Truxima 100 – Rituximab: Scheda Tecnica e Prescrivibilità

Truxima 100

Riassunto delle Caratteristiche del Prodotto

Truxima 100: ultimo aggiornamento pagina: (Fonte: A.I.FA.)

01.0 Denominazione del medicinale

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Truxima 100 mg concentrato per soluzione per infusione Truxima 500 mg concentrato per soluzione per infusione

 

02.0 Composizione qualitativa e quantitativa

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Truxima 100 mg concentrato per soluzione per infusione Ogni mL contiene 10 mg di rituximab.

Ogni flaconcino da 10 mL contiene 100 mg di rituximab.

Truxima 500 mg concentrato per soluzione per infusione Ogni mL contiene 10 mg di rituximab.

Ogni flaconcino da 50 mL contiene 500 mg di rituximab.

Rituximab è un anticorpo monoclonale chimerico murino/umano ottenuto con tecniche di ingegneria genetica, costituito da una immunoglobulina glicosilata con le regioni costanti IgG1 di origine umana e con le sequenze della regione variabile della catena leggera e della catena pesante di origine murina. L’anticorpo viene prodotto utilizzando una coltura di cellule di mammifero in sospensione (cellulle ovariche di Hamster Cinese) e purificato con cromatografia di affinità e scambio ionico, incluse specifiche procedure di inattivazione e rimozione virale.

Eccipienti con effetti noti

Ogni flaconcino da 10 mL contiene 2,3 mmol (52,6 mg) di sodio. Ogni flaconcino da 50 mL contiene 11,5 mmol (263,2 mg) di sodio.

Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.

 

03.0 Forma farmaceutica

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Concentrato per soluzione per infusione.

Liquido limpido e incolore, con pH compreso tra 6,3 e 6,8 e osmolarità compresa tra 329 e 387 mOsmol/kg.

 

04.0 INFORMAZIONI CLINICHE

04.1 Indicazioni terapeutiche

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Truxima è indicato negli adulti per le seguenti indicazioni: Linfoma non-Hodgkin (LNH)

Truxima è indicato per il trattamento di pazienti adulti affetti da linfoma follicolare al III-IV stadio, precedentemente non trattati, in associazione con chemioterapia.

La terapia di mantenimento con Truxima è indicata per il trattamento di pazienti adulti con linfoma follicolare che rispondono a terapia di induzione.

Truxima in monoterapia è indicato per il trattamento di pazienti adulti con linfoma follicolare al III-IV stadio che sono chemioresistenti o che sono alla loro seconda o successiva recidiva dopo chemioterapia.

Truxima è indicato per il trattamento di pazienti adulti affetti da linfoma non-Hodgkin, CD20 positivo, diffuso a grandi cellule B, in associazione con chemioterapia CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina, prednisolone).

Truxima in associazione con chemioterapia è indicato per il trattamento di pazienti pediatrici (di età compresa tra ≥ 6 mesi e < 18 anni) con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) CD20 positivo, linfoma di Burkitt (BL)/leucemia di Burkitt (leucemia acuta tipo cellule B mature; BAL) o linfoma tipo Burkitt (BLL), in stadio avanzato precedentemente non trattato.

Leucemia linfocitica cronica (LLC)

Truxima in associazione con chemioterapia è indicato per il trattamento di pazienti con leucemia linfocitica cronica (LLC) precedentemente non trattata e recidiva/refrattaria. Sono disponibili solo dati limitati sull’efficacia e la sicurezza per pazienti precedentemente trattati con anticorpi monoclonali, incluso Truxima, o per pazienti refrattari a un trattamento precedente con Truxima più chemioterapia.

Vedere paragrafo 5.1 per ulteriori informazioni. Artrite reumatoide Truxima in associazione con metotrexato è indicato per il trattamento dell’artrite reumatoide in forma attiva di grado severo in pazienti adulti che hanno mostrato unarisposta non adeguata o una intolleranza ad altri farmaci antireumatici modificanti la malattia (DMARD), compresi uno o più terapie con inibitori del fattore di necrosi tumorale (TNF).

Truxima ha mostrato di ridurre la percentuale di progressione del danno articolare, come valutato mediante raggi X e di migliorare le funzione fisica, quando somministrato in associazione con metotrexato.

Granulomatosi con poliangioite e poliangioite microscopica

Truxima in associazione con glucocorticoidi è indicato per il trattamento di pazienti adulti con granulomatosi con poliangioite (di Wegener) (GPA) e poliangioite microscopica (MPA) in forma attiva di grado severo.

Truxima in associazione con glucocorticoidi è indicato per l’induzione della remissione in pazienti pediatrici (di età ≥ 2 e < 18 anni) con GPA (di Wegener) e MPA in forma attiva di grado severo.

Pemfigo volgare

Truxima è indicato per il trattamento di pazienti con pemfigo volgare (PV) da moderato a severo.

 

04.2 Posologia e modo di somministrazione

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Rituximab deve essere somministrato sotto lo stretto controllo di un operatore sanitario esperto e in un ambiente con immediata disponibilità di apparecchiature per la rianimazione (vedere paragrafo 4.4).

Premedicazione e trattamento profilattico

La premedicazione con un farmaco antipiretico ed un antistaminico, ad es., paracetamolo e difenidramina, deve sempre essere assunta prima di ogni somministrazione di rituximab.

In pazienti adulti affetti da linfoma non-Hodgkin e leucemia linfocitica cronica (LLC), la premedicazione con glucocorticoidi deve essere presa in considerazione se rituximab non è somministrato in associazione con chemioterapia contenente glucocorticoidi.

Nei pazienti pediatrici affetti da linfoma non-Hodgkin, deve essere somministrata una premedicazione con paracetamolo e un antistaminico anti-H1 (= difenidramina o equivalente) 30-60 minuti prima l’inizio dell’infusione di rituximab. Occorre inoltre somministrare prednisone come indicato nella tabella 1.

Per i pazienti con LLC si raccomanda la profilassi con adeguata idratazione e somministrazione di uricostatici, iniziando 48 ore prima dell’inizio della terapia per ridurre il rischio di sindrome da lisi tumorale. Per i pazienti con LLC la cui conta dei linfociti è > 25 x 109/L si raccomanda di somministrare prednisone/prednisolone 100 mg per via endovenosa immediatamente prima dell’infusione di rituximab, per diminuire la percentuale e la gravità delle reazioni acute correlate a infusione e/o la sindrome da rilascio di citochine.

In pazienti affetti da artrite reumatoide, GPA o MPA o da pemfigo volgare, la premedicazione con 100 mg di metilprednisolone per via endovenosa deve essere completata 30 minuti prima di ogni infusione di rituximab, al fine di ridurre l’incidenza e la gravità delle reazioni correlate a infusione (IRR).

In pazienti adulti affetti da GPA o MPA è raccomandata la somministrazione di metilprednisolone per via endovenosa alla dose di 1.000 mg/die, da 1 a 3 giorni prima della prima infusione di rituximab (l’ultima dose di metilprednisolone può essere somministrata nello stesso giorno della prima infusione di rituximab). Questa deve essere seguita da prednisone per via orale alla dose di 1 mg/kg/die (non si devono superare gli 80 mg/die e la riduzione scalare della dose deve avvenire quanto più rapidamente possibile sulla base della condizione clinica) durante e dopo la fase di induzione di 4 settimane del trattamento con rituximab.

Per i pazienti adulti con GPA o MPA o con pemfigo volgare (PV), durante e dopo il trattamento con rituximab, è raccomandata la profilassi per la polmonite da Pneumocystis jirovecii (PJP), come appropriato, in accordo alle linee guida locali sulla pratica clinica.

Popolazione pediatrica

In pazienti pediatrici affetti da GPA o MPA, prima della prima infusione endovenosa di rituximab, devono essere somministrate tre dosi giornaliere di metilprednisolone per via endovenosa da 30 mg/kg/die (non si deve superare 1 g/die), per trattare i sintomi severi di vasculite. Prima della prima infusione di rituximab possono essere somministrate fino a tre ulteriori dosi giornaliere di metilprednisolone per via endovenosa da 30 mg/kg.

Una volta completata la somministrazione endovenosa di metilprednisolone, i pazienti devono ricevere prednisone per via orale alla dose di 1 mg/kg/die (non si devono superare i 60 mg/die) e la riduzione scalare della dose deve avvenire quanto più rapidamente possibile sulla base della condizione clinica (vedere paragrafo 5.1).

Per i pazienti pediatrici con GPA o MPA, durante e dopo il trattamento con rituximab, è raccomandata la profilassi per la polmonite da Pneumocystis jirovecii (PJP), come appropriato.

Posologia

Linfoma non-Hodgkin

Linfoma non-Hodgkin follicolare

Terapia di associazione

La dose raccomandata di rituximab, in associazione con chemioterapia, per il trattamento di induzione di pazienti con linfoma follicolare precedentemente non trattati o recidivanti/refrattari è: 375 mg/m2 di superficie corporea per ciclo, fino a 8 cicli.

Rituximab deve essere somministrato il giorno 1 di ogni ciclo di chemioterapia, dopo somministrazione endovenosa del componente glucocorticoide della chemioterapia, se previsto.

