Lebbra o Malattia di Hansen: diagnosi, profilassi e terapia

Lebbra o Malattia di Hansen

Lebbra: scheda riassuntiva di notifica e profilassi


Classificazione ICD-9: 030, 030.9

Tipo di Notifica: Classe III

Periodo di incubazione: Da alcuni mesi a decine di anni.

Periodo di contagiosità: L’infettività viene persa, nella maggior parte dei casi, entro 3 mesi dall’inizio di un trattamento continuo e regolare con dapsone o clofazimina o entro 3 giorni dall’inizio del trattamento con rifampicina.

Provvedimenti nei confronti del malato: Isolamento da contatto1 per i pazienti affetti da lebbra lepromatosa; non sono necessarie misure di isolamento2 per le altre forme di lebbra.

Restrizione dall’attività lavorativa o scolastica fino a permanenza dello stato di infettività (vedi sopra).

Provvedimenti nei confronti dei conviventi e dei contatti: Sorveglianza clinica3 mediante esame immediato e successivi esami periodici di conviventi4 ed altri contatti stretti5, ad intervalli non superiori a dodici mesi, per almeno 5 anni dall’ultimo

1 Isolamento da contatto: da applicare in caso di infezioni meno virulente, trasmesse per contatto diretto o semidiretto. È indicata una stanza separata (pazienti con la stessa patologia possono essere ospitati nella stessa stanza) e l’uso di maschere per tutte le persone che vengono in contatto con il paziente; i guanti sono indicati nel caso di manipolazione o contatto con materiali contaminati e l’uso di grembiuli in caso di possibilità di insudiciamento
2 Isolamento: separazione, per il periodo di contagiosità, delle persone (o degli animali) infette dagli altri in ambiente e condizioni tali da prevenire o limitare la trasmissione diretta o indiretta dell’agente infettivo.
3 Sorveglianza clinica: la ricerca giornaliera, in conviventi e contatti di un paziente affetto da malattia trasmissibile, di segni e sintomi riferibili ad essa.
4 Conviventi: tutti coloro che condividano con il paziente la stessa abitazione.
5 Contatti stretti: soggetti che frequentino “regolarmente” (quotidianamente) il domicilio del paziente, partners sessuali, compagni di classe, colleghi di lavoro che condividano la stessa stanza, operatori sanitari esposti.

 

Generalità

La lebbra, o malattia di Hansen, descritta per la prima volta negli antichi testi dell’india del VI secolo a.C., è una malattia cronica a evoluzione non fatale causata da Mycobacterium leprae (bacillo di Hansen), che colpisce la cute, il sistema nervoso periferico, le vie aeree superiori, l’occhio e i testicoli.

É una malattia solamente umana, che evolve con estrema lentezza e con un lunghissimo periodo di incubazione, con uno spiccato polimorfismo clinico, con interessamento prevalentemente della cute, ma anche del sistema nervoso e dei vari visceri.

Il particolare tropismo di Mycobacterium leprae nei confronti nei nervi periferici (dai tronchi nervosi più grandi alle fibre nervose microscopiche del derma) e i particolari stati di reattività immunitaria rappresentano le principali cause di morbilità nella lebbra.

La tendenza della malattia a generare, se non trattata, caratteristiche deformità, e il riconoscimento in molte civiltà della trasmissibilità della malattia da persona a persona, hanno generato storicamente una profonda emarginazione sociale dei malati.

Oggi, grazie alla precocità della diagnosi e all’istituzione di una terapia idonea ed efficace, i pazienti possono condurre una vita produttiva in comunità, e le deformazioni e le altre manifestazioni visibili possono essere ampiamente prevenute.

Eziologia

Il batterio che causa la lebbra è il Mycobacterium leprae, un bacillo intracellulare obbligato (0.3-1 μm di spessore e 1-8 μm di lunghezza) acido-resistente, non distinguibile a livello microscopico dagli altri micobatteri.

È identificabile su sezioni di tessuti tramite colorazione di Fite modificata e privo di una dimostrabile variabilità ceppo-dipendente.

Sebbene sia stato il primo batterio correlato a livello eziologico con la patologia umana, Mycobacterium leprae rimane una delle poche specie batteriche non ancora coltivabile in terreni di coltura artificiali o in colture di tessuto.

lebbra: mycobacterium leprae o bacillo di Hansen
Mycobacterium lepreae o bacillo di Hansen

Mycobacterium leprae produce tossine non note ed è ben adattato alla penetrazione e alla sopravvivenza all’interno dei macrofagi, potendo tuttavia sopravvivere nell’ambiente esterno per 7-10 giorni.

Nei pazienti non trattati, soltanto 1’1% dei microrganismi è vitale.

L’indice morfologico, una misura del numero di bacilli acido-resistenti rilevati su raschiamento cutaneo che si colorano in maniera uniformemente intensa, si correla con la vitalità.

L’indice batteriologico, una misura su scala logaritmica della densità di Mycobacterium leprae nel derma, può raggiungere un valore da 4+ fino a 6+ nei pazienti non trattati, riducendosi di un’unità per anno durante una terapia efficace: il tasso di riduzione è indipendente dalla potenza relativa di una terapia antibiotica efficace.

Un indice morfologico o batteriologico in incremento suggerisce la presenza di una recidiva e probabilmente – se il paziente è in trattamento – di farmaco-resistenza; quest’ultima eventualità può essere confermata o esclusa nel topo.

