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L’ipertensione arteriosa è tra le condizioni cliniche più diffuse in Italia e nel mondo, spesso asintomatica per anni ma capace di aumentare significativamente il rischio di ictus, infarto, scompenso cardiaco e malattia renale cronica. Per molti pazienti, gli interventi sullo stile di vita rappresentano il primo passo fondamentale; tuttavia, quando i valori pressori rimangono elevati o il rischio cardiovascolare complessivo è alto, entra in gioco la terapia farmacologica con antipertensivi. Comprendere che cosa sono questi farmaci, quali obiettivi perseguono e come si inseriscono in un percorso di cura permette di interpretare con maggiore consapevolezza le proposte terapeutiche e di collaborare efficacemente con il medico nella gestione a lungo termine della pressione.
Quando ci si chiede quali antipertensivi siano “più prescritti”, è importante ricordare che non esiste un singolo farmaco ottimale per tutti, ma gruppi di medicinali con meccanismi d’azione differenti, scelti e combinati in base al profilo clinico individuale. Le decisioni si fondano su valori pressori misurati correttamente, sul rischio cardiovascolare globale, sulla presenza di comorbidità (ad esempio diabete o nefropatia), sulla tollerabilità e sulla possibilità di semplificare gli schemi terapeutici per favorire l’aderenza. In questa analisi presentiamo che cosa sono gli antipertensivi e qual è il loro ruolo nella strategia di controllo pressorio, preparando il terreno a una panoramica ragionata delle famiglie più utilizzate, dei loro meccanismi d’azione, dei possibili effetti collaterali e delle considerazioni pratiche per un impiego sicuro e consapevole.
Cosa sono gli antipertensivi?
Gli antipertensivi sono farmaci impiegati per abbassare la pressione arteriosa quando, nonostante le misure non farmacologiche, i valori rimangono persistentemente elevati oppure quando il rischio cardiovascolare è tale da rendere opportuno un intervento farmacologico tempestivo. L’obiettivo non è soltanto numerico, cioè raggiungere una certa “soglia” al braccio, ma clinico: ridurre in modo concreto la probabilità di eventi come ictus, infarto del miocardio, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca e progressione della malattia renale. Le soglie di inizio terapia e i target da raggiungere possono variare in funzione dell’età, delle comorbidità e del contesto di misurazione (ambulatoriale, domiciliare o attraverso monitoraggio pressorio nelle 24 ore), perché fenomeni come “ipertensione da camice bianco” o “ipertensione mascherata” influenzano la valutazione del rischio reale. In ogni caso, la diagnosi e la decisione terapeutica si basano su misurazioni ripetute, accurate e contestualizzate, evitando di trattare rialzi isolati dovuti a stress o dolore acuto.
Dal punto di vista farmacologico, parlare di antipertensivi significa riferirsi a più famiglie di medicinali che agiscono su bersagli differenti della regolazione pressoria. I principali gruppi includono i diuretici (in particolare i tiazidici e tiazido-simili), gli inibitori dell’enzima di conversione dell’angiotensina (ACE-inibitori), i bloccanti del recettore dell’angiotensina II (sartani o ARB), i calcio-antagonisti, i beta-bloccanti e altri farmaci di impiego più selettivo come gli antagonisti dell’aldosterone, gli alfa-bloccanti, i farmaci ad azione centrale e, meno frequentemente, gli inibitori diretti della renina. Queste famiglie non sono intercambiabili in senso assoluto: alcune risultano particolarmente utili in presenza di certe condizioni cliniche associate (ad esempio malattia coronarica o scompenso), altre sono preferite per profili di tollerabilità o per il loro impatto su organi bersaglio come rene e cuore.
