Xgeva: è un farmaco sicuro? Come funziona?

Xgeva 150 mg soluzione iniettabile (Denosumab): sicurezza e modo d’azione

Xgeva 150 mg soluzione iniettabile (Denosumab) è un farmaco che serve per curare le seguenti malattie:

Prevenzione di eventi correlati all’apparato scheletrico (fratture patologiche, radioterapia all’osso, compressione del midollo spinale o interventi chirurgici all’osso) negli adulti con neoplasie maligne in fase avanzata che coinvolgono l’osso (vedere paragrafo 5.1).

Trattamento di adulti e adolescenti con apparato scheletrico maturo con tumore a cellule giganti dell’osso non resecabile o per i quali la resezione chirurgica potrebbe provocare severa morbilità.

Xgeva 150 mg soluzione iniettabile: come funziona?

Ma come funziona Xgeva 150 mg soluzione iniettabile? Qual è il suo esatto meccanismo d’azione? Su quali organi del corpo agisce? Vediamolo insieme.

Farmacodinamica di Xgeva 150 mg soluzione iniettabile

Categoria farmacoterapeutica: Farmaci per trattamento delle malattie delle ossa – altri farmaci che agiscono sulla struttura e mineralizzazione ossee, codice ATC: M05BX04

Meccanismo d’azione

RANKL è una proteina e si presenta in forma transmembrana o in forma solubile. RANKL è essenziale per la formazione, la funzione e la sopravvivenza degli osteoclasti, l’unico tipo cellulare responsabile del riassorbimento osseo. L’aumento dell’attività osteoclastica, stimolata da RANKL, è un mediatore chiave della distruzione dell’osso nella malattia ossea metastatica e nel mieloma multiplo. Denosumab è un anticorpo monoclonale umano (IgG2) che ha come target e lega il RANKL

con elevata affinità e specificità, prevenendo il verificarsi dell’interazione RANKL/RANK, riducendo così il numero e la funzione degli osteoclasti, con conseguente diminuzione del riassorbimento osseo e della distruzione ossea indotta dal cancro.

I tumori a cellule giganti dell’osso sono caratterizzati da cellule stromali neoplastiche che esprimono il RANK ligando e cellule giganti simili agli osteoclasti che esprimono il RANK. Nei pazienti con tumore a cellule giganti dell’osso, denosumab si lega al RANK ligando, riducendo in modo significativo o eliminando le cellule giganti simili agli osteoclasti. Conseguentemente, l’osteolisi è ridotta e lo stroma proliferativo del tumore è sostituito da osso nuovo a struttura densa, non proliferativo, differenziato.

Effetti farmacodinamici

Negli studi clinici di fase II in pazienti affetti da tumori in stadio avanzato con interessamento osseo, la somministrazione per via sottocutanea (s.c.) di XGEVA ogni 4 settimane (Q4W) o ogni

12 settimane ha determinato una rapida riduzione dei markers del riassorbimento osseo (uNTx/Cr, CTx sierico), con diminuzioni mediane pari a circa l’80% per l’uNTx/Cr entro 1 settimana, indipendentemente da una precedente terapia con bifosfonati o dal livello di uNTx/Cr basale. Negli studi clinici di fase III di pazienti con neoplasie maligne in fase avanzata che coinvolgono l’osso, riduzioni mediane pari a circa l’80% dell’uNTx/Cr sono state mantenute durante le 49 settimane del trattamento con XGEVA (120 mg ogni Q4W).

Immunogenicità

Negli studi clinici, in pazienti con tumori in stadio avanzato o in pazienti con tumore a cellule giganti dell’osso, non sono stati osservati anticorpi neutralizzanti verso denosumab. Sulla base dei risultati di un immunoassay sensibile, meno dell’1% dei pazienti trattati con denosumab fino a un massimo di

anni è risultato positivo per gli anticorpi non neutralizzanti senza alcuna evidenza di alterazione del profilo farmacocinetico, tossicologico o della risposta clinica.

