0%) e dei gruppi di trattamento con cladribina 3,5 mg/kg (91,9%) e 5,25 mg/kg (89,0%) hanno completato le 96 settimane dello studio.

I pazienti dovevano aver presentato almeno 1 recidiva nei 12 mesi precedenti. Considerando l’intera popolazione dello studio, l’età mediana è stata di 39 anni (range da 18 a 65 anni) e il rapporto tra donne e uomini è stato approssimativamente di 2:1. La durata media della SM prima dell’arruolamento nello studio è stata di 8,7 anni e la disabilità neurologica mediana al basale misurata con la scala EDSS (Expanded Disability Status Scale) di Kurtzke è stata 3,0 (range da 0 a 6,0) in tutti i gruppi di trattamento. Oltre due terzi dei pazienti dello studio non erano stati

precedentemente trattati per la SM con medicinali in grado di modificare il decorso della malattia (disease-modifying drugs, DMD). Gli altri pazienti erano stati trattati in precedenza con interferone beta-1a, interferone beta-1b, glatiramer acetato o natalizumab.

Rispetto ai pazienti che hanno ricevuto placebo, i pazienti con SM recidivante-remittente che hanno ricevuto cladribina 3,5 mg/kg hanno presentato miglioramenti statisticamente significativi nel tasso annualizzato di recidiva, nella percentuale di pazienti liberi da recidiva durante le 96 settimane, nella percentuale di pazienti liberi da disabilità confermata durante le 96 settimane e nel tempo alla progressione dell’EDSS confermato a 3 mesi (vedere Tabella 3).

Tabella 3 Esiti clinici nello studio CLARITY (96 settimane)

Parametro Placebo (n = 437) Cladribina, dose cumulativa
3,5 mg/kg
(n = 433)
5,25 mg/kg
(n = 456)
Tasso annualizzato di recidiva (IC
95%)
0,33 (0,29; 0,38) 0,14* (0,12; 0,17) 0,15* (0,12; 0,17)
Riduzione relativa (cladribina vs.
placebo)
57,6% 54,5%
Percentuale di pazienti liberi da
recidiva durante le 96 settimane
60,9% 79,7% 78,9%
Tempo alla progressione dell’EDSS
a 3 mesi, 10o percentile (mesi)
10,8 13,6 13,6
Hazard ratio (IC 95%) 0,67* (0,48; 0,93) 0,69* (0,49; 0,96)

* p < 0,001 in confronto al placebo

Inoltre, il gruppo di trattamento con cladribina 3,5 mg/kg è risultato superiore al placebo in maniera statisticamente significativa riguardo al numero e alla riduzione relativa delle lesioni Gd+ in T1, alle lesioni attive in T2 e alle lesioni uniche combinate, come dimostrato dalla RMI cerebrale per l’intero periodo di studio di 96 settimane. Nei pazienti trattati con cladribina è stata osservata una riduzione relativa dell’86% del numero medio di lesioni Gd+ in T1 (il numero medio aggiustato per i gruppi cladribina 3,5 mg/kg e placebo è stato, rispettivamente, 0,12 e 0,91), una riduzione relativa del 73% del numero medio di lesioni attive in T2 (il numero medio aggiustato per i gruppi cladribina

3,5 mg/kg e placebo è stato, rispettivamente, 0,38 e 1,43) e una riduzione relativa del 74% del numero medio di lesioni uniche combinate per paziente per scansione (il numero medio aggiustato per i gruppi cladribina 3,5 mg/kg e placebo è stato, rispettivamente, 0,43 e 1,72) (p < 0,001 in tutte e 3 le misure di outcome di RMI) rispetto al gruppo trattato con placebo.

L’analisi post-hoc del tempo alla progressione alla scala EDSS confermata a 6 mesi ha evidenziato una riduzione del 47% del rischio di progressione della disabilità nel gruppo cladribina 3,5 mg/kg rispetto al placebo (hazard ratio = 0,53; IC 95% [0,36; 0,79], p < 0,05); nel gruppo placebo, il

10o percentile è stato raggiunto a 245 giorni e non è stato raggiunto affatto nel periodo dello studio nel gruppo cladribina 3,5 mg/kg.

