Jambul: proprietà curative. A cosa serve? Come si usa?

Jambul

Tratto da “Piante Medicinali – Chimica, Farmacologia e Terapa” di R. Benigni, C. Capra e P.F.Cattorini

(Eugenia Jambolana Lamk. – Fam. Myrtacee/Eugeniee) (Sin. – Sisygium (o Sysygium) Jambolanum (Lamk.) DC.)

Jambul- Ultimo aggiornamento pagina: 27/02/2018

Indice dei contenuti

  1. Generalità
  2. Componenti principali
  3. Proprietà farmacologiche
  4. Estratti e preparati vari
  5. Preparazioni usuali e Formule
  6. Bibliografia

Generalità

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jambul

Etimologia – Eugenia, genere dedicato al Principe Eugenio Francesco di Savoia, «le Petit Abbé», celebre capitano «l'Invincibile», che, durante la pace, promosse gli studi botanici. L’omaggio ebbe luogo al tempo in cui, in Francia, si dedicavano le nuove piante a personaggi illustri.

Jambolana – da iambul, giambos, giambal, vocaboli coi quali nelle Indie or. sono designate parecchie Myrtacee.

Sisygium (o Sysygium) dal greco suzugos = appaiato, unito; perchè i petali sono saldati a cuffia e si aprono circolarmente nell’antesi.

Nomi volgari – Jambul, Jambosa, Janum, Navel, Isolaiam, dyamelun, vòi rù’ng (Vietn./n.).

Habitat – India or., Indocina, Arcipelago della Sonda. Diffusa nei giardini tropicali.

Albero.

Parti usate I semi.

Componenti principali

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Olio etereo 0,05 % (1), resina 0,3%, olio grasso, un glicoside («antimellina») chimicamente non definito (2), la cui presenza è stata negata da Power e Callan (1), jambulolo (1), identificato con l’acido ellagico (3), acido gallico 1,63%, tannino (4) 0,88-0,92% (5), proteine, pentosano, zuccheri riducenti, destrina, amido (4) 27,3 % (5), acqua 8% e ceneri 2,9% (4). Nella frazione lipidica (1-2%) sono stati trovati oleina, linoleina, palmitina, stearina e fitosterolo (3), inoltre alcool miricilico ed entriacontano (4). E’ stata segnalata la presenza di sostanze non definite, dotate di attività antibatterica (6) e di altre dotate di azione ipoglicemizzante (7-12).

Proprietà farmacologiche ed impiego terapeutico

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Lo Jambul è da lungo tempo impiegato come medicamento, in India dove è noto sotto diverse denominazioni: Jambul, Jambu, Jamur, Jamen, Djamblang, Kalajam, Karbajame, ma il nome più frequente secondo il Bibie (13) sembra essere quello di Jamun. Nella letteratura sanscrita per lo Jambul si trovano anche i nomi di Navel, Jambudo, Neredi, Nevale, Meghavarna, Meghabha, Nilaphala, Rajaphala.

Il succo dolce del frutto fresco serve anche a preparare una bevanda alcoolica, la Jambava, che per successiva fermentazione acetica acquista un sapore acido e viene usata dagli indiani come medicamento diuretico, carminativo e stomachico. Anche le foglie, dopo pressatura, vengono impiegate come astringente [Egasse (14), Dymock (15)] e il succo della radice fresca mescolato col latte (Chakradatta) è impiegato nella terapia di alcune forme di enterite diarroica infantile.

Lo Jambul venne introdotto nella medicina europea intorno al 1800, dopo cioè che ne fu preconizzato l’uso dal medico indiano Banatvale (16) di Madras, nel 1883. I molti lavori che vennero eseguiti su questa droga, riguardano tutti la sua attività antidiabetica e la maggior parte di essi venne pubblicata nel periodo compreso tra il 1886 e i primi anni del 1900.

Fra i primi lavori sull’argomento vanno annoverati quelli di Scott (17) e quelli di Balfour e Woodhead (18) dai quali risulta che la polvere di semi di Jambul è capace di ostacolare l’azione saccarificante della diastasi dell’orzo, fatto questo che fu negato da Willy (19) ma successivamente confermato da Colasanti e Leoni (20) e da Hildebrandt (21) il quale impiegando estratti acquosi di corteccia del frutto, riuscì a inibire oltre l’attività delle diastasi vegetali, anche quella degli enzimi saccarificanti del siero, della saliva e della secrezione pancreatica.

A queste prime ricerche, eseguite in vitro, seguirono quelle in vivo su animali da esperimento e quindi quelle cliniche sull’uomo. Non per tutte le ricerche però vennero impiegati estratti preparati con semi, ma anche con altre parti della pianta: corteccia del frutto, radice, foglie e forse anche per questo i risultati ottenuti non sempre sono concordanti.

Graser (22) e numerosi altri ottennero buoni risultati somministrando estratti di Jambul a cani con diabete da fiorizina. Essi notarono una riduzione della glicosuria sino all’84 % mentre, anche per dosi elevate, non venne mai osservata la comparsa di indesiderabili azioni secondarie.

Analoghi risultati furono ottenuti da Kobert (23) nella glicosuria da ossalati e da Colasanti (24) nel diabete sperimentale nel cane.

Risultati negativi furono invece ottenuti da Minkowski (25) e molto dubbi, più recentemente, da Kaufmann (26) il quale usò estratti alcoolici di corteccia somministrati endovena e per os a conigli.