Efficacia clinica e sicurezza in pazienti con metastasi ossee da tumori solidi

Efficacia e sicurezza di XGEVA 120 mg s.c., somministrato ogni 4 settimane o di acido zoledronico 4 mg e.v. (con aggiustamento della dose per funzionalità renale ridotta), somministrato ogni

settimane, sono state confrontate nell’ambito di tre studi randomizzati in doppio cieco, con controllo attivo, su pazienti naïve al trattamento con bifosfonati e.v. e affetti da tumori in stadio avanzato con interessamento osseo: pazienti adulti con cancro della mammella (studio 1), altri tumori solidi o mieloma multiplo (studio 2) e cancro della prostata resistente alla castrazione (studio 3). All’interno di questi studi clinici attivi controllati, la sicurezza è stata valutata in 5.931 pazienti. I pazienti con anamnesi pregressa di ONJ o osteomielite mandibolare/mascellare, flogosi dentale o mandibolare/mascellare attiva richiedente un intervento di chirurgia orale, una condizione dentale/orale non risolta in seguito a intervento chirurgico o pazienti che avevano in programma interventi dentali invasivi non erano eleggibili per l’arruolamento in questi studi. Gli endpoint primari e secondari hanno valutato la comparsa di uno o più eventi correlati all’apparato scheletrico (SRE).

Negli studi in cui è stata dimostrata la superiorità di XGEVA, rispetto all’acido zoledronico, ai pazienti è stata offerta una fase di estensione di trattamento pre-specificata, in aperto con XGEVA per 2 anni. Un SRE è stato definito come uno dei seguenti eventi: frattura patologica (vertebrale o non vertebrale), radioterapia all’osso (compreso l’uso di radioisotopi), chirurgia per l’osso o compressione del midollo spinale.

XGEVA ha ridotto il rischio di sviluppare SRE e di sviluppare SRE multipli (primo e successivi) in pazienti con metastasi ossee di tumori solidi (vedere tabella 2).

Tabella 2: Risultati relativi all’efficacia in pazienti con tumori in stadio avanzato con interessamento dell’osso

Studio 1 cancro della mammella Studio 2
altri tumori solidi** o mieloma multiplo
Studio 3 cancro della prostata Analisi combinata tumori in stadio avanzato
XGEVA acido zoledronico XGEVA acido zoledronico XGEVA acido zoledronico XGEVA acido zoledronico
N 1.026 1.020 886 890 950 951 2.862 2.861
Primo SRE
Tempo mediano (mesi) NR 26,4 20,6 16,3 20,7 17,1 27,6 19,4
Differenza dei tempi mediani (mesi) ND 4,2 3,5 8,2
HR (IC al 95%) / RRR (%) 0,82 (0,71- 0,95) / 18 0,84 (0,71- 0,98) / 16 0,82 (0,71- 0,95) /

18

0,83 (0,76- 0,90) /

17

Valori di p di non inferiorità
/superiorità
< 0,0001 / 0,0101 0,0007 / 0,0619 0,0002 / 0,0085 < 0,0001 / < 0,0001
Percentuale di soggetti (%) 30,7 36,5 31,4 36,3 35,9 40,6 32,6 37,8
Primo e successivi SRE*
Numero medio/paziente 0,46 0,60 0,44 0,49 0,52 0,61 0,48 0,57
Rate ratio (IC al 95%) / RRR (%) 0,77 (0,66- 0,89) / 23 0,90 (0,77- 1,04) / 10 0,82 (0,71- 0,94) /

18

0,82 (0,75- 0,89) /

18

Valore di p di superiorità 0,0012 0,1447 0,0085 < 0,0001
SMR per anno 0,45 0,58 0,86 1,04 0,79 0,83 0,69 0,81
Primo SRE o HCM
Tempo mediano (mesi) NR 25,2 19,0 14,4 20,3 17,1 26,6 19,4
HR (IC al 95%) / RRR (%) 0,82 (0,70- 0,95) / 18 0,83 (0,71- 0,97) / 17 0,83 (0,72- 0,96) /

17

0,83 (0,76- 0,90) /

17

Valore di p di superiorità 0,0074 0,0215 0,0134 < 0,0001
Prima radioterapia ossea
Tempo mediano (mesi) NR NR NR NR NR 28,6 NR 33,2
HR (IC al 95%) / RRR (%) 0,74 (0,59- 0,94) / 26 0,78 (0,63- 0,97) / 22 0,78 (0,66- 0,94) /

22

0,77 (0,69- 0,87) /

23

Valore di p di superiorità 0,0121 0,0256 0,0071 < 0,0001

NR = non raggiunto; ND = non disponibile; HCM = ipercalcemia maligna; SMR = tasso di morbilità scheletrica; HR = hazard ratio; RRR = riduzione del rischio relativo Per gli studi 1, 2 e 3 sono presentati valori di p aggiustati (endpoint: primo SRE, e primo e successivi SRE); *Comprende tutti gli eventi scheletrici nel corso del tempo; sono considerati solo gli eventi che si sono verificati ? 21 giorni dopo l’evento precedente.