Come mostrato nella Tabella 3 precedente, dosi cumulative più alte non hanno portato ad alcun beneficio aggiuntivo clinicamente significativo, ma sono state associate a una maggiore incidenza di linfopenia di grado ? 3 (44,9% nel gruppo con 5,25 mg/kg vs. 25,6% nel gruppo con 3,5 mg/kg).

I pazienti che avevano completato lo studio CLARITY potevano essere arruolati nello studio CLARITY Extension. In questo studio di estensione, 806 pazienti hanno ricevuto placebo o una dose cumulativa di cladribina di 3,5 mg/kg (in un regime simile a quello usato nel CLARITY) nelle

96 settimane di studio. L’obiettivo primario di questo studio è stata la sicurezza, mentre gli endpoint di efficacia erano esplorativi.

La magnitudine dell’effetto di riduzione della frequenza delle recidive e di rallentamento della progressione della disabilità nei pazienti che ricevevano la dose di 3,5 mg/kg in 2 anni è stata mantenuta negli anni 3 e 4 (vedere paragrafo 4.2).

Efficacia nei pazienti con elevata attività di malattia

Le analisi di efficacia post-hoc per sottogruppi sono state condotte nei pazienti con elevata attività di malattia trattati con cladribina orale alla dose cumulativa raccomandata di 3,5 mg/kg. Questi includevano

pazienti con 1 recidiva nell’anno precedente e almeno 1 lesione Gd+ in T1 o 9 o più lesioni in T2 durante la terapia con altri DMD,

pazienti con 2 o più recidive nell’anno precedente, in trattamento con DMD o meno.

Nelle analisi dei dati CLARITY è stato osservato un effetto coerente del trattamento sulle recidive, con un tasso annualizzato di recidiva compreso tra 0,16 e 0,18 nei gruppi cladribina e tra 0,47 e 0,50 nel gruppo placebo (p < 0,0001). Rispetto alla popolazione totale, un maggior effetto è stato osservato nel tempo alla disabilità sostenuta a 6 mesi, per cui, in particolare, la cladribina ha ridotto il rischio di progressione della disabilità dell’82% (hazard ratio = 0,18; IC 95% [0,07; 0,47]). Per il placebo, il 10o percentile per la progressione della disabilità è stato raggiunto tra 16 e 23 settimane, mentre per i gruppi cladribina non è stato raggiunto nell’intero periodo di studio.

SM secondaria progressiva con recidive

Uno studio di supporto condotto su pazienti trattati con cladribina come terapia aggiuntiva a interferone beta versus placebo + interferone beta includeva anche un numero limitato di pazienti con SM secondaria progressiva (26 pazienti). Per questi pazienti, il trattamento con cladribina 3,5 mg/kg ha portarto a una riduzione del tasso annualizzato di recidiva rispetto al placebo (0,03 versus 0,30, risk ratio: 0,11, p <0,05). Non è stata osservata differenza in termini di tasso annualizzato di recidiva tra i pazienti con SM recidivante-remittente e i pazienti con SM secondaria progressiva con recidive. Non si è potuto dimostrare un effetto sulla progressione della disabilità per entrambi i sottogruppi.

I pazienti con SM secondaria progressiva sono stati esclusi dallo studio CLARITY. Tuttavia, un’analisi post-hoc su una coorte mista che includeva i pazienti dello studio CLARITY e dello studio ONWARD, definita mediante un punteggio EDSS al basale ?3,5 come indicatore per la SM secondaria progressiva, ha dimostrato una riduzione simile nel tasso annualizzato di recidiva rispetto ai pazienti con punteggio EDSS inferiore a 3.

Popolazione pediatrica

L’Agenzia europea dei medicinali ha previsto l’esonero dall’obbligo di presentare i risultati degli studi con MAVENCLAD in tutti i sottogruppi della popolazione pediatrica per la sclerosi multipla (vedere paragrafo 4.2 per ìnformazìonì sull’uso pedìatrìco).