Epidemiologia della Lebbra

Caratteristiche demografiche

La lebbra è una malattia che colpisce quasi esclusivamente i paesi in via di sviluppo, interessando regioni dell’Asia, dell’Africa, dell’America Latina e del Pacifico.

Mentre l’Africa presenta la prevalenza di malattia più elevata, in Asia si registra il maggior numero di casi.

Più dell’80% dei casi mondiali di lebbra si verifica in un numero limitato di Paesi: India, Cina, Myanmar, Indonesia, Brasile e Nigeria.

In Brasile, la maggior parte dei casi si verifica nel bacino del Rio delle Amazzoni, mentre nel Messico la malattia è confinata agli stati occidentali.

A eccezione dei casi importati, la lebbra è del tutto assente negli Stati Uniti, in Canada e in Europa Nord Occidentale.

Nonostante i dati sulla prevalenza mondiale della malattia siano discutibili, è generalmente accettato che l’incidenza annuale di nuovi casi di lebbra sia stabile e che si avvicini a 600.000 casi.

La lebbra è associata alla povertà e alla residenza in aree rurali.

La maggior parte delle persone sembra essere naturalmente immune nei confronti della lebbra, e non sviluppa le manifestazioni cliniche della malattia a seguito dell’esposizione.

Il picco di incidenza per età è nella seconda e terza decade di vita.

La forma più grave, ovvero la lebbra lepromatosa, è due volte più frequente nell’uomo che nella donna ed è di raro riscontro nei bambini.

Trasmissione

La modalità di trasmissione della lebbra rimane incerta, potendo inoltre essere multipla; l’infezione da goccioline nasali, il contatto con terreno infetto, nonché vettori quali insetti, sono stati considerati i principali meccanismi.

Aerosol di Mycobacterium leprae possono determinare l’infezione in topi immunosoppressi, e uno starnuto di un paziente con lebbra non trattata può contenere >1010 bacilli acido-resistenti.

Numerose osservazioni implicano la trasmissione della lebbra tramite il terreno:

  1. in aree endemiche come l’india, la lebbra è principalmente una malattia rurale e non urbana;
  2. è accertato che componenti di Al. leprae risiedono nel suolo dei luoghi di endemia;
  3. l’inoculazione diretta nel derma (per es., durante l’esecuzione di tatuaggi) può trasmettere Mycobacterium leprae: inoltre i distretti corporei interessati nella lebbra dei bambini sono le natiche e le cosce, suggerendo che la microinoculazione di terreno infetto possa trasmettere la malattia.

L’evidenza del ruolo di vettori nella trasmissione della lebbra deriva dalla dimostrazione che le cimici e le zanzare presenti nelle vicinanze dei lebbrosari albergano regolarmente Mycobacterium leprae e che le zanzare infettate a livello sperimentale possono trasmettere l’infezione ai topi.

Il contatto tra superfici cutanee non è generalmente considerato un’importante modalità di trasmissione.

I medici e gli infermieri che si prendono cura dei pazienti con lebbra e i collaboratori di questi ultimi non sono a rischio di acquisizione della malattia.

Quadro Clinico della Lebbra

Il periodo di incubazione che precede le manifestazioni della malattia clinicamente conclamala varia tra i 2 e i 40 anni, nonostante sia generalmente in media di 5-7 anni.

La lebbra si presenta con uno spettro di manifestazioni cliniche con aspetti patologici e immunologici caratteristici.

Le due forme cliniche principali sono la lebbra tubercoloide (TT), la più benigna, e la lebbra lepromatosa (LL) la forma più grave.

Fra le due forme estreme, si collocano forme di gravità intermedia: la lebbra tubercoloide “border-line” (BT) e la lebbra lepromatosa “border-line” (BL).

Lo spettro clinico della lebbra comprende quindi 4 principali forma morbose che, in ordine di gravità, si possono così riassumere:

  1. Lebbra Tubercoloide (TT)
  2. Lebbra Tubercoloide border-line (BT)
  3. Lebbra Lepromatosa border-line (BL)
  4. Lebbra Lepromatosa (LL)

Il passaggio dello spettro clinico dalla malattia polare tubercoloide (TT), alla tubercoloide borderline (BT), alla borderline lepromatosa (BL), alla polare lepromatosa (LL) è associato al passaggio da manifestazioni localizzate a più generalizzate della malattia, a un incremento della carica batterica e alla perdita dell’immunità cellulare Mycobacterium leprae-specifica.

Lebbra tubercoloide

La forma meno grave dello spettro clinico è la lebbra tubercoloide che comprende la malattia tubercoloide polare e tubercoloide borderline.

In linea generale, queste forme di lebbra sono associate a sintomi confinati alla cute e ai nervi periferici.

La lesione iniziale della lebbra tubercoloide è spesso una macula ipopigmentata, nettamente demarcata e ipoestesica.

Successivamente, le lesioni si ingrandiscono per diffusione periferica, e i margini diventano rilevati con aspetto circinato.

L’area centrale comincia a essere atrofica e depressa.

Le lesioni più evolute sono completamente anestetiche e prive di annessi cutanei (ghiandole sudoripare e follicoli piliferi).Lebbra o malattia di Hansen: volto di una paziente

I pazienti alla fine presentano una o più macule caratterizzate da distribuzione asimmetrica, ipopigmentazione, anestesia, non pruriginose e ben delimitate, spesso con un margine eritematoso o rilevato.