**Inclusi NSCLC, carcinoma renale, cancro del colon retto, carcinoma polmonare a piccole cellule, cancro della vescica, cancro testa-collo, cancro gastrointestinale/urogenitale e altri tipi di cancro, tranne il cancro della mammella e della prostata.

Figura 1: Curve di Kaplan-Meier del tempo di comparsa del primo SRE nel corso dello studio

Studio 1* Studio 2** Studio 3*

Dmab (N = 1.026) AZ (N = 1.020)

Dmab (N = 886) AZ (N = 890)

Dmab (N = 950) AZ (N = 951)

<.. image removed ..>

Proporzione dei soggetti senza SRE

1,0

0,8

0,6

0,4

0,2

GRH0447 v1

0,0

Dmab 1.026 697 514 306 99 4 886 387 202 96 28 0 950 582 361 168 70 18
AZ 1.020 676 498 296 94 2 890 376 194 86 20 2 951 544 299 140 64 22
0 6 12 18 24 30 0 6 12 18 24 30 0 6 12 18 24 30

Mese dello studio

Dmab = Denosumab 120 mg Q4W AZ = Acido zoledronico 4 mg Q4W N = Numero di soggetti randomizzati

* = Statisticamente significativo per superiorità; ** = Statisticamente significativo per non inferiorità

Progressione della malattia e sopravvivenza globale con metastasi ossee da tumori solidi

La progressione di malattia è risultata simile tra XGEVA e acido zoledronico in tutti e tre gli studi e nell’analisi pre-specificata combinata di tutti i tre studi.

Negli studi 1, 2 e 3, la sopravvivenza globale tra XGEVA e acido zoledronico è stata bilanciata nei pazienti affetti da tumori in stadio avanzato con interessamento osseo: pazienti con cancro alla mammella (hazard ratio e IC al 95%: 0,95 [0,81- 1,11]), pazienti con cancro alla prostata (hazard ratio e IC al 95%: 1,03 [0,91- 1,17]) e pazienti con altri tumori solidi o mieloma multiplo (hazard ratio e IC al 95%: 0,95 [0,83- 1,08]). In un’analisi post-hoc dello studio 2 (pazienti con altri tumori solidi o mieloma multiplo) è stata esaminata la sopravvivenza globale per i tre tipi di tumore utilizzati per la stratificazione (carcinoma polmonare non a piccole cellule, mieloma multiplo e altro). La sopravvivenza globale è risultata maggiore per XGEVA nel carcinoma polmonare non a piccole cellule (hazard ratio [IC al 95%] di 0,79 [0,65- 0,95]; n = 702), maggiore per l’acido zoledronico nel mieloma multiplo (hazard ratio [IC al 95%] di 2,26 [1,13- 4,50]; n = 180) e simile per XGEVA e acido zoledronico negli altri tipi di tumore (hazard ratio [IC al 95%] di 1,08 [0,90- 1,30]; n = 894). In questo studio non sono stati verificati i fattori prognostici e i trattamenti antineoplastici. In un’analisi

pre-specificata combinata degli studi 1, 2 e 3, la sopravvivenza globale è risultata simile tra XGEVA e acido zoledronico (hazard ratio e IC al 95%: 0,99 [0,91- 1,07]).

Effetti sul dolore

Il tempo di miglioramento del dolore (per es. riduzione ? 2 punti rispetto al basale, nel punteggio del dolore con peggiore intensità del questionario BPI-SF) è risultato simile per denosumab e acido zoledronico in ogni studio e nelle analisi integrate. In un’analisi post-hoc dell’insieme di dati combinato, il tempo mediano di peggioramento del dolore (> 4 punti nel punteggio del dolore con peggiore intensità) in pazienti con dolore lieve o assente al basale è stato ritardato per XGEVA rispetto all’acido zoledronico (198 vs. 143 giorni) (p = 0,0002).

Efficacia clinica in pazienti con mieloma multiplo

XGEVA è stato valutato in uno studio internazionale, randomizzato (1:1), in doppio cieco, con controllo attivo che confrontava XGEVA con acido zoledronico in pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi, studio 4.