Mavenclad: come si assorbe e si elimina?

Abbiamo visto qual è il meccanismo d’azione di Mavenclad, ma è altrettanto importante conoscere in quanto tempo viene assorbito dall’organismo per capire quanto tempo il farmaco impiegherà ad agire, attraverso quali vie viene eliminato (ad esempio fegato o reni) per sapere quali organi va ad impegnare e, per ultimo, in quanto tempo viene eliminato per avere idea di quando non avremo più il farmaco nell’organismo.

Tutte queste informazioni sono indicate nel paragrafo “Farmacocinetica” che segue.

Farmacocinetica di Mavenclad

La cladribina è un profarmaco che deve essere fosforilato in sede intracellulare per diventare biologicamente attivo. La farmacocinetica della cladribina è stata studiata dopo somministrazione orale ed endovenosa in pazienti con SM e pazienti con patologie maligne, e in sistemi in vitro.

Assorbimento

Dopo somministrazione orale, la cladribina viene assorbita rapidamente. La somministrazione di cladribina 10 mg determina una Cmax

media di cladribina compresa tra 22 e 29 ng/mL e una AUC media corrispondente compresa tra 80 e 101 ng?h/mL (medie aritmetiche da diversi studi).

Quando la cladribina orale è stata somministrata a digiuno, la Tmax mediana è stata di 0,5 h (range tra 0,5 e 1,5 h). Quando somministrata con un pasto ricco di lipidi, l’assorbimento della cladribina è stato ritardato (Tmax mediana 1,5 h, range tra 1 e 3 h) e la Cmax è stata ridotta del 29% (in base alla media geometrica), mentre l’AUC è rimasta invariata. La biodisponibilità di cladribina orale 10 mg è stata del 40% circa.

Distribuzione

Il volume di distribuzione è ampio e indica un’estesa distribuzione tissutale e un ampio assorbimento intracellulare. Gli studi hanno evidenziato che il volume medio di distribuzione della cladribina era compreso in un range tra 480 e 490 L. La cladribina è legata per il 20% alla proteine plasmatiche, indipendentemente dalla sua concentrazione plasmatica.

La distribuzione della cladribina attraverso le membrane biologiche è facilitata da varie proteine di trasporto, tra cui ENT1, CNT3 e BCRP.

Gli studi in vitro indicano che l’efflusso della cladribina è solo minimamente correlato alla P-gp. Non si prevedono interazioni clinicamente significative con gli inibitori della P-gp. Le potenziali conseguenze dell’induzione della P-gp sulla biodisponibilità della cladribina non sono state formalmente studiate in studi dedicati.

Gli studi in vitro hanno evidenziato una captazione trascurabile della cladribina mediata dai trasportatori negli epatociti umani.

La cladribina è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica. Uno studio limitato in pazienti oncologici ha mostrato un rapporto della concentrazione liquido cerebrospinale/plasma pari a circa 0,25.

La cladribina e/o i suoi metaboliti fosforilati si accumulano e sono trattenuti in misura notevole nei linfociti umani. In vitro, il rapporto tra accumulo intra- ed extracellulare varia da 30 a 40 già 1 ora dopo l’esposizione alla cladribina.

Biotrasformazione

Il metabolismo della cladribina è stato studiato nei pazienti con SM dopo la somministrazione di una singola compressa da 10 mg e di una singola dose endovenosa da 3 mg. Dopo somministrazione sia orale sia endovenosa, il composto originario cladribina è risultato il componente principale nel plasma e nelle urine. Il metabolita 2-cloroadenina è risultato un metabolita minore sia nel plasma sia nelle urine, rappresentando, per esempio, solo ?3% dell’esposizione plasmatica del farmaco originario dopo somministrazione orale . Altri metaboliti sono stati reperiti solo in tracce nel plasma e nelle urine.

Nei sistemi epatici in vitro è stato osservato un metabolismo trascurabile della cladribina (almeno il 90% della cladribina è rimasto immodificato).