Il diametro delle lesioni cutanee della lebbra tubercoloide varia da uno a diversi centimetri; esse sono inoltre asciutte, squamose e anidrotiche.

I pazienti con lebbra tubercoloide possono anche presentare un ingrossamento asimmetrico di uno o più nervi periferici.

La lebbra e certe rare neuropatie ereditarie sono le uniche malattie dell’uomo associate ad aumento di volume dei nervi periferici.

Sebbene possa essere colpito qualsiasi nervo periferico (inclusi i piccoli nervi digitali e sovraclaveari), quelli più spesso coinvolti sono l’ulnare, l’auricolare posteriore, il peroneale e il tibiale posteriore, con associate ipoestesia e miopatia.

A volte, la lebbra tubercoloide può manifestarsi con l’interessamento di un singolo tronco nervoso in assenza di lesioni cutanee; in questi casi si parla di lebbra neurale. La lebbra TT può guarire spontaneamente e non è accompagnala dalle reazioni lebbrose.

La lebbra BT non guarisce spontaneamente e può essere associata a reazioni lebbrose di tipo 1 ma non a eritema nodoso lepromatoso.

La lebbra TT è la la forma più comunemente osservata in India e in Africa, ma è virtualmente assente nel Sud-Est Asiatico, dove è frequente la lebbra BT.

Nella lebbra TT, a livello istologico può essere presente un interessamento dell’epidermide, mentre in tutte le forme di lebbra sia l’epidermide sia il derma più superficiale sono risparmiati, mentre le lesioni sono confinate nel derma profondo.

I linfociti circolanti dei pazienti con lebbra tubercoloide riconoscono prontamente Mycobacterium leprae e le proteine che lo compongono, e i pazienti presentano un’intradermoreazione alla lepromina positiva.

Lebbra lepromatosa

All’estremità più grave dello spettro clinico della lebbra vi è la forma lepromatosa, che comprende le varianti LL e BL.

Le lesioni iniziali della lebbra lepromatosa sono rappresentate da papule o noduli cutanei pigmentali o leggermente critematosi.

Con il tempo, le singole lesioni aumentano il loro diametro fino a 2 cm; quindi compaiono nuove papule e noduli con possibile fusione delle lesioni.

Successivamente, i pazienti presentano noduli cutanei distribuiti in maniera simmetrica. placche rilevate o infiltrazione diffusa del derma, responsabile a livello del volto della cosiddetta facies leonina.

Manifestazioni tardive includono perdita delle sopracciglia e delle ciglia, lobi auricolari penduli e cute notevolmente desquamante, in particolare a carico dei piedi.

Di riscontro quasi esclusivo nel Messico occidentale e nei Caraibi, è una forma di lebbra lepromatosa senza lesioni cutanee visibili, ma con diffusa infiltrazione ed evidente ispessimento del derma, denominata lepromatosi diffusa.

Nella lebbra lepromatosa, l’ingrossamento dei nervi e il danno tendono a essere simmetrici, dipendono dall’invasione diretta da parte del bacillo e sono più insidiosi, ma in definitiva più estesi, di quelli osservati nella lebbra tubercoloide.

I pazienti con lebbra LL presentano una neuropatia periferica distale simmetrica che interessa le estremità e una tendenza all’ingrandimento simmetrico dei tronchi nervosi; possono inoltre avere segni e sintomi connessi all’interessamento delle vie respiratorie superiori, della camera anteriore dell’occhio e dei testicoli.

Nella lebbra lepromatosa, la patologia cutanea è confinata al derma e interessa in particolar modo gli annessi dermici.

Nella lebbra LL, i bacilli sono abbondanti nella cute (fino a 109/g), dove sono osservabili spesso sotto forma di voluminosi aggregati (globi), e nei nervi periferici.

Inoltre, i bacilli sono abbondanti nel circolo ematico e in tutti i sistemi organici, tranne i polmoni e il SNC.

Tuttavia, i pazienti sono afebbrili, e non vi è evidenza di disfunzione a carico di nessuno degli organi principali.

Il derma della lebbra BL contiene più linfociti e meno bacilli acido-resistenti e mostra una minore vacuolizzazione rispetto alla lebbra LL.

Nei pazienti con lebbra LL non trattata, i linfociti regolarmente non riescono a riconoscere né Mycobacterium leprae né le sue componenti proteiche, e l’intradermoreazionc alia lepromina è negativa.

Questa perdita di immunità cellulare sembra essere antigene-specifìca, e talvolta è reversibile con una terapia efficace.

I pazienti con LL e BL possono sviluppare reazioni lebbrose di tipo 2 (Eritema Nodoso Lepromatoso), mentre i pazienti con lebbra BL (ma non quelli con lebbra LL) possono avere reazioni lebbrose di tipo 1.

Stati reattivi

Le reazioni lebbrose includono diversi e comuni stati infiammatori immuno-mediati, responsabili di una considerevole morbosità.

Alcune di queste reazioni precedono la diagnosi e l’inizio di una terapia antibiotica specifica e possono spingere il paziente a richiedere cure mediche e quindi a conoscere la diagnosi; altre insorgono invece dopo l’inizio di una terapia adeguata.