In questo studio, 1.718 pazienti con mieloma multiplo, con almeno una lesione ossea, sono stati randomizzati a ricevere 120 mg di XGEVA per via sottocutanea ogni 4 settimane (Q4W) o 4 mg di acido zoledronico per via endovenosa (e.v.) ogni 4 settimane (con dose aggiustata per la funzionalità renale). La misura dell’outcome primario era la dimostrazione di non inferiorità del tempo all’insorgenza del primo evento scheletrico correlato (SRE) rispetto all’acido zoledronico. Le misure di outcome secondari includevano la superiorità al tempo di insorgenza del primo SRE, la superiorità sull’insorgenza del primo e successivo SRE e la sopravvivenza globale. Un SRE è stato definito come uno dei seguenti: frattura patologica (vertebrale o non vertebrale), radioterapia all’osso (compreso l’uso di radioisotopi), chirurgia per l’osso o compressione del midollo spinale.

Tra tutti e due i bracci di studio, il 54,5% dei pazienti si è sottoposto a trapianto autologo di PBSC, nel 95,8% dei pazienti si é utilizzato/programmato l’impiego di un nuovo agente anti-mieloma (le nuove terapie includono bortezomib, lenalidomide o talidomide) nella terapia di prima linea e il 60,7% dei pazienti aveva un precedente SRE. Il numero di pazienti in entrambi i bracci di studio con stadio ISS I, stadio II e stadio III alla diagnosi era 32,4%, 38,2% e 29,3%, rispettivamente.

Il numero mediano di dosi somministrate era 16 per XGEVA e 15 per acido zoledronico. I risultati di efficacia dello studio 4 sono presentati nella figura 2 e nella tabella 3.

Figura 2: Diagramma di Kaplan-Meier per il tempo di insorgenza del primo SRE nei pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi

Proporzione di soggetti senza SRE

1,0

0,8

0,6

0,4

0,2

0,0

Denosumab 120 mg Q4W Acido Zoledronico 4 mg Q4W

Denosumab 120 mg Q4W (N = 859) Acido Zoledronic 4 mg Q4W (N = 859)

<.. image removed ..>

859 583 453 370 303 243 197 160 127 99 77 50 35 22

859 595 450 361 288 239 190 152 125 95 69 48 31 18

0 3 6 9 12 15 18 21 24 27 30 33 36 39

Mese dello studio

N = numero di soggetti randomizzati

Tabella 3: Risultati dell’efficacia di XGEVA rispetto all’acido zoledronico in pazienti con mieloma multiplo di nuova diagnosi

XGEVA (N = 859) Acido Zoledronico (N = 859)
Primo SRE
Numero di pazienti che hanno avuto SREs (%) 376 (43,8) 383 (44,6)
Tempo mediano allo SRE (mesi) 22,8 (14,7, NS) 23,98 (16,56-33,31)
Hazard ratio (IC al 95%) 0,98 (0,85-1,14)
Primo e successivo SRE
Numero medio di eventi/pazienti 0,66 0,66
Rapporto di frequenza (IC al 95%) 1,01 (0,89-1,15)
Tasso di morbilità scheletrica per anno 0,61 0,62
Primo SRE o HCM
Tempo mediano (mesi) 22,14 (14,26-NS) 21,32 (13,86-29,7)
Hazard ratio (IC al 95%) 0,98 (0,85-1,12)
Prima radiazione all’osso
Hazard ratio (IC al 95%) 0,78 (0,53-1,14)
Sopravvivenza globale
Hazard ratio (IC al 95%) 0,90 (0,70-1,16)

NS = non stimabile

HCM = ipercalcemia maligna

Efficacia clinica e sicurezza negli adulti e negli adolescenti con apparato scheletrico maturo con tumore a cellule giganti dell’osso

La sicurezza e l’efficacia di XGEVA sono state studiate in due studi clinici di fase II in aperto, a braccio singolo (studi 5 e 6) nei quali sono stati arruolati 554 pazienti con tumore a cellule giganti dell’osso che era o non resecabile o per i quali la chirurgia avrebbe costituito severa morbilità. I pazienti hanno ricevuto 120 mg di XGEVA per via sottocutanea ogni 4 settimane con una dose di carico di 120 mg ai giorni 8 e 15. I pazienti che hanno interrotto il trattamento con XGEVA sono poi entrati nella fase di follow-up per la sicurezza per un minimo di 60 mesi. Per i soggetti che inizialmente hanno mostrato una risposta a XGEVA era consentito ripetere il trattamento con XGEVA durante il follow-up per la sicurezza (per esempio nel caso di malattia ricorrente).