Una volta entrata nelle cellule target, la cladribina è fosforilata a cladribina monofosfato (Cd-AMP) dalla DCK (e anche dalla deossiguanosina chinasi nei mitocondri). Cd-AMP viene ulteriormente fosforilata a cladribina difosfato (Cd-ADP) e cladribina trifosfato (Cd-ATP). La defosforilazione e disattivazione della Cd-AMP è catalizzata dalla 5´-NTasi citoplasmatica. In uno studio riguardante la

farmacocinetica intracellulare di Cd-AMP e Cd-ATP in pazienti con leucemia mieloide cronica, i livelli di Cd-ATP sono stati approssimativamente la metà dei livelli di Cd-AMP.

L’emivita intracellulare di Cd-AMP è stata di 15 h. L’emivita intracellulare di Cd-ATP è stata di 10 h. Eliminazione

In base ai dati aggregati di farmacocinetica derivanti dalla popolazione dei vari studi, i valori mediani di eliminazione sono stati di 22,2 L/h per la clearance renale e 23,4 L/h per la clearance non renale.

La clearance renale superava il tasso di filtrazione glomerulare, il che indica una secrezione renale tubulare attiva della cladribina.

La parte non renale dell’eliminazione della cladribina (approssimativamente 50%) consiste in un metabolismo epatico trascurabile e in una distribuzione e intrappolamento intracellulari ampi della cladribina attiva (Cd-ATP) nel compartimento intracellulare (cioè nei linfociti), con successiva eliminazione del Cd-ATP intracellulare secondo il ciclo vitale e le vie di eliminazione di queste cellule.

L’emivita terminale stimata per un paziente tipo derivato dall’analisi farmacocinetica di popolazione è di circa 1 giorno. Tuttavia, non ne deriva un accumulo del farmaco dopo somministrazione una volta al giorno, perché questa emivita riguarda solo una piccola parte dell’AUC.

Dipendenza da dose e tempo

Cmax e AUC sono aumentate in modo proporzionale alla dose dopo somministrazione orale di cladribina in un intervallo di dose compreso tra 3 e 20 mg; ciò indica che l’assorbimento non è influenzato da processi velocità- o capacità-limitati (

rate- or capacity-limited processes

) fino a una dose orale di 20 mg.

Dopo somministrazione ripetuta non è stato osservato alcun accumulo significativo della concentrazione di cladribina nel plasma. Non vi sono indizi di una possibile variazione tempo- dipendente della farmacocinetica della cladribina dopo somministrazione ripetuta.

Popolazioni particolari

Non sono stati condotti studi per valutare la farmacocinetica della cladribina in pazienti anziani o pediatrici con SM o in soggetti con disfunzione renale o epatica.

Un’analisi cinetica di popolazione non ha mostrato alcun effetto dell’età (intervallo compreso tra 18 e 65 anni) o del sesso sulla farmacocinetica della cladribina.

Disfunzione renale

La clearance renale della cladribina è risultata dipendente dalla clearance della creatinina. Sulla base di un’analisi farmacocinetica di popolazione comprendente pazienti con funzionalità renale normale e con disfunzione renale lieve, si ritiene che la clearance totale nei pazienti con disfunzione renale lieve (CLCR = 60 mL/min) si riduca moderatamente, determinando un aumento dell’esposizione del 25%.

Disfunzione epatica

Il ruolo della funzionalità epatica per l’eliminazione della cladribina è considerato trascurabile.

Interazioni farmacocinetiche

Uno studio di interazione farmacologica in pazienti con SM ha mostrato che la biodisponibilità della cladribina orale 10 mg non è stata alterata in caso di somministrazione concomitante con pantoprazolo.


Mavenclad: è un farmaco sicuro?

Abbiamo visto come Mavenclad agisce e come si assorbe e si elimina; ma come facciamo a sapere se Mavenclad è un farmaco sicuro?

Prima di tutto è necessario leggere quali sono i dati sulla sicurezza che vengono riportati nella scheda tecnica del farmaco.