Terapia di mantenimento

Linfoma follicolare precedentemente non trattato

Per i pazienti con linfoma follicolare, precedentemente non trattati, che hanno risposto al trattamento di induzione, la dose raccomandata di rituximab, usata come trattamento di mantenimento, è: 375 mg/m2 di superficie corporea una volta ogni due mesi (con inizio 2 mesi dopo l’ultima dose della terapia di induzione), fino a progressione della malattia o per un periodo massimo di due anni (12 infusioni in totale).

Linfoma follicolare recidivante/refrattario

Per i pazienti con linfoma follicolare ricaduto/resistente che hanno risposto al trattamento di induzione, la dose raccomandata di rituximab, usata come trattamento di mantenimento, è: 375 mg/m2 di superficie corporea una volta ogni 3 mesi (con inizio 3 mesi dopo l’ultima dose della terapia di induzione), fino a progressione della malattia o per un periodo massimo di due anni (8 infusioni totali).

Monoterapia

Linfoma follicolare recidivante/refrattario

Per i pazienti adulti con linfoma follicolare allo stadio III-IV che sono chemioresistenti o che sono alla loro seconda o successiva recidiva dopo chemioterapia, la dose raccomandata di rituximab in monoterapia usata come trattamento di induzione, è: 375 mg/m2 di superficie corporea, somministrata come infusione endovenosa una volta alla settimana per quattro settimane.

Per i pazienti che hanno risposto al precedente trattamento con rituximab in monoterapia per linfoma follicolare recidivante/refrattario, la dose raccomandata per il ritrattamento con rituximab in monoterapia,, è: 375 mg/m2 di superficie corporea, somministrata come infusione endovenosa una volta alla settimana per quattro settimane (vedere paragrafo 5.1).

Linfoma non-Hodgkin diffuso a grandi cellule B in pazienti adulti

Rituximab deve essere impiegato in associazione con chemioterapia CHOP. Il dosaggio raccomandato è di 375 mg/m2 di superficie corporea, somministrato il giorno 1 di ogni ciclo di chemioterapia per 8 cicli, dopo infusione endovenosa del componente glucocorticoide del CHOP. Nel linfoma non- Hodgkin diffuso a grandi cellule B, non sono ancora state stabilite la sicurezza e l’efficacia di rituximab in associazione con altre chemioterapie.

Adeguamento del dosaggio durante il trattamento

Non sono raccomandate riduzioni della dose di rituximab. Quando rituximab è somministrato in associazione con chemioterapia, si devono applicare le riduzioni standard del dosaggio per i medicinali chemioterapici.

Leucemia linfocitica cronica

In pazienti precedentemente non trattati e recidivi/refrattari, il dosaggio raccomandato di rituximab in associazione con chemioterapia è di 375 mg/m2 di superficie corporea somministrato il giorno 0 del primo ciclo di trattamento seguito da 500 mg/m2 di superficie corporea somministrato il giorno 1 di ogni ciclo successivo per 6 cicli totali. La chemioterapia deve essere somministrata dopo infusione di rituximab.

Artrite reumatoide

Ai pazienti in terapia con rituximab deve essere consegnata la scheda di allerta per il paziente ad ogni infusione.

Un ciclo di rituximab consiste di due infusioni endovenose da 1.000 mg ciascuna. Il dosaggio raccomandato di rituximab è di 1.000 mg per infusione endovenosa, seguita, due settimane dopo, da una seconda infusione endovenosa di 1.000 mg.

La necessità di ulteriori trattamenti deve essere valutata 24 settimane dopo il ciclo precedente. Il ritrattamento deve essere effettuato in quel momento, se l’attività residua della malattia rimane, altrimenti il ritrattamento deve essere ritardato fino a ricomparsa dell’attività residua della malattia.

I dati disponibili suggeriscono che la risposta clinica di solito è raggiunta entro 16-24 settimane di un ciclo iniziale di trattamento. Nei pazienti nei quali non si evidenzia un beneficio terapeutico entro questo periodo di tempo, la continuazione della terapia deve essere attentamente riconsiderata.

Granulomatosi con poliangioite (GPA) e poliangioite microscopica (MPA)

Ai pazienti trattati con rituximab deve essere consegnata la scheda di allerta per il paziente ad ogni infusione.

Induzione della remissione in pazienti adulti

In pazienti adulti con GPA e MPA, il dosaggio raccomandato di rituximab per la terapia d’induzione della remissione, è di 375 mg/m2 di superficie corporea, somministrato per infusione endovenosa una volta alla settimana per 4 settimane (4 infusioni totali).

Terapia di mantenimento in pazienti adulti

In pazienti adulti con GPA e MPA, dopo la fase d’induzione della remissione con rituximab, la terapia di mantenimento deve essere iniziata non prima che siano trascorse 16 settimane dall’ultima infusione di rituximab.

Dopo la fase d’induzione della remissione con altri immunosoppressori impiegati per il trattamento standard, la terapia di mantenimento con rituximab deve essere iniziata durante il periodo di 4 settimane successivo alla remissione della malattia.

La somministrazione di rituximab deve avvenire mediante due infusioni endovenose da 500 mg ciascuna, separate da un intervallo di due settimane, e seguite successivamente da un’infusione endovenosa da 500 mg ogni 6 mesi. Il trattamento dei pazienti con rituximab deve proseguire per almeno 24 mesi dopo l’ottenimento della remissione (assenza di segni e sintomi clinici),. Per i pazienti che possono essere a più alto rischio di recidiva, i medici devono valutare un prolungamento della terapia di mantenimento con rituximab, fino a una durata massima di 5 anni.

Pemfigo volgare

Ai pazienti trattati con rituximab deve essere consegnata la scheda di allerta per il paziente ad ogni infusione.

Il dosaggio raccomandato di rituximab per il trattamento del pemfigo volgare è di 1000 mg per infusione endovenosa, seguita, due settimane dopo, da una seconda infusione endovenosa di 1000 mg, in associazione con un ciclo di glucocorticoidi, con riduzione scalare della dose.

Terapia di mantenimento

Dopo 12 e 18 mesi e, se necessario, successivamente, ogni 6 mesi, , sulla base della valutazione clinica deve essere somministrata per via endovenosa un’infusione di mantenimento di 500 mg.

Trattamento della recidiva

In caso di recidiva, i pazienti possono essere trattati con 1000 mg per via endovenosa. Sulla base della valutazione clinica, l’operatore sanitario deve altresi prendere in considerazione la ripresa o l’incremento della dose di glucocorticoidi da somministrare al paziente.

La somministrazione delle successive infusioni può avvenire non prima che siano trascorse 16 settimane dall’infusione precedente.

Popolazioni speciali

Pazienti anziani

In pazienti anziani (di età > 65 anni), non è necessaria la modifica del dosaggio.

Popolazione pediatrica

Linfoma non-Hodgkin

Nei pazienti pediatrici di età compresa tra ≥ 6 mesi e < 18 anni con DLBCL CD20 positivo/BL/BAL/BLL in stadio avanzato, precedentemente non trattato, rituximab deve essere usato in associazione con chemioterapia sistemica per Linfoma di Barkitt (Lymphome Malin B” (LMB) (vedere tabelle 1 e 2). Il dosaggio raccomandato di rituximab è di 375 mg/m2 di superficie corporea (BSA), somministrato per infusione endovenosa. Non sono necessari modificazioni della dose di rituximab diversi da quelli per BSA.

Nei pazienti pediatrici di età compresa tra ≥ 6 mesi e < 18 anni, la sicurezza e l’efficacia di rituximab per indicazioni diverse dal DLBCL CD20 positivo/BL/BAL/BLL in stadio avanzato, precedentemente non trattato, non sono state ancora stabilite. Per i pazienti di età inferiore a 3 anni sono disponibili soltanto dati limitati. Vedere paragrafo 5.1 per ulteriori informazioni.

Rituximab non deve essere usato nei pazienti pediatrici con linfoma diffuso a grandi cellule B CD20 positivo dalla nascita a < 6 mesi di vita (vedere paragrafo 5.1).