Lo studio 5 ha arruolato 37 pazienti adulti con tumore a cellule giganti dell’osso non resecabile confermato istologicamente o tumore a cellule giganti dell’osso ricorrente. La misura dell’outcome principale nello studio era il tasso di risposta, definito come almeno un’eliminazione del 90% delle cellule giganti rispetto al basale (o eliminazione completa delle cellule giganti nei casi in cui esse rappresentino < 5% delle cellule tumorali) oppure un’assenza di progressione della lesione target sulla base di referti radiologici nei casi in cui non era disponibile l’istopatologia. Dei 35 pazienti inclusi nell’analisi di efficacia, l’85,7% (IC al 95%: 69,7- 95,2) ha avuto una risposta al trattamento con XGEVA. Tutti i 20 pazienti (100%) sottoposti a valutazione istologica soddisfacevano i criteri di risposta. Nei restanti 15 pazienti, 10 (67%) referti radiologici hanno mostrato assenza di progressione della lesione target.

Lo studio 6 ha arruolato 535 adulti o adolescenti con apparato scheletrico maturo con tumore a cellule giganti dell’osso. Di questi pazienti, 28 avevano un’età dai 12 ai 17 anni. I pazienti sono stati assegnati a una delle tre coorti: la coorte 1 includeva pazienti con malattia non resecabile chirurgicamente (per esempio lesione sacrale, spinale o lesioni multiple, comprese metastasi polmonari); la coorte 2 includeva pazienti con malattia resecabile chirurgicamente, ma per i quali la chirurgia prevista era

associata a severa morbilità (per esempio resezione articolare, amputazione dell’arto o emipelvectomia); la coorte 3 includeva pazienti che avevano partecipato in precedenza allo studio 5 ed erano passati in questo studio. L’obiettivo primario era la valutazione del profilo di sicurezza di denosumab in soggetti con tumore a cellule giganti dell’osso. Le misure di outcome secondari dello studio includevano il tempo alla progressione della malattia (in base alla valutazione dello sperimentatore) per la coorte 1 e la proporzione di pazienti non sottoposti a chirurgia al mese 6 per la coorte 2.

Nella coorte 1 all’analisi finale, 28 su 260 pazienti trattati (10,8%) presentavano progressione della malattia. Nella coorte 2, 219 su 238(92,0%; IC al 95%: 87,8%, 95,1%) pazienti valutabili trattati con XGEVA non sono stati sottoposti a chirurgia al mese 6. Dei 239 soggetti nella coorte 2 nei quali la lesione target al basale o l’area in studio non era localizzata ai polmoni o al tessuto molle, un totale di 82 soggetti (34,3%) è stato in grado di evitare l’intervento chirurgico nel corso dello studio. Nel complesso, i risultati di efficacia in adolescenti con apparato scheletrico maturo erano simili a quelli osservati negli adulti.

Effetto sul dolore

Nelle coorti combinate 1 e 2 all’analisi finale, è stata riportata una riduzione clinicamente significativa del peggior dolore (cioè ? 2 punti di diminuzione rispetto al basale) nel 30,8% dei pazienti a rischio (cioè quelli che hanno avuto un punteggio associato al peggior dolore ? 2 al basale) entro 1 settimana di trattamento e ? nel 50% alla settimana 5. Questi miglioramenti dal punto di vista del dolore sono rimasti invariati anche nelle successive valutazioni.

Popolazione pediatrica

L’Agenzia Europea dei Medicinali ha derogato l’obbligo di presentare i risultati degli studi con XGEVA in tutti i sottogruppi della popolazione pediatrica per la prevenzione di eventi correlati all’apparato scheletrico in pazienti con metastasi ossee e nei sottogruppi della popolazione pediatrica sotto i 12 anni per il trattamento del tumore a cellule giganti dell’osso (vedere paragrafo 4.2 per ìnformazìonì sull’uso pedìatrìco).

Nello studio 6, XGEVA è stato valutato in un sottogruppo di 28 pazienti adolescenti (età dai

13 ai 17 anni) con tumore a cellule giganti dell’osso che avevano raggiunto la maturità scheletrica definita come almeno un osso lungo maturo (per es. omero con disco epifisario di accrescimento chiuso) e peso corporeo ? 45 kg. Un soggetto adolescente con malattia non resecabile chirurgicamente (N = 14) ha presentato ricorrenza della malattia durante il trattamento iniziale. Tredici dei 14 soggetti con malattia resecabile chirurgicamente per i quali la chirurgia prevista era associata a severa morbilità non sono stati sottoposti a chirurgia al mese 6.


Xgeva 150 mg soluzione iniettabile: come si assorbe e si elimina?