Si tratta di dati forniti dalla casa produttrice e basati su un certo numero di lavori scientifici eseguiti prima della commercializzazione: si tratta dei cosiddetti “Dati preclinici di sicurezza”, che riportiamo nel prossimo paragrafo.

Mavenclad: dati sulla sicurezza

Le analisi non cliniche di sicurezza farmacologica e tossicologica su cladribina in modelli animali, rilevanti per la valutazione della sicurezza della cladribina non hanno prodotto risultati significativi diversi da quelli previsti sulla base del meccanismo farmacologico della cladribina. Gli organi bersaglio primari identificati negli studi di tossicologia a dose ripetuta somministrata per via parenterale (endovenosa o sottocutanea) di durata massima pari a 1 anno e condotti su topi e scimmie erano rappresentati dal sistema linfoideo e ematopoietico. Altri organi bersaglio dopo una somministrazione di durata maggiore (14 cicli) di cladribina in scimmie per via sottocutanea sono stati i reni (cariomegalia dell’epitelio tubulare renale), le ghiandole surrenali (atrofia della corteccia e riduzione della vacuolazione), il tratto gastrointestinale (atrofia della mucosa) e i testicoli. Effetti sui reni sono stati anche osservati nei topi.

Mutagenicità

La cladribina viene incorporata nei filamenti di DNA e ne inibisce la sintesi e la riparazione. La cladribina non ha indotto mutazione genica in batteri o cellule di mammifero, ma si è dimostrata clastogenica e ha determinato danni cromosomici in cellule di mammifero

in vitro

a una concentrazione 17 volte superiore alla Cmax clinica attesa. Nei topi, la clastogenicità in vivo è stata rilevata a una dose di 10 mg/kg, che è stata la dose più bassa testata.

Cancerogenicità

Il potenziale cancerogeno della cladribina è stato valutato in uno studio a lungo termine di 22 mesi con somministrazione sottocutanea nel topo e in uno studio a breve termine di 26 settimane per via orale in topi transgenici.

Nello studio di cancerogenesi a lungo termine nel topo, la dose massima utilizzata è stata di

10 mg/kg, che si è dimostrata genotossica nel test del micronucleo nel topo (equivalente a circa 16 volte l’esposizione attesa nell’uomo nell’AUC in pazienti che assumono la dose massima giornaliera di 20 mg di cladribina). Nel topo non è stato osservato alcun aumento dell’incidenza di malattie linfoproliferative o tumori di altro tipo (a parte i tumori della ghiandola di Harder, prevalentemente adenomi). I tumori della ghiandola di Harder non sono considerati di rilievo clinico, in quanto nell’uomo non sono presenti strutture anatomiche paragonabili.

Nello studio di cancerogenesi a breve termine in topi Tg rasH2 non è stato osservato alcun aumento associato alla cladribina dell’incidenza di malattie linfoproliferative o tumori di altro tipo a tutte le dosi studiate fino a 30 mg/kg al giorno (equivalente a circa 25 volte l’esposizione attesa nell’uomo nell’AUC in pazienti che assumono la dose massima giornaliera di 20 mg di cladribina).

La cladribina è stata valutata anche in uno studio di 1 anno nella scimmia per via sottocutanea. In questo studio non è stato osservato alcun aumento dell’incidenza di malattie linfoproliferative e non sono stati riscontrati tumori.

Benché la cladribina possa avere un potenziale genotossico, i dati a lungo termine nel topo e nella scimmia non hanno fornito alcuna evidenza di un aumento rilevante del rischio cancerogeno nell’uomo.

Tossicità della riproduzione

Mentre non sono stati osservati effetti sulla fertilità femminile, sulla funzione riproduttiva e sulle condizioni generali della prole, la cladribina si è dimostrata embrioletale se somministrata a topi in gravidanza e teratogena nel topo (anche dopo trattamento dei soli maschi) e nel coniglio. Gli effetti embrioletali e teratogeni osservati sono coerenti con il meccanismo farmacologico della cladribina. In uno studio di fertilità su topi maschi sono state osservate malformazioni fetali con agenesia di parti dell’appendice/delle appendici distali dell’omero e/o del femore. L’incidenza di feti colpiti in questo studio è stata compresa nell’intervallo di incidenza spontanea di amelia e focomelia in questo ceppo di topi. Tuttavia, considerata la genotossicità della cladribina, non possono essere esclusi effetti mediati dai maschi in termini di potenziali alterazioni genetiche degli spermatozoi in fase di differenziazione.