Tabella 1 Posologia della somministrazione di rituximab per i pazienti pediatrici con linfoma non-Hodgkin

Ciclo Giorno di trattamento Dettagli relativi alla somministrazione
Prefase (COP) Nessuna somministrazione di rituximab
Ciclo di induzione 1 (COPADM1) Giorno -2 (corrispondente al giorno 6 della prefase) 1a infusione di
rituximab
Durante il 1° ciclo di induzione, prednisone viene somministrato nell’ambito del regime chemioterapico e deve essere somministrato prima
di rituximab.
Giorno 1
2a infusione di rituximab
Rituximab sarà somministrato 48 ore dopo la prima infusione di rituximab.
Ciclo di induzione 2 (COPADM2) Giorno -2
3a infusione di rituximab
Nel 2° ciclo di induzione, prednisone non viene somministrato contestualmente alla
somministrazione di rituximab.
Giorno 1
4a infusione di rituximab
Rituximab sarà somministrato 48 ore dopo la terza infusione di rituximab.
Ciclo di consolidamento 1 (CYM/CYVE) Giorno 1
5a infusione di rituximab
Prednisone non viene somministrato
contestualmente alla somministrazione di rituximab.
Ciclo di consolidamento 2 (CYM/CYVE) Giorno 1
6a infusione di rituximab
Prednisone non viene somministrato contestualmente alla somministrazione di
rituximab.
Ciclo di mantenimento 1 (M1) Giorni 25-28 del ciclo di consolidamento 2 (CYVE)
Nessuna somministrazione di rituximab
Ha inizio una volta ripristinata la conta delle cellule periferiche dal ciclo di consolidamento 2 (CYVE), con ANC > 1,0 x 109/l e piastrine > 100 x 109/l.
Ciclo di mantenimento 2 Giorno 28 del ciclo di mantenimento 1 (M1)
Ciclo Giorno di trattamento Dettagli relativi alla somministrazione
(M2) Nessuna somministrazione di
rituximab
ANC = conta assoluta dei neutrofili; COP = ciclofosfamide, vincristina, prednisone; COPADM = ciclofosfamide, vincristina, prednisolone, doxorubicina, metotrexato; CYM = citarabina (Aracytin, Ara-C), metotrexato; CYVE = citarabina (Aracytin, Ara-C), etoposide (VP16)

Tabella 2 Piano terapeutico per i pazienti pediatrici con linfoma non-Hodgkin: chemioterapia concomitante con rituximab

Piano terapeutico Stadiazione del paziente Dettagli relativi alla somministrazione
Gruppo B Stadio III con alti livelli di LDH (> N x 2), stadio IV con SNC negativo Prefase seguita da 4 cicli:
2 cicli di induzione (COPADM) con HDMTX 3 g/m2 e 2 cicli di consolidamento
(CYM)
Gruppo C Gruppo C1:
BAL con SNC negativo, stadio IV e BAL con SNC positivo e CSF negativo
Prefase seguita da 6 cicli:
2 cicli di induzione (COPADM) con HDMTX 8 g/m², 2 cicli di consolidamento (CYVE) e 2 cicli di mantenimento (M1 e M2)
Gruppo C3:
BAL con CSF positivo, stadio IV con CSF positivo
I cicli consecutivi devono essere somministrati non appena consentito dal ripristino della conta delle cellule ematiche e dalla condizione del paziente, eccetto per i cicli di mantenimento che vengono
somministrati a intervalli di 28 giorni.
BAL = leucemia di Burkitt (leucemia acuta a cellule B mature); CSF = liquido cerebrospinale; HDMTX = metotrexato ad alte dosi; LDH = lattato deidrogenasi; SNC = sistema nervoso centrale

Granulomatosi con poliangioite (GPA) e poliangioite microscopica (MPA)

Induzione della remissione

In pazienti pediatrici con GPA o MPA in forma attiva di grado severo, il dosaggio raccomandato di rituximab per la terapia d’induzione della remissione è di 375 mg/m2 di superficie corporea, somministrato per infusione endovenosa una volta alla settimana per 4 settimane.

In pazienti pediatrici (di età ≥ 2 e < 18 anni), la sicurezza e l’efficacia di rituximab non sono ancora state stabilite per indicazioni diverse dalla GPA o MPA in forma attiva di grado severo.

Rituximab non deve essere usato in pazienti pediatrici di età inferiore a 2 anni affetti da GPA o MPA in forma attiva di grado severo, poiché esiste la possibilità di una risposta immunitaria inadeguata verso le vaccinazioni pediatriche contro comuni malattie infantili prevenibili con un vaccino (ad es., morbillo, parotite, rosolia e poliomielite) (vedere paragrafo 5.1).

Modo di somministrazione

Rituximab è per uso endovenoso.

La soluzione preparata di rituximab deve essere somministrata per infusione endovenosa tramite una linea dedicata. Non deve essere somministrata a pressione (push) o come bolo endovenoso.

I pazienti devono essere attentamente monitorati per l’insorgenza della sindrome da rilascio di citochine (vedere paragrafo 4.4). Ai pazienti che sviluppano reazioni severe, soprattutto dispnea severa, broncospasmo o ipossia, deve essere immediatamente interrotta l’infusione. I pazienti con linfoma non-Hodgkin devono poi essere valutati per la presenza di sindrome da lisi tumorale attraverso l’effettuazione di appropriati esami di laboratorio e, in presenza di infiltrazione polmonare, tramite radiografia del torace. In tutti i pazienti, l’infusione non deve essere ripresa fino acompleta risoluzione di tutti i sintomi e anormalizzazione dei valori di laboratorio e della radiografia del torace. A questo punto l’infusione può essere inizialmente ripresa a una velocità ridotta della metà rispetto a quella precedentemente adottata. Qualora le stesse stesse reazioni avverse severe, dovessero manifestarsi una seconda volta, la decisione di interrompere il trattamento deve essere attentamente considerata caso per caso.

Le reazioni correlate a infusione (infusion-related reactions, IRR) lievi o moderate (vedere paragrafo 4.8), generalmente rispondono a una riduzione della velocità di infusione. Quando i sintomi migliorano, la velocità di infusione può essere aumentata.

Prima infusione

La velocità di infusione iniziale raccomandata è di 50 mg/h; dopo i primi 30 minuti, può essere aumentata con incrementi di 50 mg/h ogni 30 minuti, fino a un massimo di 400 mg/h.

Successive infusioni

Per tutte le indicazioni

Le successive dosi di rituximab possono essere somministrate con una velocità di infusione iniziale di 100 mg/h e aumentate di 100 mg/h ad intervalli di 30 minuti, fino a un massimo di 400 mg/h.

Pazienti pediatrici – Linfoma non-Hodgkin

Prima infusione

La velocità di infusione iniziale raccomandata è di 0,5 mg/kg/h (massimo 50 mg/h); in assenza di ipersensibilità o reazioni correlate a infusione, tale velocità può essere incrementata progressivamente di 0,5 mg/kg/h ogni 30 minuti, fino a un massimo di 400 mg/h.

Infusioni Successive

Le successive dosi di rituximab possono essere somministrate con una velocità di infusione iniziale di 1 mg/kg/h (massimo 50 mg/h), che può essere aumentata di 1 mg/kg/h ogni 30 minuti fino a un massimo di 400 mg/h.

Solo per l’artrite reumatoide

Schema alternativo per la somministrazione più rapida delle infusioni successive

Se con la prima o con le successive infusioni, somministrate alla dose di 1.000 mg di rituximab, secondo lo schema infusionale standard, i pazienti non hanno manifestato una reazione grave correlata all’infusione, la seconda infusione e quelle successive possono essere somministrate a una velocità maggiore, alla stessa concentrazione delle infusioni precedenti (4 mg/mL per un volume di 250 mL). Iniziare l’infusione a una velocità di 250 mg/h per i primi 30 minuti e, successivamente, di 600 mg/h per i successivi 90 minuti. Se l’infusione più rapida risulta ben tollerata, per la somministrazione delle infusioni successive, è possibile impiegare il medesimo schema infusionale.

L’infusione più rapida non deve essere somministrata a pazienti affetti da malattie cardiovascolari clinicamente significative, comprese le aritmie o che in passato hanno manifestato gravi reazioni all’infusione di rituximab o a qualsiasi terapia biologica precedente.

 

04.3 Controindicazioni

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Controindicazioni all’uso nel linfoma non-Hodgkin e nella leucemia linfocitica cronica

Ipersensibilità al principio attivo, alle proteine di origine murina o ad uno qualsiasi degli altri eccipienti elencati nel paragrafo 6.1.

Infezioni attive, severe (vedere paragrafo 4.4). Pazienti in stato di severa immunocompromissione.

Controindicazioni all’uso nell’artrite reumatoide, nella granulomatosi con poliangioite, nella poliangioite microscopica e nel pemfigo volgare Ipersensibilità al principio attivo, alle proteine di origine murina o ad uno qualsiasi degli altri eccipienti elencati nel paragrafo 6.1.

Infezioni attive, severe (vedere paragrafo 4.4). Pazienti in stato di severa immunocompromissione.

Insufficienza cardiaca severa (classe IV della New York Heart Association) o malattia cardiaca severe e non controllata (vedere paragrafo 4.4 per altri disordini cardiaci).

 

04.4 Speciali avvertenze e precauzioni per l’uso

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Tracciabilità

Per migliorare la tracciabilità dei medicinali biologici, il nome commerciale e il numero di lotto del prodotto somministrato devono essere chiaramente registrati.

Leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML)

A tutti i pazienti in terapia con rituximab per l’artrite reumatoide, la GPA, la MPA o il pemfigo volgare, deve essere consegnata la scheda di allerta per il paziente ad ogni infusione. La scheda di allerta contiene importanti informazioni di sicurezza per i pazienti riguardo il rischio potenzialmente maggiore di infezioni, compresa la PML.

Casi fatali molto rari di PML sono stati osservati in seguito all’utilizzo di rituximab. I pazienti devono essere monitorati ad intervalli regolari per ogni nuovo sintomo neurologico o di un suo peggioramento o per segni indicativi di PML. In caso di sospetta PML, le ulteriori somministrazioni devono essere sospese fino a quando la diagnosi di PML sia stata esclusa. Il medico deve valutare il paziente per determinare se i sintomi sono indicativi di disfunzione neurologica e, se cosi fosse, se tali sintomi sono suggestivi di possibile PML. Deve essere richiesta una consulenza neurologica se clinicamente indicata.