Abbiamo visto qual è il meccanismo d’azione di Xgeva 150 mg soluzione iniettabile, ma è altrettanto importante conoscere in quanto tempo viene assorbito dall’organismo per capire quanto tempo il farmaco impiegherà ad agire, attraverso quali vie viene eliminato (ad esempio fegato o reni) per sapere quali organi va ad impegnare e, per ultimo, in quanto tempo viene eliminato per avere idea di quando non avremo più il farmaco nell’organismo.

Tutte queste informazioni sono indicate nel paragrafo “Farmacocinetica” che segue.

Farmacocinetica di Xgeva 150 mg soluzione iniettabile

Assorbimento

In seguito a somministrazione sottocutanea, la biodisponibilità è stata pari al 62%. Biotrasformazione

Denosumab è composto unicamente da aminoacidi e carboidrati come le immunoglobuline native ed è improbabile che venga eliminato tramite meccanismi del metabolismo epatico. È prevedibile che il metabolismo e l’eliminazione del farmaco seguano le vie della clearance delle immunoglobuline, ossia una degradazione in piccoli peptidi e in singoli aminoacidi.

Eliminazione

In soggetti con tumore in stadio avanzato, che hanno ricevuto dosi multiple di 120 mg ogni

4 settimane è stato osservato un accumulo di circa 2 volte nelle concentrazioni sieriche di denosumab e lo steady-state è stato raggiunto entro 6 mesi; ciò è in linea con una farmacocinetica

tempo-indipendente. Nei soggetti con mieloma multiplo che hanno ricevuto 120 mg ogni 4 settimane, la mediana della concentrazione minima variava di meno dell’8% tra i mesi 6 e 12. Nei soggetti con tumore a cellule giganti dell’osso che hanno ricevuto 120 mg ogni 4 settimane con una dose di carico ai giorni 8 e 15, i livelli steady-state sono stati raggiunti entro il primo mese di trattamento. Tra le settimane 9 e 49, i livelli mediani sono variati di meno del 9%. Nei soggetti che hanno interrotto l’assunzione di 120 mg ogni 4 settimane, l’emivita media è stata di 28 giorni (range: 14 – 55 giorni).

Un’analisi farmacocinetica di popolazione non ha evidenziato variazioni clinicamente significative nell’esposizione sistemica di denosumab allo steady-state relativamente a età (18-87 anni), razza/gruppo etnico (sono stati studiati soggetti di razza nera, ispanica, asiatica e bianca), sesso o tipo di tumore solido o pazienti con mieloma multiplo. L’aumento di peso è stato associato a riduzioni dell’esposizione sistemica e viceversa. Le alterazioni non sono state considerate clinicamente rilevanti, in quanto gli effetti farmacodinamici basati sui marcatori del turnover osseo sono stati costanti in un ampio range di peso corporeo.

Linearità/non linearità

Denosumab ha evidenziato una farmacocinetica non lineare a diversi livelli di dose, ma per dosi di 60 mg (o 1 mg/kg) e superiori ha manifestato aumenti nell’esposizione approssimativamente proporzionali alla dose. La non linearità è dovuta probabilmente ad un meccanismo di eliminazione target mediato saturabile, importante alle basse concentrazioni.

Compromissione renale

In studi con denosumab (60 mg, n = 55 e 120 mg, n = 32) in pazienti non affetti da tumore in stadio avanzato, ma con vari gradi di funzionalità renale, inclusi pazienti in dialisi, il grado di compromissione renale non ha avuto alcun effetto sulla farmacocinetica di denosumab; non è quindi richiesto un aggiustamento della dose in caso di compromissione renale. Non è necessario il monitoraggio renale quando si riceve XGEVA.

Compromissione epatica

Non è stato eseguito nessuno studio specifico sui pazienti con funzionalità epatica compromessa. In generale, gli anticorpi monoclonali non vengono eliminati tramite metabolismo epatico. È prevedibile che la farmacocinetica di denosumab non sia influenzata dalla compromissione della funzionalità epatica.

Anziani

Complessivamente non sono state osservate differenze nella sicurezza e nell’efficacia tra i pazienti geriatrici e i pazienti più giovani. Studi clinici controllati di XGEVA in pazienti di età superiore a

65 anni, con neoplasie in stadio avanzato con coinvolgimento osseo, hanno dimostrato simile efficacia e sicurezza in soggetti più anziani e più giovani. Non è richiesto alcun aggiustamento della dose nei pazienti anziani.

Popolazione pediatrica

In adolescenti (età dai 12 ai 17 anni) con apparato scheletrico maturo con tumore a cellule giganti dell’osso che hanno ricevuto 120 mg ogni 4 settimane con una dose di carico ai giorni 8 e 15, la farmacocinetica di denosumab era simile a quella osservata nei soggetti adulti con GCTB.