In quest’ultima circostanza, i pazienti perdono la fiducia nella terapia convenzionale, ritenendo che la loro malattia stia peggiorando.

Solo avvertendo il paziente sulla possibilità di comparsa di queste reazioni e descrivendone le caratteristiche cliniche, i medici possono garantire una continua credibilità.

Reazioni lebbrose di tipo 1

Queste reazioni si verificano in quasi la metà dei pazienti con forme borderline di lebbra, ma non in pazienti con malattia polare.

Le manifestazioni includono i classici segni di infiammazione a livello delle macule, papule e placche già presenti e, occasionalmente, la comparsa di nuove lesioni cutanee, nevrite e (meno frequentemente) febbre moderata.

Il tronco nervoso più spesso coinvolto in questo processo è l’ulnare (a livello del gomito), che può essere dolente e intensamente doloratole alla compressione.

Se i pazienti con interessamento neurologico non vengono trattati tempestivamente con glucocorticoidi (vedi oltre), si può giungere nell’arco di 24 ore a un danno irreversibile.

La manifestazione più drammatica è la caduta del piede, conseguente all’interessamento del nervo peroneale.

Quando le reazioni lebbrose di tipo l precedono l’inizio della terapia antibiotica appropriata, vengono denominate reazioni di peggioramento e in questo caso l’istologia evidenzia un’evoluzione verso la forma lepromatosa; se invece si sviluppano dopo l’inizio della terapia vengono definite reazioni di conversione e l’istologia documenta l’evoluzione verso la forma tubercoloide.

Le reazioni di conversione compaiono spesso nei primi mesi o anni dopo l’inizio della terapia, ma possono verificarsi anche a distanza di molti anni.

Per le reazioni lebbrose di tipo 1 il miglior trattamento sono i glucocorticoidi (per es., prednisone, inizialmente alla dose di 40-60 mg/die).

Quando l’infiammazione diminuisce, la dose di glucocorticoidi può essere ridotta gradualmente, ma la terapia va continuata per almeno 3 mesi affinché non sopravvengano ricadute.

A causa dei numerosi effetti tossici connessi alla terapia corticosteroidea prolungata, le indicazioni al suo inizio sono strettamente limitale alle lesioni in cui l’intensità dell’infiammazione rischia di evolvere verso l’ulcerazione, alle lesioni in distretti importanti a livello estetico (per es. il volto) e ai casi di nevrite.

Reazioni lebbrose da lievi a moderate che non soddisfano questi criteri dovrebbero essere tollerate e il trattamento con glucocorticoidi andrebbe negato.

La talidomide è inefficace contro le reazioni lebbrose di tipo 1: la clofazimina (200-300 mg/die) è di discutibile utilità, ma in ogni caso molto meno efficace dei glucocorticoidi.

Reazioni lebbrose di tipo 2

L’eritema nodoso leproma-toso (ENL) si verifica esclusivamente in pazienti vicini all’estremità lepromatosa dello spettro clinico della lebbra, interessando circa il 50% di questo gruppo.

Sebbene l’ENL possa precedere la diagnosi di lebbra e l’inizio della terapia, suggerendo a volte la diagnosi, nel 90% dei casi compare dopo l’inizio della terapia, generalmente nell’arco di 2 anni.

Le caratteristiche cliniche più comuni dell’ENL sono: gruppi di papulc eritematose e dolenti che regrediscono spontaneamente in pochi giorni o in una settimana, ma che possono ricomparire, il malessere e la febbre a volte elevata.

I pazienti possono anche sviluppare sintomi di nevrite, linfadenite, uveite, orchite e glomerulonefrite e possono presentare anemia, leucocitosi, anomalie della funzionalità epatica, in particolare un aumento delle transaminasi.

Alcuni pazienti possono andare incontro a un singolo attacco di ENL o a manifestazioni croniche ricorrenti. Gli attacchi possono essere lievi, gravi e generalizzali; in rari casi possono condurre a morte.

Si ritiene che l’ENL sia la conseguenza della deposizione di immunocomplessi, ma la presenza di marcatori dell’ipersensibilità di tipo ritardato, suggeriscono la presenza di un meccanismo alternativo.

Il trattamento deve essere individualizzato.

Se l’ENL è lieve (per cs., senza febbre o interessamento di altri organi, con gruppi occasionali di poche papulc cutanee), può essere trattato con soli antipiretici.

Tuttavia, nei casi con numerose lesioni cutanee, febbre, malessere e coinvolgimento di altri tessuti, sono spesso efficaci dei brevi cicli (1-2 settimane) di glucocorticoidi (all’inizio 40-60 mg/die).

Con o senza la terapia, le singole papule guariscono nell’arco di una settimana.

Il successo terapeutico è definito dalla cessazione dello sviluppo delle lesioni cutanee e dalla scomparsa di altri segni e sintomi di natura sistemica.

Se, nonostante due cicli di terapia con glucocorticoidi, l’ENL sembra essere ricorrente e persistente, deve essere intrapreso un trattamento con talidomide (100-300 mg ogni sera), a un dosaggio dipendente dalla gravità iniziale della reazione.

Sebbene il meccanismo alla base della drammatica attività della talidomide contro l’ENL non sia del tutto chiaro, l’efficacia del farmaco è probabilmente attribuibile alla riduzione dei livelli di TNF e della sintesi di IgM, e al rallentamento della migrazione dei leucociti polimorfonucleati.

