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La trombosi è la formazione di un coagulo di sangue (trombo) all’interno di un vaso. Quando il trombo si sviluppa in una vena profonda, parliamo di trombosi venosa profonda (TVP), che può complicarsi con l’embolia polmonare se una parte del coagulo si stacca e raggiunge i polmoni. Quando invece il trombo interessa un’arteria, può interrompere il flusso verso organi vitali e causare eventi come infarto o ictus. Comprendere chi è più esposto a questi eventi è il primo passo per ridurre il rischio complessivo, perché molti fattori predisponenti sono riconoscibili, talvolta modificabili, e spesso agiscono in modo cumulativo.
Il rischio di trombosi non è uguale per tutti né è costante nel tempo: aumenta o diminuisce in base a età, condizioni cliniche, terapie assunte e situazioni temporanee (per esempio dopo un intervento). Questa guida spiega quali sono i principali fattori di rischio per la trombosi e come si combinano tra loro, con un linguaggio chiaro ma rigoroso dal punto di vista clinico. Nei prossimi capitoli verranno affrontate le strategie pratiche per ridurre il rischio e le situazioni in cui è opportuno discutere con il medico eventuali misure preventive.
Fattori di rischio per la trombosi
Alcuni fattori di rischio non sono modificabili ma aiutano a definire il profilo individuale. L’età è tra i più importanti: con l’invecchiamento aumentano le probabilità sia di trombosi venosa sia di eventi aterotrombotici arteriosi. La storia personale di trombosi è un indicatore particolarmente forte: chi ha già avuto una TVP o un’embolia polmonare ha un rischio maggiore di recidiva, soprattutto nei primi anni. Contano anche la familiarità e alcune predisposizioni genetiche, come la mutazione del Fattore V Leiden o della protrombina, o carenze di antitrombina, proteina C o proteina S: non significano che la trombosi si verificherà, ma aumentano la suscettibilità, soprattutto in presenza di altri fattori scatenanti. Anche il sesso biologico e il contesto ormonale influenzano il rischio lungo la vita: ad esempio, le donne in età fertile non in gravidanza tendono ad avere un rischio venoso di base leggermente inferiore rispetto agli uomini della stessa età, ma il rischio può aumentare in fasi come la gravidanza o con l’uso di estrogeni.
Tra i fattori acquisiti e spesso temporanei, chirurgia e traumatismi occupano un ruolo di primo piano. Gli interventi ortopedici maggiori (come protesi d’anca o di ginocchio), la chirurgia oncologica, addominale o pelvica e le fratture degli arti inferiori comportano un rischio marcatamente aumentato di trombosi per l’associazione di immobilità, infiammazione e ipercoagulabilità. L’allettamento prolungato, l’immobilizzazione con gesso, il ricovero ospedaliero e l’uso di cateteri venosi centrali favoriscono la stasi del sangue e la formazione di trombi, soprattutto in pazienti con altri fattori predisponenti. Anche periodi di immobilità non ospedaliera — lunghe tratte di viaggio senza movimento — possono contribuire, in particolare se coesistono disidratazione, compressione delle pieghe poplitee e altri fattori. In molte di queste circostanze, il rischio è concentrato nelle primi settimane dopo l’evento scatenante e tende a ridursi con il recupero della mobilità.
Ormoni esogeni e condizioni fisiologiche legate alla sfera riproduttiva modulano significativamente il rischio venoso. I contraccettivi contenenti estrogeni e la terapia ormonale sostitutiva in menopausa aumentano la tendenza alla coagulazione; l’entità del rischio dipende dalla dose di estrogeni, dal tipo di progestinico e dalla presenza di altri fattori (come obesità o fumo). Anche le terapie ormonali affermative che includono estrogeni possono incrementare il rischio, motivo per cui è utile una valutazione personalizzata del profilo trombotico. La gravidanza e, soprattutto, il periodo post-partum rappresentano fasi a rischio elevato di trombosi venosa, per cambiamenti fisiologici della coagulazione, stasi venosa e traumi vascolari legati al parto; il picco di rischio si concentra nelle prime settimane dopo il parto. La presenza di trombofilia ereditaria, varici importanti o pregressa trombosi in queste fasi può ulteriormente aumentare la probabilità di eventi.