Xgeva 150 mg soluzione iniettabile: è un farmaco sicuro?

Abbiamo visto come Xgeva 150 mg soluzione iniettabile agisce e come si assorbe e si elimina; ma come facciamo a sapere se Xgeva 150 mg soluzione iniettabile è un farmaco sicuro?

Prima di tutto è necessario leggere quali sono i dati sulla sicurezza che vengono riportati nella scheda tecnica del farmaco.

Si tratta di dati forniti dalla casa produttrice e basati su un certo numero di lavori scientifici eseguiti prima della commercializzazione: si tratta dei cosiddetti “Dati preclinici di sicurezza”, che riportiamo nel prossimo paragrafo.

Xgeva 150 mg soluzione iniettabile: dati sulla sicurezza

Poiché l’attività biologica di denosumab negli animali è specifica dei primati non umani, per valutare le proprietà farmacodinamiche di denosumab in modelli di roditori è stato fatto ricorso a valutazioni di topi geneticamente modificati (knockout) o all’impiego di altri inibitori biologici della via RANK/RANKL, quali OPG-Fc e RANK-Fc.

In modelli murini di metastasi ossee di cancro alla mammella umano, positivo e negativo ai recettori per gli estrogeni, cancro alla prostata e carcinoma polmonare non a piccole cellule, l’OPG-Fc ha ridotto le lesioni osteolitiche, osteoblastiche e osteolitiche/osteoblastiche, ha ritardato la formazione di metastasi ossee de novo e ha ridotto la crescita tumorale dell’apparato scheletrico. In questi modelli, quando l’OPG-Fc è stato associato alla terapia ormonale (tamoxifene) o alla chemioterapia (docetaxel) si è riscontrata un’ulteriore inibizione della crescita tumorale dell’apparato scheletrico, rispettivamente, nel cancro della mammella e nel cancro alla prostata o del polmone. In un modello murino di induzione del tumore della mammella, RANK-Fc ha ridotto la proliferazione indotta da ormoni nell’epitelio mammario e ha ritardato la formazione del tumore.

Non sono stati effettuati test standard per indagare la potenziale genotossicità di denosumab, in quanto tali test non sono rilevanti per questa molecola. Tuttavia, date le sue caratteristiche, è improbabile che denosumab abbia un potenziale genotossico.

La potenziale cancerogenicità di denosumab non è stata valutata in studi a lungo termine sugli animali.

In studi di tossicità con dosi singole e ripetute condotti su scimmie cynomolgus, le dosi di denosumab che risultavano in un’esposizione sistemica 2,7-15 volte superiori rispetto alla dose umana raccomandata non hanno avuto alcun impatto sulla fisiologia cardiovascolare, sulla fertilità maschile o femminile, o prodotto tossicità d’organo specifica.

In uno studio sulle scimmie cynomolgus a dosi multiple di denosumab durante il periodo equivalente al primo trimestre di gravidanza, dosi di denosumab che risultavano in un’esposizione sistemica

9 volte superiori rispetto alla dose umana raccomandata, non hanno indotto tossicità nella madre o danni per il feto in un periodo equivalente al primo trimestre; i linfonodi del feto non sono tuttavia stati esaminati.

In un altro studio sulle scimmie cynomolgus alle quali è stato somministrato denosumab durante la gravidanza, ad un’esposizione sistemica di 12 volte superiore alla dose dell’uomo, c’è stato un aumento di natimortalità e di mortalità post-natale; una crescita anormale dell’osso con conseguente ridotta resistenza ossea, ridotta ematopoiesi e malallineamento dentale; assenza di linfonodi periferici; e ridotta crescita neonatale. Non è stato stabilito un livello di dose che possa essere negativo agli effetti riproduttivi. In seguito, a 6 mesi dopo la nascita, i cambiamenti relativi all’osso hanno dimostrato una ripresa e non c’è stato nessun effetto sull’eruzione dentale. Tuttavia gli effetti sui linfonodi ed il malallineamento dentale persistevano, ed è stata osservata in un animale una mineralizzazione da minima a moderata in tessuti multipli (correlazione al trattamento incerta). Non c’era evidenza di danni materni prima del travaglio. Gli effetti avversi materni si sono verificati non frequentemente durante il travaglio. Lo sviluppo della ghiandola mammaria materna è stato normale.