In caso di dubbio, deve essere presa in considerazione un’ulteriore valutazione, che includa esami quali la RMN, preferibilmente con contrasto, il test del liquido cerebrospinale (CSF) per valutare il DNA del virus JC e ripetute valutazioni neurologiche.

Il medico deve essere particolarmente attento ai sintomi indicativi di PML che il paziente può non notare (ad es., sintomi cognitivi, neurologici o psichiatrici). Occorre inoltre consigliare al paziente di informare il proprio partner, o chi si prende cura di lui, riguardo al trattamento, poiché essi possono notare sintomi dei quali il paziente non è a conoscenza.

Se un paziente sviluppa PML, la somministrazione di rituximab deve essere definitivamente interrotta.

Nei pazienti immunocompromessi con PML, a seguito della ricostituzione del sistema immunitario, si sono notati stabilizzazione o miglioramento. Non è noto se la diagnosi precoce di PML e la sospensione della terapia con rituximab possano portare ad una stabilizzazione o ad un miglioramento simili.

Linfoma non-Hodgkin e leucemia linfocitica cronica

Reazioni correlate a infusione

Rituximab è associato a reazioni correlate a infusione (IRR), che possono, a loro volta, essere correlate al rilascio di citochine e/o altri mediatori chimici. La sindrome da rilascio di citochine può risultare clinicamente indistinguibile dalle reazioni acute di ipersensibilità.

Questo insieme di reazioni, che include sindrome da rilascio di citochine, sindrome da lisi tumorale e reazioni anafilattiche e di ipersensibilità, è descritto di seguito.

Durante l’uso successivo alla commercializzazione di rituximab in formulazione endovenosa, sono state segnalate severe reazioni con esito fatale correlate all’infusione, la cui insorgenza si è verificata in un intervallo di tempo compreso tra 30 minuti e 2 ore dopo l’inizio della prima infusione endovenosa di rituximab. Tali reazioni sono state caratterizzate da eventi polmonari, incluse, in alcuni casi, rapida lisi tumorale e caratteristiche della sindrome da lisi tumorale oltre a febbre, brividi, brividi febbrili, ipotensione, orticaria, angioedema e altri sintomi (vedere paragrafo 4.8).

La sindrome da rilascio di citochine severa è caratterizzata da dispnea severa, spesso accompagnata da broncospasmo e ipossia, oltre a febbre, brividi, brividi febbrili, orticaria e angioedema. Questa sindrome può essere associata ad alcune caratteristiche della sindrome da lisi tumorale come iperuricemia, iperkaliemia, ipocalcemia, iperfosfatemia, insufficienza renale acuta, lattato deidrogenasi (LDH) aumentata e può essere associata ad insufficienza respiratoria acuta e morte.

L’insufficienza respiratoria acuta può essere accompagnata da eventi quali infiltrazione polmonare interstiziale o edema polmonare, rilevabili con la radiografia del torace. La sindrome si manifesta frequentemente entro una o due ore dall’inizio della prima infusione. I pazienti con anamnesi di insufficienza polmonare o con infiltrazione tumorale del polmone, possono essere esposti a un maggiore rischio di scarsi risultati e devono essere trattati con maggiore cautela. Ai pazienti che sviluppano sindrome da rilascio di citochine severa, deve essere immediatamente interrotta l’infusione (vedere paragrafo 4.2) e deve essere somministrato un trattamento sintomatico aggressivo. Poiché il miglioramento iniziale dei sintomi clinici può essere seguito da un peggioramento, questi pazienti devono essere attentamente monitorati fino alla risoluzione o all’esclusione della sindrome da lisi tumorale e dell’infiltrazione polmonare. L’ulteriore trattamento dei pazienti dopo la completa risoluzione di sintomi e segni ha raramente portato al ripetersi della sindrome da rilascio di citochine severa.

I pazienti con elevata massa tumorale o con elevato numero (≥ 25 x 109/l) di cellule neoplastiche circolanti, come i pazienti con LLC, che possono essere esposti a un rischio maggiore di sindrome da rilascio di citochine particolarmente severa, devono essere trattati con estrema cautela. Questi pazienti devono essere monitorati molto attentamente per tutto il corso della prima infusione. In tali pazienti, per la prima infusione, deve essere preso in considerazione l’utilizzo di una velocità di infusione ridotta o una suddivisione della dose in due giorni durante il primo ciclo e a ogni ciclo successivo, se la conta dei linfociti fosse ancora > 25 x 109/l.

Nel 77 % dei pazienti trattati con rituximab sono state osservate reazioni avverse di ogni tipo correlate a infusione (compresa la sindrome da rilascio di citochine accompagnata da ipotensione e broncospasmo nel 10 % dei pazienti) (vedere paragrafo 4.8). Questi sintomi sono generalmente reversibili con l’interruzione dell’infusione di rituximab e con la somministrazione di farmaci antipiretici, antistaminici e, occasionalmente, ossigeno, soluzione sodio cloruro per via endovenosa o farmaci broncodilatatori e glucocorticoidi, se necessario. Per le reazioni severe vedere la sindrome da rilascio di citochine descritta sopra.

In seguito alla somministrazione endovenosa di proteine, nei pazienti sono state osservate reazioni di tipo anafilattico e altre reazioni di ipersensibilità. Diversamente dalla sindrome da rilascio di citochine, le vere reazioni da ipersensibilità si manifestano, solitamente, entro minuti dall’inizio dell’infusione.

In caso di reazione allergica nel corso della somministrazione di rituximab, i prodotti medicinali per il trattamento delle reazioni da ipersensibilità, ad es., epinefrina (adrenalina), antistaminici e glucocorticoidi, devono essere disponibili per l’uso immediato. Le manifestazioni cliniche dell’anafilassi possono apparire simili alle manifestazioni cliniche della sindrome da rilascio di citochine (descritta sopra). Le reazioni attribuite a ipersensibilità sono state osservate con minore frequenza rispetto a quelle attribuite al rilascio di citochine.

In alcuni casi sono state osservate ulteriori reazioni quali infarto del miocardio, fibrillazione atriale, edema polmonare e trombocitopenia acuta reversibile.

Poiché durante la somministrazione di rituximab si può verificare ipotensione, si deve prendere in considerazione la sospensione di medicinali anti-ipertensivi 12 ore prima dell’infusione di rituximab.

Patologie cardiache

Nei pazienti trattati con rituximab si sono verificati casi di angina pectoris, aritmia cardiaca, come flutter atriale e fibrillazione, insufficienza cardiaca e/o infarto miocardico. Pertanto i pazienti con anamnesi di malattia cardiaca e/o chemioterapia cardiotossica devono essere attentamente monitorati.

Tossicità ematologiche

Sebbene rituximab non sia mielosoppressivo in monoterapia, deve essere posta particolare attenzione nel considerare il trattamento di pazienti con neutrofili < 1,5 x 109/l e/o con conta delle piastrine < 75 x 109/l, poiché per questo tipo di popolazione si ha una limitata esperienza clinica. Rituximab è stato utilizzato in 21 pazienti che avevano effettuato trapianto di midollo osseo autologo e in altri gruppi a rischio con una presumibile ridotta funzionalità midollare senza indurre mielotossicità.

Durante la terapia con rituximab deve essere eseguita regolarmente la conta ematica completa, inclusa la conta dei neutrofili e delle piastrine.

Infezioni

Infezioni gravi, anche fatali, possono avvenire durante la terapia con rituximab (vedere paragrafo 4.8). Rituximab non deve essere somministrato a pazienti con infezioni attive severe (ad es., tubercolosi, sepsi e infezioni opportunistiche, vedere paragrafo 4.3).

I medici devono essere cauti quando prendono in considerazione l’uso di rituximab in pazienti con una storia di infezioni ricorrenti o croniche o con condizioni di base che possono ulteriormente predisporre i pazienti stessi a infezioni gravi (vedere paragrafo 4.8).

In soggetti che hanno ricevuto rituximab, sono stati osservati casi di riattivazione di epatite B, incluse segnalazioni di epatite fulminante ad esito fatale. La maggior parte di questi soggetti riceveva anche chemioterapia citotossica. Informazioni limitate provenienti da uno studio condotto in pazienti con LLC recidivante/refrattaria suggeriscono che il trattamento con rituximab può anche peggiorare l’esito di infezioni di epatite B primarie. In tutti i pazienti, lo screening per il virus dell’epatite B (HBV) deve essere effettuato prima di iniziare il trattamento con rituximab e dovrebbe almeno includere il dosaggio dell’HBsAg e dell’HBcAb. Questi esami possono poi essere integrati con altri marcatori appropriati secondo le linee guida locali. I pazienti con infezione attiva di epatite B non devono essere trattati con rituximab. I pazienti con sierologia positiva per epatite B (sia HBsAg che HBcAb) devono essere valutati da un clinico epatologo prima dell’inizio del trattamento e devono essere monitorati e seguiti secondo gli standard clinici locali per prevenire la riattivazione dell’epatite B.