Malattie oncologiche e alcune condizioni internistiche aumentano la probabilità di trombosi attraverso meccanismi complessi che includono infiammazione sistemica, rilascio di sostanze procoagulanti e danno endoteliale. Tumori del pancreas, dello stomaco, del polmone e le neoplasie ematologiche sono tra i più trombofilici; anche alcuni trattamenti antitumorali, come talune chemioterapie, antiangiogenici o modulanti ormonali, possono innalzare il rischio. Nell’ambito ematologico, le neoplasie mieloproliferative (policitemia vera, trombocitemia essenziale), l’emoglobinuria parossistica notturna e la trombocitosi marcata sono associate a trombosi sia venose sia arteriose. La sindrome da anticorpi antifosfolipidi è una causa autoimmune di ipercoagulabilità, spesso con eventi a esordio in età giovane e in sedi insolite. Anche la sindrome nefrosica, le malattie infiammatorie croniche intestinali, le infezioni severe (incluso il periodo di malattia acuta), l’insufficienza cardiaca e condizioni che aumentano la viscosità del sangue (disidratazione marcata, policitemia) contribuiscono a un maggiore rischio. Per il versante arterioso, fattori come ipertensione, diabete, dislipidemia e fumo favoriscono l’aterosclerosi e, quindi, eventi trombotici come infarto e ictus; la fibrillazione atriale, invece, predispone a trombi atriali con rischio embolico cerebrale.
Stili di vita e dieta
Anche lo stile di vita e alcuni fattori ambientali giocano un ruolo, spesso in sinergia con quelli clinici. Sovrappeso e obesità aumentano la pressione sulle vene degli arti inferiori e sono associati a uno stato infiammatorio cronico che favorisce l’ipercoagulabilità. Il fumo di sigaretta danneggia l’endotelio vascolare e altera l’equilibrio tra fattori pro- e anticoagulanti, con effetti rilevanti sia sul rischio arterioso sia su quello venoso, specialmente se combinato con estrogeni. La sedentarietà prolungata e la scarsa idratazione contribuiscono alla stasi e alla viscosità ematica, mentre lunghi viaggi in posizione seduta, soprattutto in presenza di altri fattori, aumentano ulteriormente il rischio. Varici importanti e insufficienza venosa cronica non sono di per sé cause principali di TVP, ma possono facilitare trombosi superficiali e, in presenza di ulteriori fattori, incrementare il rischio complessivo. È importante ricordare che il rischio trombotico è dinamico e spesso additivo: più fattori coesistono, maggiore è la probabilità di un evento. In contesti clinici specifici, esistono strumenti di stratificazione (utilizzati in ambito ospedaliero o perioperatorio) che aiutano a stimare il rischio e orientare eventuali misure di profilassi; a casa, la consapevolezza dei propri fattori e l’attenzione ai periodi a rischio sono la base per scelte preventive efficaci.
L’attività fisica regolare favorisce la contrazione della muscolatura del polpaccio e contrasta la stasi venosa: camminata a passo sostenuto, scale al posto dell’ascensore ed esercizi di mobilizzazione di caviglie e ginocchia distribuiti nella giornata sono misure semplici e utili. Durante periodi di sedentarietà prolungata (lavoro alla scrivania, viaggi), è consigliabile alzarsi a intervalli regolari, muovere le gambe, mantenere un’adeguata idratazione ed evitare eccessi di alcol che possono favorire la disidratazione.
Un modello alimentare equilibrato, ispirato alla dieta mediterranea, aiuta a controllare il peso e i fattori di rischio arteriosi: ampio consumo di verdura, frutta, legumi, cereali integrali, pesce e olio extravergine d’oliva, con limitazione di sale, zuccheri semplici, carni lavorate e grassi saturi. Un apporto di liquidi adeguato contribuisce a mantenere la viscosità ematica entro limiti fisiologici. In chi assume antagonisti della vitamina K, è utile mantenere costante l’introito di alimenti ricchi di vitamina K e concordare con il curante l’uso di integratori o prodotti erboristici.