Una volta controllata la reazione, dosi più basse (50-200 mg ogni sera) di talidomide sono in grado di prevenire le recidive di ENL.

La clofazimina a dosi elevate (300 mg ogni sera) possiede una certa efficacia contro l’ENL, ma il suo uso permette soltanto una modesta riduzione della dose di glucocorticoidi necessaria per il controllo dell’ENL.

Fenomeno di Lucio

Questa reazione inusuale è osservabile esclusivamente nei pazienti del Messico e dei Carabi affetti da lebbra lepromatosa diffusa, più spesso nei non trattati.

I pazienti con questa reazione sviluppano gruppi ricorrenti di lesioni ulcerative voluminose e nettamente delimitate (in particolare a carico delle estremità inferiori) che possono essere generalizzate e, in questo caso, frequentemente fatali a seguito dell’infezione secondaria e della conseguente setticemia.

Istologicamente, le lesioni sono caratterizzate da necrosi ischemica dell’epidermide e del derma superficiale, rilevante parassitismo delle cellule endoteliali da parte di bacilli acido-resistenti e da proliferazione endoteliale con formazione di trombi nei vasi più ampi degli strati più profondi del derma.

Come l’ENL, la reazione di Lucio è probabilmente mediata dagli immunocomplessi.

Né i glucocorticoidi né la talidomide sono efficaci contro questa sindrome.

Sono indicali una cura adeguata della lesione e il trattamento della setticemia.

Le ulcere tendono a cronicizzare e guariscono con difficoltà.

Nei casi gravi, l’exanguinotrasfusione può rivelarsi utile.

Ascessi dei nervi

I pazienti affetti da varie forme di lebbra, ma in particolare quelli con lebbra BT, possono sviluppare ascessi dei nervi (più comunemente l’ulnare) con aspetto cellulitico della cute adiacente.

In tali circostanze, il nervo interessalo è gonfio e intensamente dolorabile alla compressione. Sebbene i glucocorticoidi possano ridurre i segni di flogosi, è necessaria la rapida decompressione chirurgica al fine di prevenire sequele irreversibili.

Complicanze

Le estremità

Le complicanze a carico delle estremità nei pazienti con lebbra sono fondamentalmente la conseguenza della neuropatia, la quale conduce alla perdita della sensibilità e alla miopatia.

La compromissione della sensibilità riguarda la percezione del dolore, la sensibilità termica e la sensibilità lattile epicritica, ma generalmente sono risparmiate la percezione delle vibrazioni e della posizione.

Il tronco nervoso più comunemente colpito è l’ulnare a livello del gomito, con conseguente atteggiamento ad artiglio del quarto e quinto dito, perdita della muscolatura interossea dorsale della mano interessata e compromissione della sensibilità in queste aree di distribuzione.

Il coinvolgimento del nervo mediano compromette l’opposizione del pollice e il movimento di prensione, mentre la disfunzione del nervo radiale, seppur rara nella lebbra, conduce alla caduta del polso.

Il reimpianto di tendini può ripristinare la funzione della mano ma non deve essere utilizzalo prima di 6 mesi dall’inizio della terapia antimicrobica e dalla risoluzione di un episodio acuto di neurite.

L’ulcerazione plantare, in particolare in corrispondenza delle teste metatarsali, è probabilmente la più frequente complicanza della neuropatia in corso di lebbra.

Le ulcere plantari possono secondariamente infettarsi e condurre a cellulite nelle zone adiacenti e a osteomielite.

Vista l’importanza dell’integrità del normale cuscinetto adiposo plantare, una volta che si è instaurata un’ulcerazione iniziale e che il cuscinetto è stato sostituito da un tessuto cicatriziale fibroso sottile e meno clastico, l’ulcerazione ricorrente diventa purtroppo comune.

Il trattamento delle ulcere plantari prevede lo sbrigliamento del tessuto devitalizzato e sottominalo, l’eliminazione del carico tramite ingessatura a contatto totale o con riposo a letto, e un efficace trattamento delle infezioni secondarie, dovute principalmente a Staphylococ-cus aureus.

Una volta avvenuta la guarigione, la dcambulazione deve essere limitata, specialmente nella prima settimana, con un lento e progressivo aumento nel periodo successivo. Ai fine di prevenire le recidive, sono necessarie scarpe con profondità aggiuntiva o scarpe su misura con inserti modellati in maniera particolare.

La paralisi del nervo peroneale può derivare dalla lebbra stessa o da uno dei suoi stati reattivi; la conseguenza è la caduta parziale o completa del piede che determina una irregolare distribuzione del peso sulla superfìcie plantare e perciò una predilezione per l’ulcerazione.

Dei semplici sostegni metallici all’interno della scarpa possono essere utili, mentre i trasferimenti di tendine possono realmente correggere la caduta del piede.

Anche se di raro riscontro, le articolazioni di Charcot, in particolare del piede e dell’anca, possono essere una conseguenza della lebbra.

La perdita delle dita nella lebbra è la conseguenza della perdita di sensibilità, dei traumi, delle infezioni secondarie e, nei pazienti lepromatosi, di un processo osteolitico profondo non riconosciuto.