La prescrizione degli antipertensivi segue spesso un approccio graduale e personalizzato. In molti pazienti, soprattutto quando i valori pressori sono significativamente elevati o quando il rischio cardiovascolare globale è alto, si adotta fin dall’inizio una terapia di combinazione a basse dosi, spesso in una singola compressa (combinazioni a dose fissa), per sfruttare meccanismi d’azione complementari e migliorare l’aderenza. In altri casi, si parte con un solo principio attivo e si titola progressivamente la dose o si aggiunge un secondo farmaco qualora i target non siano raggiunti. La scelta dello schema tiene conto dell’età, della funzione renale, della presenza di diabete, cardiopatia ischemica o scompenso cardiaco, di eventuali stenosi delle arterie renali e di condizioni particolari come la gravidanza, in cui alcune classi (ad esempio ACE-inibitori e sartani) sono controindicate.
La sicurezza d’uso è una componente essenziale della terapia antipertensiva e comprende sia la prevenzione degli effetti indesiderati sia il monitoraggio periodico. Alcuni farmaci richiedono controlli di laboratorio di routine, per esempio creatinina ed elettroliti (sodio, potassio), soprattutto durante le fasi di avvio e aggiustamento. È importante valutare il rischio di ipotensione ortostatica (il calo pressorio quando ci si alza in piedi), più frequente in età avanzata, e considerare fattori come disidratazione, ondate di calore o uso concomitante di medicinali che possono interferire con la regolazione pressoria, tra cui anti-infiammatori non steroidei o certi antidepressivi. La co-prescrizione con altre terapie croniche (per esempio per diabete, dolore, ansia o insonnia) richiede attenzione alle interazioni, mentre l’educazione del paziente alla corretta automisurazione domiciliare e al riconoscimento di eventuali sintomi di eccessiva riduzione pressoria contribuisce a una gestione più sicura.
Gli antipertensivi non sostituiscono ma affiancano gli interventi sullo stile di vita, che restano fondamentali per potenziare l’efficacia del trattamento e ridurre il numero di farmaci necessari. Riduzione dell’apporto di sale, controllo del peso, attività fisica regolare, moderazione del consumo di alcol, cessazione del fumo e una buona igiene del sonno, inclusa la valutazione di eventuale apnea ostruttiva, sono leve ad alto impatto sul controllo pressorio. L’aderenza alla terapia è cruciale: assunzioni irregolari o sospensioni autonome possono vanificare i benefici e aumentare il rischio di eventi avversi. In questo senso, gli schemi semplificati, le combinazioni a dose fissa e una comunicazione chiara sugli obiettivi di trattamento favoriscono la continuità. Comprendere che gli “antipertensivi più prescritti” riflettono evidenze di efficacia, tollerabilità e disponibilità consente di leggere le scelte terapeutiche non come preferenze arbitrarie, ma come parte di una strategia strutturata di prevenzione cardiovascolare.
Elenco degli antipertensivi più prescritti
Nella pratica clinica, le classi più frequentemente prescritte comprendono i diuretici tiazidici e tiazido-simili (idroclorotiazide, clortalidone, indapamide), gli ACE-inibitori (ramipril, enalapril, lisinopril), i bloccanti del recettore dell’angiotensina II o sartani (losartan, valsartan, candesartan, olmesartan) e i calcio-antagonisti diidropiridinici (amlodipina, lercanidipina, felodipina). Queste opzioni rappresentano di norma la prima linea perché combinano efficacia antipertensiva, buona tollerabilità e ampia disponibilità di formulazioni.
I beta-bloccanti (ad esempio bisoprololo, metoprololo, nebivololo, carvedilolo) sono molto utilizzati, soprattutto quando coesistono condizioni come cardiopatia ischemica, aritmie o scompenso cardiaco. Nell’ipertensione non complicata possono non essere la scelta iniziale, ma trovano comunque un ruolo importante in profili clinici selezionati.
Altri farmaci impiegati includono gli antagonisti dell’aldosterone (spironolattone, eplerenone), utili in particolare nell’ipertensione resistente e in presenza di scompenso; gli alfa-bloccanti (doxazosina, terazosina), talvolta preferiti quando è presente ipertrofia prostatica; i farmaci ad azione centrale (moxonidina, clonidina) e, più raramente, l’inibitore diretto della renina (aliskiren). La selezione considera comorbidità, possibili interazioni e obiettivi di protezione d’organo.