Risultati più convincenti furono invece ottenuti anche più recentemente da Mercier e Vieu-Bonnafous (27) i quali usando estratti idroalcoolici di semi somministrati per via sottocutanea, nel cane, alla dose di g 0,05-0,2/kg, ottennero una riduzione del 10-40 % della iperglicemia da carico di glucosio, seguita da una fase ipoglicemica che raggiunse la massima intensità fra la 5a e l'8a ora. Con la somministrazione di estratto alla dose di g 0,25/kg la glicemia da carico venne completamente inibita e, per di più, il tasso glicemico subì una diminuzione del 12 % dopo 2 ore, raggiunse il 24-53 % alla 5a ora e si mantenne sotto i valori normali per circa 24 ore.

I risultati furono sempre netti, costanti e proporzionali alla dose somministrata. Risultati dubbi gli AA. ottennero invece per somministrazione orale del suddetto estratto e negativi con estratto di corteccia, anche se somministrato per via parenterale.

Le prime ricerche cliniche risalgono forse, al 1885 e furono eseguite da Clacius (28) il quale oltre al constatare l’attività antiglicosurica della polvere dei semi di Jambul somministrata alla dose di g 0,3 più volte al giorno, confermò anche l’inattività dei preparati ottenuti dalla corteccia del frutto, inattività già osservata sperimentalmente.

A queste prime ricerche seguirono quelle di molti altri AA. [vedi Erspamer cit. in (16) e il già citato fascicolo Merck n.11] fra i quali il Vix (29), i già citati Graser (22) e Kaufmann (26), gli italiani Colasanti (20), Raimondi e Rossi (30), Ciullini e Rossi (31) che, pur notando una certa incostanza di risultati, ebbero a constatare un buon effetto antidiabetico, anche se non risolutivo.

Non pochi altri AA., le cui ricerche vennero tutte eseguite fra il 1887 e il 1893, si esprimono invece negativamente (vedi Erspamer I.c.).

Più indicativi ci sembrano i risultati positivi ottenuti da Mercier e Vieu-Bonnafous (27) poiché, anche se non recentissimi (1940), sono stati certamente ottenuti mediante l’impiego di più aggiornati mezzi di indagine. Da essi deriva comunque l’interessante acquisizione che i risultati migliori e più costanti si ottengono con estratti di semi di Jambul somministrati parenteralmente.

Sull'azione ipoglicemizzante di estratti di semi di Jambul hanno riferito successivamente anche alcuni autori indiani, quali Mukerji (32), Vaish e Kehar (33), Sepala e Bose (34) e, più recentemente, Brahmachari e Augusti (35) i quali hanno tentato di isolare il principio attivo ipoglicemizzante dai semi seccati al sole di E. jambolana. Gli estratti ottenuti da questi semi con diversi solventi, sono stati sperimentati su conigli albini, maschi, del peso di 2 kg, tenuti a digiuno per 18 ore il cui livello glicemico medio era di 100-125 mg %. L'estratto alcoolico (95°), somministrato per os, ha manifestato un buon potere ipoglicemizzante mentre gli estratti acquosi hanno dimostrato soltanto una leggera attività.

I residui vischiosi dell’estratto alcoolico ottenuti dopo evaporazione, sono stati essiccati a pressione ridotta e saggiati comparativamente con la tolbutamide (0,5 g/coniglio) e i risultati sono stati riassunti nella curva dose-effetto, ottenuta con diverse dosi, secondo il metodo di Marks. Nella figura che segue, oltre la curva ottenuta con l'estratto alcoolico di E. jambolana, é riprodotta anche quella ottenuta con estratti di Ficus bengalensis, contemporaneamente sperimentati dagli AA.

I risultati negativi o incostanti, ottenuti dagli autori precedentemente citati, possono trovare spiegazione nella diversa composizione dei preparati impiegati (ottenuti non sempre da semi ma anche da altre parti della pianta), dalla via di somministrazione (orale invece che parenterale) e occorre anche considerare che lo Jambul, come anche altre droghe ad azione antidiabetica, può agire in maniera diversa a seconda delle condizioni sperimentali o delle diverse forme cliniche di diabete.

Crediamo dunque di poter concludere che gli estratti ottenuti dai semi e specialmente se somministrati per via parenterale (sottocutanea), pos-

jambul Figura 1

sono essere impiegati vantaggiosamente in alcuni casi di diabete leggero o come farmaco di risparmio, associato all'insulina, nei casi più gravi.

Aggiungiamo infine che Maruzzella e Freundlich (36) hanno recentemente constatato che estratti acquosi di Jambul sono dotati di attività antimicrobica contro la Staph. aureus, il Mycobact. smegmatis, la Erw. caratovora e lo Streptomyces Venezuelae.

Estratti e preparati vari

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Estratto fluido (g 1 = XXXIV gtt).

Dosi: g 0,3 più volte pro die.

Preparazioni usuali e formule galeniche

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Tintura

Estratto fluido jambul……………………………………………………. g 20

Alcool di 25°…………………………………………………………………. g 80

(g 1,5 più volte pro die).

Sciroppo

Estratto fluido jambul……………………………………………………. g. 5

Sciroppo semplice F. U………………………………………………… g 95

(a cucchiai)

Pozione

Estratto fluido jambul……………………………………………………. g 15

Glicerina……………………………………………………………………….. g 50

Acqua g 85

(1 cucchiaio, due-tre volte pro die dopo i pasti).

BIBLIOGRAFIA

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