La coscienziosa protezione delle estremità durante il lavoro in cucina e il precoce inizio di una terapia hanno considerevolmente ridotto negli ultimi tempi la frequenza e la gravità della perdita delle dita.

Naso

Nella lebbra lepromatosa, l’invasione della mucosa nasale da parte dei bacilli può portare a congestione nasale cronica e a epistassi.

Gocce nasali di soluzione fisiologica possono alleviare questi sintomi. La lebbra LL non trattata per lungo tempo può portare inoltre alla distruzione della cartilagine nasale, con conseguente deformazione a sella del naso e anosmia (più frequenti nell’era prcantibiotica rispetto a oggi).

Tecniche di ricostruzione nasale possono migliorare dei difetti estetici rilevanti.

Occhio

Il lagoftalmo e l’anestesia corneale dovuti alla paralisi dei nervi cranici possono complicare la lebbra, favorendo il traumatismo oculare, le infezioni secondarie e (in assenza di trattamento) le ulcerazioni e le opacità corneali.

Nei pazienti con questi problemi, l’uso di colliri durante il giorno e di unguenti durante la notte garantisce una certa protezione nei confronti delle suddette conseguenze.

Oltretutto, nella lebbra lepromatosa. la camera anteriore dell’occhio è invasa ai bacilli e l’ENL può evolvere verso l’uveite, con conseguenti cataratta e glaucoma.

Pertanto la lebbra è un’importantissima causa di cecità nei Paesi in via di sviluppo.

La valutazione dei pazienti con lebbra LL con lampada a fessura rivela la presenza di noduli corneali, costituiti da globi di Mycobacterium leprae.

Testicoli

Mycobacterium leprae invade i testicoli, mentre l’ENL può determinare orchite.

Perciò i soggetti di sesso maschile con lebbra lepromatosa manifestano spesso disfunzioni testicolari da lievi a moderate, con un’elevazione degli ormoni luteinizzanti e follicolo-stimolanti, riduzione del testosterone e aspermia o ipospermia nell’85% e nel 25% dei pazienti rispettivamente affetti da lebbra LL e lebbra BL.

I pazienti con lebbra LL possono diventare impotenti e sterili.

L’impotenza in alcuni casi risponde alla terapia sostitutiva con testosterone.

Amiloidosi

L’amiloidosi secondaria è una complicanza della lebbra LL e dell’ENL raramente riscontrata nell’era antibiotica.

Questa complicanza può essere responsabile di anomalie della funzionalità epatica e in particolare di quella renale.

Diagnosi

La lebbra più frequentemente si presenta con le tipiche lesioni cutanee e il tipico aspetto istopatologico.

Pertanto la malattia deve essere sospettata quando un paziente proveniente da aree di endemia presenta lesioni cutanee suggestive o una neuropatia periferica; la diagnosi deve essere confermata dall’esame istopatologico.

Nella lebbra tubcrcoloide devono essere sottoposte a biopsia le aree colpite, preferibilmente il margine in avanzamento, poiché la cute macroscopicamente normale non presenta caratteristiche patologiche.

Nella lebbra lepromatosa, i noduli, le placche e le aree infiltrate sono sedi ottimali per l’esecuzione di una biopsia, ma anche le biopsie su cute apparentemente normale sono generalmente diagnostiche.

La lebbra lepromatosa è associata a diffusa iperglobulinemia, la quale può essere responsabile di test sierologici falsamente positivi (per es., VDRL. RA. ANA) creando di conseguenza confusione diagnostica.

Occasionalmente, le lesioni tubercoloidi possono:

  1. non essere tipiche;
  2. non essere ipoestesiche;
  3. non contenere granulomi infiltrati linfocitari soltanto non specifici

In tali circostanze due di queste tre caratteristiche sono considerate sufficienti per la diagnosi.

Egrave; preferibile eccedere nelle indagini diagnostiche che permettere che un paziente con lebbra rimanga senza trattamento.

Anticorpi di classe IgM contro PGL-1 sono osservati nel 95% dei pazienti con lebbra lepromatosa non trattati; il titolo anticorpale decresce con la terapia antibiotica efficace.

Tuttavia, nella lebbra tubercoloide – la variante della malattia più spesso associata a incertezza diagnostica a causa della mancanza di bacilli acido-resistenti – i pazienti possiedono livelli significativi di anticorpi contro PGL-1 soltanto nel 60% dei casi; oltretutto, nelle aree di endemia, soggetti esposti ma senza segni clinici di lebbra possono avere anticorpi contro PGL-1.

Pertanto, nella lebbra tubercoloide la sierologia per PGL-1 è di poca utilità diagnostica.

Mycobacterium leprae ucciso al calore (lepromina) è stato utilizzato come reagente per un test cutaneo.

In genere esso evoca una reazione nei pazienti affetti da lebbra tubercoloide, può determinare una reazione in soggetti sani e fornisce un risultato negativo nei pazienti con lebbra lepromatosa; di conseguenza è di altrettanto scarso valore diagnostico.

Sfortunatamente, la PCR per Mycobacterium leprae su cute, sebbene positiva nella lebbra LL e BL, dà risultali negativi nel 50% dei casi di lebbra tubercoloide, risultando anch’cssa di scarso ausilio diagnostico.

Nella diagnosi differenziale delle lesioni che simulano la lebbra vanno considerate la sarcoidosi. la leishmaniosi, il lupus vulgaris, il linfoma, la sifìlide, la framboesia, il granuloma anulare e vari altri disordini associati a ipopigmentazione.