La cladribina non ha alterato la fertilità dei topi maschi, ma sono stati osservati effetti sul testicolo: peso testicolare ridotto e aumento degli spermatozoi non mobili. Anche nella scimmia sono state osservate degenerazione testicolare e riduzione reversibile degli spermatozoi con motilità progressiva rapida. All’esame istologico è stata osservata degenerazione testicolare soltanto in una scimmia maschio in uno studio di tossicità della durata di 1 anno con somministrazione sottocutanea.


Dopo la commercializzazione di un farmaco, vengono tuttavia attuate delle misure di controllo dagli organi preposti, per monitorare comunque tutti gli effetti collaterali che dovessero manifestarsi nell’impiego clinico.

Tutti gli effetti collaterali segnalati nella fase di commercializzazione del farmaco, vengono poi riportati nella scheda tecnica nei paragrafi “effetti indesiderati” e “controindicazioni”.

Mavenclad: si può prendere insieme ad altri farmaci?

Un altro importante capitolo da non dimenticare per valutare se un farmaco è sicuro o no, è quello delle interazioni con altri farmaci.

Può infatti capitare che un farmaco, di per sé innocuo, diventi pericoloso se associato ad alcuni altri farmaci.

Questo è vero anche per i prodotti erboristici: classico è l’esempio dell’ “Erba di San Giovanni” (Iperico) che interagisce con alcuni farmaci anticoagulanti aumentandone l’efficacia e mettendo quindi il paziente a rischio di emorragie.

Esaminiamo allora quali sono le interazioni possibili di Mavenclad

Mavenclad: interazioni

MAVENCLAD contiene idrossipropilbetadex, che può essere disponibile per la formazione di complessi con altri medicinali e aumentare potenzialmente la biodisponibilità di tali prodotti (in particolare medicinali a bassa solubilità, vedere paragrafo 5.2). Si raccomanda quindi di somministrare qualsiasi altro medicinale orale a un intervallo di almeno 3 ore dall’assunzione di MAVENCLAD durante i pochi giorni di somministrazione della cladribina.

Medicinali immunosoppressivi

L’inizio del trattamento con cladribina è controindicato nei pazienti immunocompromessi, compresi i pazienti attualmente sottoposti a terapia immunosoppressiva o mielosoppressiva, ad esempio con metotrexato, ciclofosfamide, ciclosporina o azatioprina, o in caso di uso cronico di corticosteroidi, a causa del rischio di effetti additivi sul sistema immunitario (vedere paragrafo 4.3).

Durante il trattamento con cladribina è consentita una terapia acuta di breve durata con corticosteroidi sistemici.

Altri medicinali modificanti la malattia

L’uso di MAVENCLAD con interferone beta determina un aumento del rischio di linfopenia. La sicurezza e l’efficacia di MAVENCLAD in combinazione con altri trattamenti in grado di modificare il decorso della SM non sono state stabilite. Il trattamento concomitante non è raccomandato.

Medicinali ematotossici

A causa della riduzione della conta linfocitaria indotta dalla cladribina, si possono verificare reazioni avverse ematologiche additive se la cladribina viene somministrata prima di o in maniera concomitante con altre sostanze che alterano il profilo ematologico (ad es. carbamazepina). In questi casi si raccomanda un attento monitoraggio dei parametri ematologici.

Vaccini vivi o vivi attenuati

Il trattamento con MAVENCLAD non deve essere iniziato nelle 4-6 settimane successive a una vaccinazione con vaccini vivi o attenuati, a causa del rischio di infezione vaccinica attiva. Una vaccinazione con vaccini vivi o attenuati va evitata durante e dopo il trattamento con cladribina finché la conta leucocitaria non rientra nei limiti della norma.