Farmaci e terapie preventive
La prevenzione farmacologica della trombosi si basa principalmente sull’uso di anticoagulanti, che riducono la capacità del sangue di formare coaguli. Tra questi, l’eparina e i suoi derivati sono spesso utilizzati in situazioni acute o post-operatorie per prevenire la formazione di trombi. L’eparina non frazionata richiede un attento monitoraggio del tempo di tromboplastina parziale, mentre le eparine a basso peso molecolare (EBPM) offrono il vantaggio di non necessitare di monitoraggio frequente, sebbene in pazienti obesi possa essere utile controllare i livelli di anti-Fattore Xa. (doctorium.it)
Per la prevenzione a lungo termine, si utilizzano spesso gli antagonisti della vitamina K, come il warfarin, che richiedono un monitoraggio regolare del rapporto internazionale normalizzato (INR) per assicurare l’efficacia e minimizzare il rischio di sanguinamento. Negli ultimi anni, gli anticoagulanti orali diretti (DOAC), come dabigatran, edoxaban, rivaroxaban e apixaban, hanno rappresentato un’alternativa efficace, con il vantaggio di non richiedere monitoraggio routinario. Tuttavia, è fondamentale valutare il rischio di sanguinamento e la funzionalità renale del paziente prima di iniziare la terapia con DOAC.
In alcuni casi, soprattutto in pazienti con rischio elevato di trombosi o con episodi trombotici ricorrenti, la terapia anticoagulante può essere prolungata per periodi estesi o addirittura per tutta la vita. La decisione sulla durata del trattamento deve essere personalizzata, considerando i benefici nella prevenzione di nuovi eventi trombotici e i potenziali rischi associati alla terapia anticoagulante.
Oltre alla terapia farmacologica, l’uso di calze elastiche a compressione graduata è raccomandato, soprattutto in pazienti con trombosi venosa profonda, per migliorare il ritorno venoso e ridurre il rischio di complicanze come la sindrome post-trombotica. Queste calze aiutano a prevenire il gonfiore e il dolore associati alla trombosi, migliorando la qualità della vita del paziente. (humanitas.it)
Quando rivolgersi al medico
È fondamentale consultare tempestivamente un medico se si manifestano sintomi suggestivi di trombosi, come dolore e gonfiore a un arto, arrossamento o sensazione di calore nella zona interessata. Questi segni possono indicare la presenza di una trombosi venosa profonda, che richiede un intervento medico immediato per prevenire complicanze gravi.
In presenza di sintomi quali mancanza di respiro improvvisa, dolore toracico, vertigini o svenimenti, è necessario recarsi immediatamente al pronto soccorso, poiché potrebbero indicare un’embolia polmonare, una complicanza potenzialmente letale della trombosi. (healthy.thewom.it)
Anche in assenza di sintomi evidenti, è consigliabile rivolgersi al medico se si appartiene a categorie a rischio elevato, come persone con storia familiare di trombosi, pazienti oncologici, donne in gravidanza o in terapia ormonale, o individui con immobilizzazione prolungata. Una valutazione medica può determinare la necessità di misure preventive specifiche.
Inoltre, è opportuno consultare un professionista sanitario prima di intraprendere viaggi lunghi o interventi chirurgici programmati, per discutere strategie preventive personalizzate, come l’uso di calze a compressione o la somministrazione di anticoagulanti profilattici.
Infine, se si stanno assumendo farmaci anticoagulanti, è importante monitorare regolarmente i parametri di coagulazione e segnalare al medico eventuali segni di sanguinamento o effetti collaterali, per adeguare la terapia in modo sicuro ed efficace.
In conclusione, la prevenzione della trombosi richiede un approccio integrato che combina modifiche dello stile di vita, terapie farmacologiche appropriate e una stretta collaborazione con il proprio medico. Riconoscere tempestivamente i sintomi e adottare misure preventive personalizzate sono passi fondamentali per ridurre il rischio di eventi trombotici e le loro potenziali complicanze.
Per approfondire
Humanitas: Approfondimento sulla trombosi, sintomi e trattamenti.
Auxologico: Informazioni dettagliate sulla trombosi e le sue cause.