La sarcoidosi può provocare flogosi perineurale, ma l’effettiva formazione di granulomi all’interno dei nervi del derma è patognomonica di lebbra.

Nella lebbra lepromatosa, campioni di espettorato possono essere ricchi di bacilli acido-resistenti – un risultato questo che può essere erroneamente interpretato come segno di tubercolosi polmonare.

Terapia della Lebbra

Farmaci attivi

Agenti riconosciuti da utilizzare per il trattamento della lebbra includono il dapsone (50-100 mg/die), clofazimina (50-100 mg/die, 100 mg 3 volte a settimana o 300 mg ogni mese) e rifampicina (600 mg ogni giorno o ogni mese).

Tra questi farmaci, solo la rifampicina è dotata di effetto battericida.

I sulfoni (antagonisti del folato), primo fra tutti il dapsone, sono stati i primi agenti antimicrobici con documentata efficacia nel trattamento della lebbra e rappresentano ancora il pilastro della terapia.

Con la terapia sulfonica le lesioni cutanee si risolvono e il numero dei bacilli vitali nella cute subisce un decremento.

Nonostante l’attività principalmente batteriostatica, la monoterapia con dapsone è associata a un tasso di recidiva resistenza-dipendente soltanto del 10%; dopo terapia della durata ≥18 anni, con successiva sospensione, solo un altro 10% dei pazienti va incontro a una recidiva, sviluppando nuovi noduli, “istioidi”, lucenti e generalmente asintomatici.

Il dapsone è generalmente sicuro e poco costoso.

Soggetti con deficit di glucosio-6-fosfato-deidrogenasi trattati con dapsone possono sviluppare un’emolisi grave; pazienti senza questo deficit vanno incontro a una riduzione della sopravvivenza dei globuli rossi e a una riduzione dell’emoglobina pari a circa 1 g/dl.

L’utilità del dapsone è occasionalmente limitala dallo sviluppo di dermatite allergica e raramente da una sindrome da sulfoni (comprendente febbre elevata, anemia, dermatite esfoliativa e alterazioni ematologiche tipo mononucleosi infettiva).

È necessario tenere a mente che la rifampicina è un induttore degli enzimi microsomiali, e richiede pertanto un aumento della dose di farmaci come i glucocorticoidi e i contraccettivi orali.

La clofazimina è spesso poco accettata dai pazienti di pelle chiara per problemi di ordine estetico, poiché essa provoca una pigmentazione rosso-nerastra che si accumula soprattutto nelle aree colpite, rendendo ovvia per i membri della comunità la diagnosi del singolo.

Altri agenti antimicrobici attivi contro Mycobacterium leprae in modelli animali e alle dosi giornaliere abitualmente utilizzate in sperimentazioni cliniche comprendono etionamide/protionamide, gli aminoglicosidi streptomicina, kanamicina e amikacina (ma non gentamicina o tobramicina), minociclina, claritromicina e diversi fluorochinoloni, in particolare l’ofloxacina.

Come la rifampicina, minociclina, claritromicina e ofloxacina presentano un’intensa attività battericida nei confronti di Mycobacterium leprae, ma questi farmaci non sono stati estensivamente utilizzati in programmi di controllo della lebbra.

Scelta dei regimi terapeutici

La terapia antibiotica della lebbra deve essere individualizzata, sulla base della forma clinico/patologica della malattia riscontrata.

La lebbra tubercoloide, comunemente associata a una bassa carica batterica e a una risposta immune cellulare protettiva, è la forma più semplice da trattare e può essere in maniera appropriata curata con ciclo di terapia limitato.

Al contrario, la lebbra lepromatosa può presentare la carica batterica più alta di tutte le malattie batteriche note nell’uomo, e l’assenza di un repertorio efficiente di cellule T rende necessaria una terapia antibiotica prolungata o addirittura per tutta la vita.

Pertanto la classificazione della malattia prima dell’inizio della terapia è importante.

Nei Paesi sviluppati, l’esperienza clinica nella classificazione della lebbra è limitata; fortunatamente, comunque, i mezzi richiesti per l’esecuzione dell’esame bioptico sulla cute sono facilmente disponibili e 1‘interpretazione anatomo-patologica è acquisita rapidamente.

Nei Paesi in via di sviluppo, la competenza clinica e maggiore, ma potrebbe andare decrescendo ora che la cura dei pazienti con lebbra è integrata all’interno di servizi sanitari generali.

Oltretutto, l’accesso ai servizi di dermatopatologia è spesso limitato.

In tali circostanze, le apposizioni di tessuto cutaneo possono rivelarsi utili, ma in molti luoghi mancano le risorse necessarie per la loro preparazione e interpretazione.