Casi molto rari di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) sono stati osservati durante l’uso successivo alla immissione in commercio di rituximab nel LNH e nella LLC (vedere paragrafo 4.8). La maggior parte dei pazienti aveva ricevuto rituximab in associazione con chemioterapia o come parte di un programma di trapianto con cellule staminali ematopoietiche.

Immunizzazioni

La sicurezza dell’immunizzazione con vaccini virali vivi, a seguito di terapia con rituximab, non è stata studiata per pazienti con LNH e LLC e non si raccomanda la vaccinazione con vaccini con virus vivo. I pazienti trattati con rituximab possono ricevere vaccinazioni con virus non vivo; le percentuali di risposta ai vaccini con virus non vivo possono tuttavia essere ridotte. In uno studio non randomizzato, pazienti adulti con LNH con basso grado di recidiva, che hanno ricevuto rituximab in monoterapia, quando confrontati con controlli di volontari sani non trattati, hanno mostrato un più basso tasso di risposte alla vaccinazione di richiamo con antigeni del tetano (16 % rispetto a 81 %) e neoantigeni Keyhole Limpet Haemocyanin (KLH) (4 % rispetto a 76 %, quando valutati per un aumento del titolo anticorpale > 2 volte). Per pazienti con LLC sono prevedibili risultati simili considerando le similitudini tra le due patologie, tuttavia ciò non è stato valutato attraverso studi clinici.

La media dei titoli anticorpali pre-terapeutici contro un pannello di antigeni (Streptococcus pneumoniae, influenza A, parotite, rosolia, varicella) è stata mantenuta per almeno 6 mesi dopo il trattamento con rituximab.

Reazioni cutanee

Sono state segnalate reazioni cutanee severi quali la necrolisi epidermica tossica (sindrome di Lyell) e la sindrome di Stevens-Johnson, alcune ad esito fatale (vedere paragrafo 4.8). In caso di tali eventi, se si sospetta una correlazione con rituximab, il trattamento deve essere interrotto in modo permanente.

Popolazione pediatrica

Per i pazienti di età inferiore a 3 anni sono disponibili soltanto dati limitati. Vedere paragrafo 5.1 per ulteriori informazioni.

Artrite reumatoide, granulomatosi con poliangioite (GPA) e poliangioite microscopica (MPA) e pemfigo volgare Popolazioni con artrite reumatoide non esposti (naïve) a metotrexato (MTX)

L’uso di rituximab non è raccomandato nei pazienti non esposti (naïve) a MTX, dal momento che non è stato stabilito un rapporto beneficio/rischio favorevole.

Reazioni correlate a infusione

Rituximab è associato a reazioni correlate a infusione (IRR), che possono essere associate al rilascio di citochine e/o di altri mediatori chimici.

In pazienti con artrite reumatoide, nella fase successiva all’immissione in commercio, sono stati osservati casi di IRR di grado severo con esito fatale. Nel trattamento dell’artrite reumatoide, negli studi clinici, la maggior parte delle reazioni correlate a infusione era di intensità lieve-moderata. I sintomi più comuni erano reazioni allergiche come cefalea, prurito, irritazione della gola, rossore, eruzione cutanea, orticaria, ipertensione e piressia. In generale, la proporzione di pazienti che manifestavano una qualche reazione all’infusione era più alta dopo la prima infusione che dopo la seconda, in qualsiasi ciclo di trattamento. L’incidenza di IRR diminuiva nei cicli successivi (vedere paragrafo 4.8). Le reazioni osservate erano generalmente reversibili con la riduzione della velocità di infusione o con l’interruzione della somministrazione di rituximab e l’assunzione di antipiretici, antistaminici e, occasionalmente, ossigeno, soluzione sodio cloruro per via endovenosa o broncodilatatori e glucocorticoidi, se necessario. Monitorare attentamente i pazienti con condizioni cardiache preesistenti e quelli che, in precedenza, hanno manifestato, reazioni avverse cardiopolmonari. In funzione della severità delle IRR e all’intervento necessario, interrompere temporaneamente o definitivamente la somministrazione di rituximab. Nella maggior parte dei casi, quando i sintomi sono stati completamente risolti, l’infusione può essere ripresa riducendo la velocità al 50 % (per es., da 100 mg/h a 50 mg/h),.

Medicinali per il trattamento delle reazioni di ipersensibilità, ad es., epinefrina (adrenalina), antistaminici e glucocorticoidi, devono essere disponibili per l’uso immediato, in caso di reazioni allergiche durante la somministrazione di rituximab.

Non ci sono dati relativi alla sicurezza di rituximab nei pazienti con scompenso cardiaco moderato (classe III NYHA) o malattia cardiaca severa e non controllata. Nei pazienti trattati con rituximab, si è osservato che condizioni preesistenti di ischemia cardiaca, quali l’angina pectoris, sono divenute sintomatiche, cosi come fibrillazione e flutter atriale. Pertanto, nei pazienti con anamnesi di cardiopatia, e in quelli che, in prcedenza, hanno manifestato reazioni avverse cardiopolmonari, prima del trattamento con rituximab deve essere considerato il rischio di complicanze cardiovascolari conseguenti alle reazioni infusionali e i pazienti devono essere attentamente monitorati durante la somministrazione. Poiché, durante l’infusione di rituximab si può verificare ipotensione, si deve prendere in considerazione la sospensione di medicinali anti-ipertensivi 12 ore prima dell’infusione di rituximab.

Le IRR in pazienti con GPA, MPA e pemfigo volgare erano coerenti con quelle osservate negli studi clinici condotti in pazienti con artrite reumatoide e nella fase successiva all’immissione in commercio (vedere paragrafo 4.8).

Patologie cardiache

Nei pazienti trattati con rituximab si sono osservati casi di angina pectoris, aritmia cardiaca, come flutter e fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca e/o infarto miocardico. Pertanto, i pazienti con anamnesi di malattia cardiaca devono essere attentamente monitorati (vedere “Reazioni correlate all’infusione”, sopra).

Infezioni

Sulla base del meccanismo d’azione di rituximab e della conoscenza del ruolo importante che le cellule B svolgono nel mantenimento della normale risposta immune, i pazienti hanno un incremento del rischio di infezioni in seguito alla terapia con rituximab (vedere paragrafo 5.1). Infezioni gravi, inclusi eventi fatali, possono manifestarsi durante la terapia con rituximab (vedere paragrafo 4.8).

Rituximab non deve essere somministrato a pazienti con infezione attiva severa (ad es., tubercolosi, sepsi e infezioni opportunistiche, vedere paragrafo 4.3) o ai pazienti severamente immunocompromessi (ad es., laddove i valori di CD4 o CD8 sono molto bassi). I medici devono prestare attenzione nel considerare l’impiego di rituximab nei pazienti con anamnesi di infezioni ricorrenti o croniche o con condizioni di base che possono ulteriormente predisporre i pazienti a gravi infezioni ad es., ipogammaglobulinemia (vedere paragrafo 4.8). Si raccomanda che i livelli di immunoglobuline siano determinati prima dell’inizio del trattamento con rituximab.

I pazienti che, a seguito di trattamento con rituximab, manifestano segni e sintomi di infezione, devono essere prontamente valutati e adeguatamente trattati. Prima di iniziare un ciclo successivo di trattamento con rituximab, i pazienti devono essere rivalutati per qualsiasi rischio potenziale di infezioni.

Casi molto rari di leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) ad esito fatale sono stati osservati a seguito dell’impiego di rituximab per il trattamento dell’artrite reumatoide e di patologie autoimmuni inclusi il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e vasculite.

Infezione da Epatite B

Nei pazienti affetti da artrite reumatoide, GPA e MPA che hanno ricevuto rituximab, sono stati osservati casi di riattivazione dell’epatite B, inclusi quelli a esito fatale.

In tutti i pazienti prima dell’inizio del trattamento con rituximab, deve essere effettuato lo screening per il virus dell’epatite B (HBV) e deve includere almeno il dosaggio dell’HBsAg e dell’HBcAb.

Questi tests possono poi essere integrati con altri marcatori appropriati secondo le linee guida locali. I pazienti con infezione di epatite B in forma attiva non devono essere trattati con rituximab. I pazienti con sierologia positiva per epatite B (sia HBsAg che HBcAb), devono essere valutati da un clinico epatologo e devono essere monitorati e seguiti secondo gli standard clinici locali per prevenire la riattivazione dell’epatite B.

Neutropenia a esordio tardivo

Contare i neutrofili prima di ciascun ciclo di rituximab e ad intervalli regolari fino a 6 mesi dopo l’interruzione del trattamento e in caso di segni o sintomi di infezione (vedere paragrafo 4.8).

Reazioni cutanee

Sono state segnalate reazioni cutanee severe quali la necrolisi epidermica tossica (sindrome di Lyell) e la sindrome di Stevens-Johnson, alcune ad esito fatale (vedere paragrafo 4.8). In caso di tali eventi, se si sospetta una correlazione con rituximab, il trattamento deve essere interrotto in modo permanente.

Immunizzazione

I medici devono rivedere lo stato delle vaccinazioni del paziente e i pazienti, prima di iniziare la terapia con rituximab, devono, se possibile, aver completato tutte le immunizzazioni, in accordo con le linee guida vigenti per l’immunizzazione. Le vaccinazioni devono essere completate almeno 4 settimane prima della prima somministrazione di rituximab.