Inibitori potenti delle molecole di trasporto ENT1, CNT3 e BCRP

A livello dell’assorbimento della cladribina, l’unica eventuale via di interazione di rilievo clinico sembra essere quella della proteina di resistenza del carcinoma mammario (breast cancer resistance protein, BCRP o ABCG2). L’inibizione della BCRP nel tratto gastrointestinale può aumentare la biodisponibilità orale e l’esposizione sistemica della cladribina. Gli inibitori noti della BCRP, che possono modificare del 20% la farmacocinetica dei substrati della BCRP in vivo, comprendono eltrombopag.

Gli studi in vitro indicano che la cladribina è un substrato della proteina di trasporto nucleosidica equilibrativa (equilibrative nucleoside transporter, ENT1) e della proteina di trasporto nucleosidica concentrativa (concentrative nucleoside transporter, CNT3). Di conseguenza, la biodisponibilità, la distribuzione intracellulare e l’eliminazione renale della cladribina possono teoricamente essere alterate dagli inibitori potenti delle molecole di trasporto ENT1 e CNT3 come dilazep, nifedipina, nimodipina, cilostazol, sulindac o reserpina. Tuttavia, è difficile prevedere gli effetti netti in termini di potenziali alterazioni dell’esposizione alla cladribina.

Benché la rilevanza clinica di tali interazioni non sia nota, si raccomanda di evitare la somministrazione concomitante degli inibitori potenti di ENT1, CNT3 o BCRP durante i 4-5 giorni di somministrazione con cladribina. Qualora non fosse possibile evitare la co-somministrazione , si consideri l’impiego concomitante di medicinali alternativi con azione inibitoria delle molecole di trasporto ENT1, CNT3 o BCRP minima o assente. Se anche questo non fosse possibile, si raccomanda una riduzione della dose dei medicinali contenenti queste sostanze al minimo necessario, la loro somministrazione a distanza e un attento monitoraggio del paziente.

Induttori potenti dei trasportatori BCRP e P-gp

Gli effetti degli induttori potenti dei trasportatori di efflusso BCRP e P-glicoproteina (P-gp) sulla biodisponibilità e la disposizione della cladribina non sono stati formalmente valutati in studi dedicati. Una possibile riduzione dell’esposizione alla cladribina dovrebbe essere tenuta in considerazione in caso di co-somministrazione di induttori potenti dei trasportatori BCRP (ad es. corticosteroidi) o P-gp (ad es. rifampicina, iperico).

Contraccettivi ormonali

Attualmente non è noto se la cladribina possa ridurre l’efficacia dei contraccettivi ormonali ad azione sistemica. Pertanto, le donne che usano contraccettivi ormonali ad azione sistemica devono aggiungere un metodo di barriera durante il trattamento con cladribina e almeno nelle 4 settimane successive all’assunzione dell’ultima dose di ogni anno di trattamento (vedere paragrafo 4.6).


Mavenclad: posso guidare la macchina se lo prendo?

Un capitolo poco noto e molto sottovalutato è quello degli effetti di un farmaco sui riflessi e quindi sulla capacità di guidare la macchina o di effettuare lavori pericolosi.

Molti farmaci riducono la capacità di reazione, oppure possono causare vertigini o abbassamenti di pressione che possono essere molto pericolosi per chi guida o effettua lavori in cui le capacità fisiche sono importanti: basti pensare agli operai che lavorano su impalcature o che operano su macchinari come presse o forni

E’ sempre bene quindi leggere attentamente questo piccolo ma molto importante paragrafo della Scheda Tecnica del farmaco.

Mavenclad: effetti sulla guida e sull’uso di macchinari

MAVENCLAD non altera o altera in modo trascurabile la capacità di guidare veicoli e di usare macchinari.

Per approfondire l’argomento, per avere ulteriori raccomandazioni, o per chiarire ogni dubbio, si raccomanda di leggere l’intera Scheda Tecnica del Farmaco