In studi preclinici sulla qualità ossea condotti in scimmie trattate a lungo termine con denosumab, la riduzione del turnover osseo si è accompagnata ad un miglioramento della resistenza ossea e ad una normale istologia.

In topi di sesso maschile geneticamente modificati per esprimere RANKL umano (topi knock-in) e sottoposti a frattura transcorticale, denosumab ritardava la rimozione della cartilagine e il rimodellamento del callo osseo rispetto al gruppo di controllo, ma la resistenza biomeccanica non veniva negativamente influenzata.

Nel corso degli studi preclinici, nei topi knockout che non esprimevano RANK or RANKL è stata osservata assenza della lattazione dovuta all’inibizione della maturazione della ghiandola mammaria (sviluppo delle strutture lobulo-alveolari della ghiandola mammaria durante la gravidanza), nonché una compromissione della formazione dei linfonodi. I topi neonati knockout per RANK/RANKL mostravano calo ponderale, riduzione della crescita ossea, alterazione delle cartilagini di accrescimento e mancata eruzione dentale. La riduzione della crescita ossea, l’alterazione delle cartilagini di accrescimento e la compromissione dell’eruzione dentale sono state osservate anche in studi su ratti neonati a cui venivano somministrati inibitori di RANKL; tali alterazioni erano

parzialmente reversibili in seguito all’interruzione della somministrazione dell’inibitore di RANKL. Primati in fase adolescenziale trattati con dosi di denosumab 2,7 e 15 volte (dosi da 10 e 50 mg/kg) presentavano anomalie delle cartilagini di accrescimento. Pertanto, il trattamento con denosumab può compromettere la crescita ossea nei bambini con cartilagini di accrescimento aperte e inibire l’eruzione dentale.


Dopo la commercializzazione di un farmaco, vengono tuttavia attuate delle misure di controllo dagli organi preposti, per monitorare comunque tutti gli effetti collaterali che dovessero manifestarsi nell’impiego clinico.

Tutti gli effetti collaterali segnalati nella fase di commercializzazione del farmaco, vengono poi riportati nella scheda tecnica nei paragrafi “effetti indesiderati” e “controindicazioni”.

Xgeva 150 mg soluzione iniettabile: si può prendere insieme ad altri farmaci?

Un altro importante capitolo da non dimenticare per valutare se un farmaco è sicuro o no, è quello delle interazioni con altri farmaci.

Può infatti capitare che un farmaco, di per sé innocuo, diventi pericoloso se associato ad alcuni altri farmaci.

Questo è vero anche per i prodotti erboristici: classico è l’esempio dell’ “Erba di San Giovanni” (Iperico) che interagisce con alcuni farmaci anticoagulanti aumentandone l’efficacia e mettendo quindi il paziente a rischio di emorragie.

Esaminiamo allora quali sono le interazioni possibili di Xgeva 150 mg soluzione iniettabile

Xgeva 150 mg soluzione iniettabile: interazioni

Non sono stati effettuati studi di interazione.

Negli studi clinici, XGEVA è stato somministrato in associazione a trattamenti anti-tumorali standard ed in pazienti precedentemente trattati con bifosfonati. Non vi sono state alterazioni cliniche rilevanti nella concentrazione sierica minima e nella farmacodinamica di denosumab (N-telopeptide urinario aggiustato per la creatinina, uNTx/Cr) dovute alla terapia ormonale e/o alla chemioterapia concomitante o ad una precedente somministrazione endovenosa di bifosfonati.


Xgeva 150 mg soluzione iniettabile: posso guidare la macchina se lo prendo?

Un capitolo poco noto e molto sottovalutato è quello degli effetti di un farmaco sui riflessi e quindi sulla capacità di guidare la macchina o di effettuare lavori pericolosi.

Molti farmaci riducono la capacità di reazione, oppure possono causare vertigini o abbassamenti di pressione che possono essere molto pericolosi per chi guida o effettua lavori in cui le capacità fisiche sono importanti: basti pensare agli operai che lavorano su impalcature o che operano su macchinari come presse o forni

E’ sempre bene quindi leggere attentamente questo piccolo ma molto importante paragrafo della Scheda Tecnica del farmaco.

Xgeva 150 mg soluzione iniettabile: effetti sulla guida e sull’uso di macchinari

XGEVA non altera o altera in modo trascurabile la capacità di guidare veicoli e di usare macchinari.

Per approfondire l’argomento, per avere ulteriori raccomandazioni, o per chiarire ogni dubbio, si raccomanda di leggere l’intera Scheda Tecnica del Farmaco