Nella pratica quotidiana sono diffuse le combinazioni a dose fissa, che riuniscono due o tre principi attivi in una sola compressa. Le associazioni più comuni sono ACE-inibitore o sartano con calcio-antagonista, oppure con un diuretico tiazidico/tiazido-simile; esistono anche triple combinazioni. Queste strategie favoriscono l’aderenza e consentono di impiegare dosaggi più bassi per ciascun componente.
Come funzionano gli antipertensivi?
Gli antipertensivi sono farmaci progettati per abbassare la pressione arteriosa e prevenire le complicanze associate all’ipertensione. Agiscono attraverso diversi meccanismi, a seconda della classe di appartenenza.
Gli ACE-inibitori, come il ramipril, bloccano l’enzima di conversione dell’angiotensina, riducendo la produzione di angiotensina II, una sostanza che causa vasocostrizione. Questo porta a una dilatazione dei vasi sanguigni e a una diminuzione della pressione arteriosa. (santagostino.it)
I sartani, o antagonisti del recettore dell’angiotensina II, come il candesartan, impediscono all’angiotensina II di legarsi ai suoi recettori, prevenendo così la vasocostrizione e favorendo la riduzione della pressione.
I diuretici tiazidici aumentano l’eliminazione di sodio e acqua attraverso le urine, riducendo il volume del sangue circolante e abbassando la pressione arteriosa. (sifweb.org)
I beta-bloccanti riducono la frequenza cardiaca e la forza di contrazione del cuore, diminuendo così la quantità di sangue pompata nelle arterie e abbassando la pressione.
Effetti collaterali degli antipertensivi
Come tutti i farmaci, anche gli antipertensivi possono causare effetti collaterali, che variano in base alla classe di appartenenza.
Gli ACE-inibitori possono provocare tosse secca persistente, ipotensione, iperkaliemia e, in rari casi, angioedema.
I sartani sono generalmente ben tollerati, ma possono causare cefalea, vertigini, dolori lombari e disturbi gastrointestinali.
I diuretici tiazidici possono portare a squilibri elettrolitici, come ipokaliemia, ipomagnesiemia, iperuricemia e iperglicemia. (gennarinoborrello.jimdofree.com)
I beta-bloccanti possono causare bradicardia, affaticamento, disturbi del sonno e, in alcuni casi, disfunzione sessuale.
Consigli per l’uso degli antipertensivi
Per garantire l’efficacia e la sicurezza della terapia antipertensiva, è fondamentale seguire alcune indicazioni.
Assumere i farmaci esattamente come prescritto dal medico, senza modificare dosaggi o interrompere la terapia senza consultarlo.
Monitorare regolarmente la pressione arteriosa e sottoporsi a controlli periodici per valutare la funzionalità renale e i livelli di elettroliti nel sangue. (centrodiagnosticoippocrate.it)
Informare il medico di tutti i farmaci assunti, inclusi quelli da banco e gli integratori, per evitare interazioni potenzialmente pericolose.
Adottare uno stile di vita sano, con una dieta equilibrata, attività fisica regolare e limitazione del consumo di alcol e sale, per potenziare l’efficacia della terapia farmacologica.
In caso di effetti collaterali, non interrompere autonomamente la terapia, ma consultare il medico per valutare eventuali aggiustamenti o cambi di farmaco. (zurrose.ch)
In conclusione, gli antipertensivi sono strumenti fondamentali nel controllo dell’ipertensione arteriosa, ma il loro utilizzo richiede attenzione e monitoraggio costante per garantire il massimo beneficio con il minimo rischio.
Per approfondire
Società Italiana di Farmacologia: Panoramica sull’ipertensione e le prospettive future nel trattamento farmacologico.
My Personal Trainer: Guida sugli effetti collaterali dei farmaci cardiovascolari e su cosa monitorare durante la terapia.
Fondazione Umberto Veronesi: Consigli su come evitare farmaci inappropriati e scegliere quelli più adatti nel trattamento dell’ipertensione.