La sicurezza dell’immunizzazione con vaccini virali vivi seguente alla terapia con rituximab non è stata studiata. Perciò la vaccinazione con vaccini con virus vivo non è raccomandata durante la terapia con rituximab o durante il periodo di deplezione delle cellule B periferiche.

I pazienti trattati con rituximab possono ricevere vaccinazioni con virus non vivo; comunque, le percentuali di risposta ai vaccini con virus non vivo possono essere ridotte. In uno studio randomizzato, pazienti con artrite reumatoide trattati con rituximab e metotrexato hanno avuto tassi di risposta comparabili con quelle dei pazienti che hanno ricevuto solo metotrexato: antigeni di richiamo del tetano (39 % rispetto a 42 %), ridotte percentuali al vaccino polisaccaride del pneumococco (43 % rispetto a 82 % ad almeno 2 sierotipi di anticorpi anti-pneumococco) e ai neoantigeni KLH (47 % rispetto a 93 %), quando dati 6 mesi dopo rituximab. Se durante la terapia con rituximab vengono richieste vaccinazioni con virus non vivo, queste devono essere completate almeno 4 settimane prima dell’inizio del successivo ciclo di rituximab.

Nell’esperienza globale di ripetuti trattamenti di rituximab, nell’ambito dell’artrite reumatoide, nell’arco un anno, le percentuali di pazienti con titoli anticorpali positivi contro S. pneumoniae, influenza, parotite, rosolia, varicella e tossina del tetano, sono state generalmente simili alle percentuali in condizioni basali.

Impiego concomitante/sequenziale di altri DMARD nel trattamento dell’artrite reumatoide Nell’indicazione e nella posologia relative all’artrite reumatoide, l’impiego concomitante di rituximab e di terapie antireumatiche diverse da quelle specificate, non è raccomandato.

Dagli studi clinici, ci sono dati limitati per valutare pienamente la sicurezza dell’uso sequenziale di altri DMARD (inclusi inibitori del TNF e altri biologici), dopo rituximab (vedere paragrafo 4.5). I dati disponibili indicano che il tasso di infezioni clinicamente rilevanti è invariata quando tali terapie sono utilizzate in pazienti precedentemente trattati con rituximab; comunque i pazienti devono essere strettamente osservati per segni di infezione se, dopo la terapia con rituximab, vengono utilizzati agenti biologici e/o DMARD .

Tumori

I farmaci immunomodulatori possono aumentare il rischio di tumori. Tuttavia, i dati disponibili non suggeriscono un incremento del rischio di tumori con rituximab usato nelle indicazioni per patologie autoimmuni oltre il rischio associato alla condizione autoimmune preesistente.

Eccipienti

Questo prodotto medicinale contiene 2,3 mmol (o 52,6 mg) di sodio nel flaconcino da 10 mL e 11,5 mmol (o 263,2 mg) di sodio nel flaconcino da 50 mL, equivalenti, rispettivamente, al 2,6% e al 13,2% dell’apporto giornaliero massimo raccomandato dall’OMS di 2 g di sodio per un adulto.

 

04.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme di interazione

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Al momento si hanno dati limitati sulla possibile interazione di medicinali con rituximab.

In pazienti con LLC, la co-somministrazione con rituximab non sembra avere un effetto sulla farmacocinetica di fludarabina o ciclofosfamide. In aggiunta, non c’è un apparente effetto di fludarabina e ciclofosfamide sulla farmacocinetica di rituximab.

Nei pazienti con artrite reumatoide, la co-somministrazione con metotrexato non ha avuto alcun effetto sulla farmacocinetica di rituximab.

I pazienti che hanno sviluppato anticorpi anti-proteine murine (HAMA) anticorpi anti-farmaco (ADA) possono manifestare reazioni allergiche o di ipersensibilità quando vengono trattati con altri anticorpi monoclonali diagnostici o terapeutici.

In pazienti con artrite reumatoide, 283 pazienti, dopo rituximab, hanno ricevuto successivamente una terapia con un DMARD biologico. In tali pazienti, la percentuale di infezioni clinicamente rilevanti durante la terapia con rituximab è stata 6,01 su 100 pazienti/anno confrontata con 4,97 su 100 pazienti/anno dopo il trattamento con il DMARD biologico.

 

04.6 Gravidanza e allattamento

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Donne in età fertile/Contraccezione

Tenuto conto che nei pazienti con deplezione di cellule B rituximab ha un lungo tempo di ritenzione, le donne in età fertile devono usare metodi contraccettivi efficaci nel corso del trattamento e fino a 12 mesi dal completamento della terapia con rituximab.

Gravidanza

È noto che le immunoglobuline IgG oltrepassano la barriera placentare.

A seguito di esposizione materna a rituximab, nei neonati umani i livelli di cellule B non sono stati valutati nel corso degli studi clinici. Non ci sono dati adeguati e ben controllati di studi su donne in gravidanza, comunque in neonati nati da madri esposte a rituximab durante la gravidanza sono state osservate deplezione transitoria delle cellule B e linfocitopenia. Effetti simili sono stati osservati negli studi condotti sugli animali (vedere paragrafo 5.3). Per tali ragioni, non si deve somministrare rituximab in donne in gravidanza a meno che il possibile beneficio superi il potenziale rischio.

Allattamento

Dati limitati sull’escrezione di rituximab nel latte materno suggeriscono concentrazioni di rituximab molto basse nel latte (dose relativa per lattanti inferiore allo 0,4%). Pochi casi in osservazione(follow- up) di lattanti allattati con latte materno descrivono la crescita e lo sviluppo fino a 2 anni d’età come normali. Tuttavia, poiché questi dati sono limitati e i risultati a lungo termine sui lattanti allattati con latte materno rimangono sconosciuti, l’allattamento non è raccomandato durante il trattamento con rituximab e in maniaera ottimale nei 6 mesi successivi al trattamento con rituximab.

Fertilità

Gli studi condotti sugli animali non hanno rivelato effetti deleteri di rituximab a carico degli organi riproduttivi.

 

04.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari

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Rituximab non altera o altera in modo trascurabile la capacità di guidare veicoli o di usare macchinari.

 

04.8 Effetti indesiderati

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Esperienza clinica nel linfoma non-Hodgkin e nella leucemia linfocitica cronica nei pazienti adulti Riassunto del profilo di sicurezza

Il profilo di sicurezza complessivo di rituximab nel linfoma non-Hodgkin e nella leucemia linfocitica cronica si basa su dati di pazienti in studi clinici e sulla sorveglianza successiva all’immissione in commercio. Questi pazienti sono stati trattati con rituximab in monoterapia (come trattamento di induzione o come trattamento di mantenimento post-induzione) o in associazione con chemioterapia.

In pazienti che hanno ricevuto rituximab, le reazioni avverse (ADR) osservate più frequentemente sono state le IRR che si sono manifestate nella maggior parte dei pazienti durante la prima infusione. L’incidenza di sintomi correlati a infusione diminuisce significativamente con le successive infusioni ed è inferiore all’1 % dopo otto dosi di rituximab.

Gli eventi infettivi (soprattutto batterici e virali) si sono verificati in studi clinici nel 30-55 % circa dei pazienti con LNH e nel 30-50 % circa dei pazienti con LLC.

Le reazioni avverse gravi più frequentemente registrate o osservate sono state:

IRR (incluse la sindrome da rilascio di citochine e la sindrome da lisi tumorale), vedere paragrafo 4.4.

Infezioni, vedere paragrafo 4.4.

Eventi cardiovascolari, vedere paragrafo 4.4.

Altre ADR gravi riportate includono la riattivazione di epatite B e la PML (vedere paragrafo 4.4). Tabella delle reazioni avverse Le frequenze delle ADR riportate con rituximab in monoterapia o in associazione con chemioterapia sono riassunte nella tabella 3. La frequenza è definita come molto comune (≥ 1/10), comune (da ≥ 1/100 a < 1/10), non comune (da ≥ 1/1.000 a < 1/100), raro (da ≥ 1/10.000 a < 1/1.000), molto raro (< 1/10.000) e non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità.

Le ADR identificate solo durante la sorveglianza successiva all’immissione in commercio e per le quali non è possibile stimare una frequenza, sono elencate sotto la voce “non nota”.