Un logico approccio per il trattamento della lebbra è complicato da questi e molti altri problemi:

  1. anche senza terapia, la lebbra TT può guarire spontaneamente, e la monoterapia prolungata con dapsone (anche per la lebbra LL) e generalmente curativa nell’80% dei casi;
  2. nella malattia tubercoloide, spesso non sono rilevabili bacilli nella cute prima dell’inizio della terapia e perciò non si dispone di una misura oggettiva del successo terapeutico. Oltrclutto, nonostante un trattamento adeguato, le lesioni della lebbra TT, e in particolar modo della BT. spesso si risolvono poco o in maniera incompleta, mentre le recidive e le reazioni di tipo 1 tardive possono essere diffìcilmente distinguibili;
  3. i pazienti con lebbra LL comunemente albergano in maniera persistente Mycobacterium leprae vitali dopo una prolungata terapia intensiva; la possibilità che questi microrganismi diano origine a recidive clinicamente manifeste non e chiarita. Poiché nei pazienti con lebbra LL la recidiva inizia soltanto dopo 7-10 anni dalla sospensione di un trattamento contenente rifampicina. e necessario un follow-up a lungo termine per accertare gli esiti clinici definitivi;
  4. nonostante la resistenza primaria al dapsone sia estremamente rara e sia raccomandata generalmente la terapia a più farmaci (almeno per la lebbra lepromatosa). c’è una scarsità di informazioni provenienti da sperimentazioni su animali e da trial clinici riguardo la combinazione ottimale degli antimicrobici, la posologia (tabella dei dosaggi) e durata della terapia.

Nel 1982, l’organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha precisato le raccomandazioni per “la chemioterapia della lebbra per i programmi di controllo”, a seguito della dimostrazione del relativo successo della monoterapia a lungo termine con dapsone e nel contesto delle preoccupazioni relative alla resistenza al dapsone.

Altri motivi di preoccupazione riguardavano la limitatezza delle risorse disponibili per la cura della lebbra nelle arce dove la prevalenza della malattia è maggiore, e la frustrazione e lo scoraggiamento dei pazienti e dei direttori dei programmi terapeutici, per la regola in precedenza adottata per molli malati, di una terapia da protrarre per tutta la vita.

L’OMS ha delineato per la prima volta una durata definita nel tempo per la terapia di tutte le forme di lebbra, e, visto il costo proibitivo della somministrazione quotidiana di rifampicina nei Paesi in via di sviluppo, ha incoraggiato la somministrazione mensile di questo farmaco come componente di un regime a più farmaci.

Negli anni seguenti, queste raccomandazioni dcll’OMS sono state attuate pienamente, e la durata della terapia, in partilicolare per la lebbra lepromatosa, e stata progressivamente abbreviata.

A fini terapeutici, l’OMS classifica i pazienti in paucibacillari e in multibacillari.

In precedenza, i pazienti senza bacilli acido-resistenti dimostrabili nel derma erano considerati paucibacillari e quelli con bacilli acido-resistenti multibacillari.

Attualmente, a causa della inattendibilità delle opposizioni di cute allestite sul campo, i pazienti sono classificati come multibacillari se presentano cinque o più lesioni cutanee e come paucibacillari se presentano meno di cinque lesioni cutanee.

L’OMS raccomanda per gli adulti paucibacillari il trattamento con 100 mg/die di dapsone e 600 mg di rifampicina ogni mese per 6 mesi.

Gli adulti multibacillari devono essere trattali con dall psone 100 mg al giorno più clofazimina 50 mg al giorno (senti za sorveglianza) e con rifampicina 600 mg più clofazimina 300 mg ogni mese.

Per l’elevato tasso di recidive (20-40% a seconda della carica batterica iniziale) tra i pazienti con lebbra lepromatosa al termine degli schemi terapeutici raccomandati dall’OMS, e l’attività della malattia dimostrabile a livello delle lesioni nella metà dei pazienti con lebbra tubercoloide dopo il completamento della terapia hanno indotto molle autorità a mettere in discussione le raccomandazioni dcll’OMS a favore di un approccio più intensivo.

Questo approccio richiede che la lebbra tubercoloide venga trattata con dapsone (100 mg/die) per 5 anni e la lebbra lepromatosa con rifampicina (600 mg/die) per 3 anni, più dapsone (100 mg/die per tutta la vita).

Durante una terapia antimicrobica efficace cessano di comparire nuove lesioni cutanee, così come i segni e i sintomi della neuropatia periferica.

I noduli e le placche della lebbra lepromatosa si appiattiscono visibilmente in l-2 mesi, risolvendosi in uno o in pochi anni, mentre le lesioni cutanee tubercoloidi possono scomparire, migliorare o rimanere relativamente immodifìcate.

Nonostante la neuropatia periferica possa migliorare un po’ nei primissimi mesi di terapia, raramente si osserva un miglioramento significativo.

Prevenzione e controllo della Lebbra

La vaccinazione alla nascita con il bacillo di Calmette-Guérin (BCG) si è dimostrata efficiente nel prevenire la lebbra in misura variabile, risultando da totalmente inutile a efficace nell’80% dei casi.

L’aggiunta di Mycobacterium leprae ucciso al calore al BCG non aumenta l’efficacia del vaccino.

Dal momento che i micobatteri interi contengono una quota elevata di lipidi e carboidrati che si sono dimostrati immunosoppressivi in vitro nei confronti dei linfociti e dei macrofagi, le componenti proteiche di Mycobacterium leprae possono risultare i migliori vaccini.

La chemioprofìlassi con dapsone può ridurre il numero di casi di lebbra tubcrcoloide ma non di lebbra lepromatosa e perciò non è raccomandata, neanche per i contatti familiari.

Poiché la trasmissione della lebbra sembra richiedere stretti contatti familiari prolungati, i pazienti ospedalizzati non necessitano di essere isolati.

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