Tabella 3 ADR osservate negli studi clinici o durante la sorveglianza successiva all’immissione in commercio, in pazienti con LNH e LLC trattati con rituximab in monoterapia/mantenimento o in associazione con chemioterapia

Classificazione per sistemi e
organi secondo MedDRA
Molto comune Comune Non comune Raro Molto raro Non nota8
Infezioni ed infestazioni infezioni batteriche, sepsi,
+ infezione
infezioni virali gravi2, PML
infezioni virali, polmonare, Pneumocysti
+bronchite +infezione s jirovecii
febbrile,
+herpes zoster,
+infezioni delle
vie respiratorie,
infezioni
micotiche,
infezioni a
eziologia
sconosciuta,
+bronchite
acuta,
+sinusite,
epatite B1
Patologie del neutropenia, anemia, disturbi della aumento neutropenia
sistema emolinfopoietico leucopenia,
+neutropenia
+pancitopenia,
+granulocitopeni
coagulazione, anemia transitorio nel siero del livello tardiva3
febbrile,
+trombocitopeni
a aplastica,
anemia
delle IgM3
a emolitica,
linfoadenopatia
Disturbi del reazioni ipersensibilità anafilassi sindrome da trombocitopeni
sistema correlate a lisi tumorale, a acuta
immunitario infusione, sindrome da reversibile
angioedema rilascio di correlata
citochine4, all’infusione4
malattia da
siero
Classificazione per sistemi e organi secondo
MedDRA
Molto comune Comune Non comune Raro Molto raro Non nota8
Disturbi del metabolismo e della nutrizione iperglicemia, calo
p ond erale , edema periferico, edema facciale, LDH aumentata,
ipocalcemia
Disturbi
psichiatrici
depressione,
nervosismo
Patologie del sistema nervoso parestesia, ipoestesia, agitazione, insonnia,
vasodilatazione, capogiro, ansia
disgeusia neuropatia periferica, paralisi del nervo facciale5 neuropatia dei nervi cranici, perdita di altri sensi5
Patologie dell’occhio disturbo della lacrimazione,
congiuntivite
perdita severa della vista5
Patologie dell’orecchio e del
labirinto
Tinnito, dolore all’orecchio perdita dell’udito5
Patologie cardiache +infarto
miocardico4 e 6, aritmia,
+fibrillazione
atriale, tachicardia,
+patologie
cardiaci
+insufficienza
ventricolare sinistra,
+tachicardia
sopraventricolare
,
+tachicardia
ventricolare,
+angina,
+ischemia
miocardica, bradicardia
patologie cardiache severe4 e 6 insufficienza cardiaca4 e 6
Patologie vascolari ipertensione, ipotensione ortostatica, ipotensione vasculite (soprattutto cutanea), vasculite leucocitoclastic
a
Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche broncospasmo 4, malattia respiratoria, dolore toracico, dispnea, tosse
aumentata, rinite
asma, bronchiolite obliterante, malattia polmonari,
ipossia
malattia polmonare interstiziale7 insufficienza respiratoria4 infiltrazione polmonare
Patologie gastrointestinali nausea vomito, diarrea, dolore addominale, disfagia, stomatite, stipsi, dispepsia, anoressia,
irritazione della gola
dilatazione addominale perforazione gastro- intestinale7
Classificazione per sistemi e organi secondo
MedDRA
Molto comune Comune Non comune Raro Molto raro Non nota8
Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo prurito, eruzione cutanea,
+alopecia
orticaria, sudorazione, sudorazioni notturne,
+patologie
della cute
reazioni cutanee bollose severe, sindrome di Stevens- Johnson, necrolisi epidermica tossica
(sindrome di Lyell)7
Patologie del sistema muscoloscheletric o e del tessuto
connettivo
ipertonia, mialgia, artralgia, dolore dorsale , dolore
al collo, dolore
Patologie renali e
urinarie
insufficienza
renale4
Patologie generali e condizioni relative alla sede di somministrazione febbre, brividi, astenia, cefalea dolore tumorale, rossore, malessere, sindrome da freddo,
+stanchezza,
+tremori,
+insufficienza
multiorgano4
dolore in sede di infusione
Esami diagnostici IgG diminuite

Per ciascuna voce, la frequenza si è basata sulle reazioni di qualsiasi grado (da lieve a severo) ad eccezione delle voci contrassegnate con "+" dove la frequenza si è basata solo sulle reazioni severe (≥ grado 3 secondo i criteri di tossicità comuni NCI). È riportata solo la frequenza più elevata osservata negli studi.

1 Include riattivazione e infezioni primarie; frequenza basata sul regime R-FC nella LLC recidiva/refrattaria.

2 Vedere anche la sottostante sezione “Infezioni”.

3 Vedere anche la sottostante sezione “Reazioni avverse ematologiche”.

4 Vedere anche la sottostante sezione relativa alle reazioni avverse correlate all’infusione. Raramente riportati casi fatali.

5 Segni e sintomi di neuropatia dei nervi cranici. Si è manifestata in tempi diversi fino a vari mesi dal completamento della terapia con rituximab.

6 Osservate soprattutto in pazienti con precedenti patologie cardiache e/o chemioterapia cardiotossica e sono state soprattutto associate con reazioni correlate all’infusione.

7 Inclusi casi fatali.

I seguenti termini sono stati riportati come eventi avversi durante gli studi clinici; tuttavia, sono stati riportati con un’incidenza simile o inferiore nei bracci rituximab rispetto ai bracci di controllo: ematotossicità, infezione neutropenica, infezione delle vie urinarie, disturbo sensoriale, piressia.

Segni e sintomi caratteristici di una reazione correlata a infusione sono stati osservati in studi clinici in più del 50 % dei pazienti e sono stati osservati soprattutto durante la prima infusione, generalmente nelle prime due ore. Questi sintomi comprendono soprattutto febbre, brividi e brividi febbrili. Altri sintomi includono rossore, angioedema, broncospasmo, vomito, nausea, orticaria/eruzione cutanea, stanchezza, cefalea, irritazione della gola, rinite, prurito, dolore, tachicardia, ipertensione, ipotensione, dispnea, dispepsia, astenia e sintomi della sindrome da lisi tumorale. Reazioni severe correlate a infusione (come broncospasmo, ipotensione) si sono verificate con frequenza fino al 12 % dei casi.

In alcuni casi, ulteriori reazioni osservate sono state infarto miocardico, fibrillazione atriale, edema polmonare e trombocitopenia acuta reversibile. Esacerbazione di condizioni cardiache preesistenti come angina pectoris o insufficienza cardiaca congestizia oppure patologie cardiache severe (insufficienza cardiaca, infarto miocardico, fibrillazione atriale), edema polmonare, insufficienza multiorgano, sindrome da lisi tumorale, sindrome da rilascio di citochine, insufficienza renale e insufficienza respiratoria sono state osservate con una frequenza inferiore o sconosciuta. L’incidenza di sintomi correlati a infusione è diminuita sostanzialmente con le infusioni successive ed è < 1 % dei pazienti dall’ottavo ciclo di trattamento contenente rituximab.

Descrizione di una selezione di reazioni avverse

Infezioni

Rituximab induce deplezione delle cellule B nel 70-80 % circa dei pazienti, ma questo evento è stato associato ad una diminuzione delle immunoglobuline sieriche solo in una minoranza di pazienti.

In studi randomizzati, infezioni localizzate da candida, come da Herpes zoster, sono state osservate con una più elevata incidenza nel braccio con rituximab. Infezioni severe sono state osservate nel 4 % circa dei pazienti trattati con rituximab in monoterapia. Frequenze più elevate di tutte le infezioni, incluse infezioni di grado 3 o 4, sono state osservate durante il trattamento di mantenimento con rituximab della durata di due anni se confrontate con il gruppo di controllo. Nel periodo di trattamento della durata di due anni, in termini di infezioni osservate, non si è verificata tossicità cumulativa, . In aggiunta, durante il trattamento con rituximab sono state osservate altre infezioni virali gravi, sia nuove, che riattivate o esacerbate, alcune delle quali sono state fatali. La maggior parte dei pazienti aveva ricevuto rituximab in associazione con chemioterapia o come parte di un trapianto di cellule staminali ematopoietiche. Esempi di queste infezioni virali gravi sono le infezioni causate da virus herpetici (Citomegalovirus, Virus Varicella-Zoster e Virus dell’Herpes Simplex), JC virus (leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML)) e virus dell’epatite C. Durante gli studi clinici sono stati anche osservati casi di PML ad esito fatale che si sono verificati dopo la progressione della malattia e il ritrattamento. Sono stati osservati casi di riattivazione di epatite B, la maggior parte dei quali si sono verificati in pazienti che hanno ricevuto rituximab in associazione con chemioterapia citotossica. In pazienti con LLC recidivante/refrattaria, l’incidenza di infezione di epatite B di grado 3/4 (riattivazione e infezione primaria) è stata del 2 % in R-FC vs 0 % in FC. In pazienti con sarcoma di Kaposi preesistente, esposti a rituximab, si è osservata progressione del sarcoma di Kaposi. Questi casi si sono verificati con indicazioni non approvate e la maggior parte dei pazienti erano HIV positivi.

Reazioni avverse ematologiche

Negli studi clinici con impiego di rituximab in monoterapia somministrato per 4 settimane, in una minoranza di pazienti si sono manifestate anomalie ematologiche che sono state generalmente lievi e reversibili. Neutropenia severa (grado 3/4) è stata osservata nel 4,2 % dei pazienti, anemia nell’1,1 % e trombocitopenia nell’1,7 % dei pazienti. Durante il trattamento di mantenimento con rituximab, della durata di due anni, leucopenia (5 % vs 2 %, grado 3/4) e neutropenia (10 % vs 4 %, grado 3/4), sono state osservate con un’incidenza più elevata quando confrontata con il gruppo di controllo.

L’incidenza di trombocitopenia è stata bassa (< 1 %, grado 3/4) e non è stata differente tra i bracci di trattamento.

Durante il trattamento negli studi con rituximab in associazione con chemioterapia, sono state osservate leucopenia di grado 3/4 (R-CHOP 88 % vs CHOP 79 %, R-FC 23 % vs FC 12 %), neutropenia (R-CVP 24 % vs CVP 14 %; R-CHOP 97 % vs CHOP 88 %, R-FC 30 % vs FC 19 % nella LLC precedentemente non trattata), pancitopenia (R-FC 3 % vs FC 1 % nella LLC precedentemente non trattata), generalmente con frequenze più elevate, quando confrontate con chemioterapia da sola. Comunque, la più elevata incidenza di neutropenia in pazienti trattati con rituximab e chemioterapia, non è stata associata ad una incidenza più alta di infezioni e infestazioni, se confrontata con pazienti trattati con sola chemioterapia. Studi sulla LLC precedentemente non trattata recidivante/refrattaria, hanno stabilito che nel 25 % dei pazienti trattati con R-FC la neutropenia è stata prolungata (definita come conta dei granulociti neutrofili inferiore a lx109/l tra il giorno 24 e il giorno 42 dopo l’ultima dose) o si è manifestata con esordio tardivo (definito come conta dei granulociti neutrofili inferiore a lx109/l oltre il giorno 42 dopo l’ultima dose, nei pazienti che non avevano una precedente neutropenia prolungata o che avevano recuperato prima del giorno 42), dopo il trattamento con rituximab e FC. Non sono state osservate differenze nell’incidenza di anemia. Sono stati riportati alcuni casi di neutropenia tardiva che si sono verificati più di quattro settimane dopo l’ultima infusione di rituximab. Nello studio di prima linea sulla LLC, i pazienti nello stadio C di Binet hanno manifestato più eventi avversi nel braccio R-FC rispetto al braccio FC (R-FC 83 % vs FC 71 %). Nello studio sulla LLC recidiva/refrattaria, è stata riportata trombocitopenia di grado 3/4 nell’11 % dei pazienti nel gruppo R- FC vs il 9 % dei pazienti nel gruppo FC.

Negli studi con rituximab in pazienti con macroglobulinemia di Waldestrom, sono stati osservati aumenti transitori dei livelli sierici di IgM dopo l’inizio del trattamento, i quali possono essere associati con iperviscosità e sintomi correlati. L’aumento transitorio di IgM generalmente ritorna almeno al livello basale entro 4 mesi.

Reazioni avverse cardiovascolari

Negli studi clinici con rituximab in monoterapia, sono state osservate reazioni cardiovascolari nel 18,8 % dei pazienti con ipotensione e ipertensione quali eventi più frequentemente segnalati. Durante l’infusione sono stati osservati casi di aritmia di grado 3 o 4 (incluse tachicardia ventricolare e sopraventricolare) e angina pectoris. Durante il trattamento di mantenimento, l’incidenza di disordini cardiaci di grado 3/4 è stata paragonabile tra i pazienti trattati con rituximab e il gruppo di controllo. Eventi cardiaci sono stati osservati come eventi avversi seri (inclusa la fibrillazione atriale, l’infarto miocardico, l’insufficienza ventricolare sinistra, l’ischemia miocardica) nel 3 % dei pazienti trattati con rituximab in confronto a < 1 % del gruppo di controllo. Negli studi di valutazione di rituximab in associazione con chemioterapia, l’incidenza di aritmie cardiache di grado 3 e 4, soprattutto aritmie sopraventricolari come tachicardia e flutter/fibrillazione atriale, è stata più elevata nel gruppo R-CHOP (14 pazienti, 6,9 %) se confrontato con il gruppo CHOP (3 pazienti, 1,5 %). Tutte queste aritmie si sono verificate nel contesto dell’infusione di rituximab o sono state associate con condizioni predisponenti quali febbre, infezione, infarto miocardico acuto o patologia respiratoria e cardiovascolare preesistente. Non è stata osservata differenza tra il gruppo R-CHOP e CHOP in termini di incidenza di altri eventi cardiaci di grado 3 e 4, inclusi l’insufficienza cardiaca, la malattia del miocardio e le manifestazioni di malattia coronarica. Nella LLC, l’incidenza globale di patologie cardiache di grado 3 o 4 è stata bassa sia nello studio di prima linea (4 % R-FC, 3 % FC) che nello studio sulla recidiva/refrattaria (4 % R-FC, 4 % FC).

Apparato respiratorio

Sono stati osservati casi di malattia polmonare interstiziale, alcuni con esito fatale.

Patologie neurologiche

Durante il periodo di trattamento (fase della terapia di induzione costituita da R-CHOP per un massimo di otto cicli), quattro pazienti (2 %) trattati con R-CHOP, tutti con fattori di rischio cardiovascolare, hanno manifestato accidenti tromboembolici cerebrovascolari durante il primo ciclo di trattamento. Non c’è stata differenza tra i gruppi di trattamento in termini di incidenza di altri eventi tromboembolici. Al contrario, tre pazienti (1,5 %) hanno manifestato eventi cerebrovascolari nel gruppo CHOP, i quali si sono tutti manifestati durante il periodo di osservazione (follow-up). Nella LLC, l’incidenza globale di disordini del sistema nervoso di grado 3 o 4 è stata bassa sia nello studio di prima linea (4 % R-FC, 4 % FC) che nello studio sulla recidiva/refrattaria (3 % R-FC, 3 % FC).

Sono stati osservati casi di sindrome da encefalopatica posteriore reversibile (PRES) / sindrome della leucoencefalopatia posteriore reversibile (RPLS). I segni e i sintomi includevano disturbo visivo, cefalea, crisi convulsive e alterazioni dello stato mentale, con o senza ipertensione associata. Una diagnosi di PRES/RPLS, richiede conferma con imaging cerebrale. I casi osservati hanno riconosciuto fattori di rischio per PRES/RPLS, inclusi il concomitante stato di malattia preesistente del paziente, ipertensione, terapia immunosoppressiva e/o chemioterapia.

Patologie gastrointestinali

In pazienti che ricevevano rituximab per il trattamento di linfoma non-Hodgkin, è’ stata osservata perforazione gastrointestinale ch,e in alcuni casi, ha portato a morte. Nella maggior parte di questi casi, rituximab era somministrato con la chemioterapia.

Livelli di IgG

Nello studio clinico che ha valutato rituximab nel trattamento di mantenimento del linfoma follicolare recidivante/refrattario, dopo il trattamento di induzione, la mediana dei livelli di IgG è stata sotto il limite inferiore di normalità (LLN) (< 7 g/l), sia nel gruppo di controllo, che nel gruppo rituximab. Nel gruppo di controllo, la mediana dei livelli di IgG è aumentata successivamente sopra il LLN, ma è rimasta costante nel gruppo rituximab. Nei due anni del periodo di trattamento, la percentuale di pazienti con livelli di IgG sotto il LLN è stata del 60 % circa nel gruppo rituximab, mentre è diminuita nel gruppo di controllo (36 % dopo due anni).

Nei pazienti pediatrici trattati con rituximab è stato osservato un piccolo numero di casi spontanei e di letteratura riferiti a ipogammaglobulinemia, in alcuni casi severi, e che hanno richiesto una terapia sostitutiva con immunoglobuline a lungo termine. Le conseguenze della deplezione a lungo termine delle cellule B nei pazienti pediatrici non sono note.

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

Sono stati segnalati, molto raramente, casi di necrolisi epidermica tossica (sindrome di Lyell) e sindrome di Stevens-Johnson, alcuni ad esito fatale.

Sottopopolazioni di pazienti – rituximab in monoterapia

Anziani (≥ 65 anni):

L’incidenza delle ADR di tutti i gradi e di grado 3/4 è stata simile nei pazienti anziani rispetto a pazienti più giovani (< 65 anni).

Malattia voluminosa (bulky)

Si è verificata una più elevata incidenza di ADR di grado 3/4 in pazienti con malattia voluminosa (bulky), rispetto a pazienti senza malattia voluminosa (bulky) (25,6 % vs 15,4 %). L’incidenza di ADR di ogni grado è stata simile in questi due gruppi.

Ritrattamento

La percentuale di pazienti che hanno manifestato ADR durante il ritrattamento con ulteriori cicli di rituximab è stata simile alla percentuale di pazienti che hanno manifestato ADR durante l’esposizione iniziale (ADR di ogni grado e di grado 3/4).

Sottopopolazioni di pazienti – Terapia di associazione con rituximab

Anziani (≥ 65 anni)

L’incidenza di eventi avversi di grado 3/4 a livello dell’apparato emolinfopoietico è stata più alta in pazienti anziani se confrontati a pazienti più giovani (< 65 anni), con leucemia linfatica cronica precedentemente non trattata o recidivante/refrattaria.

Esperienza clinica nei pazienti pediatrici con DLBCL/BL/BAL/BLL

Riassunto del profilo di sicurezza

È stato condotto uno studio multicentrico, in aperto, randomizzato, sulla chemioterapia del linfoma di Burkitt (Lymphome Malin B) (LMB), con o senza rituximab, in pazienti pediatrici (di età compresa tra ≥ 6 mesi e < 18 anni) affetti da DLBCL CD20 positivo/BL/BAL/BLL in stadio avanzato, precedentemente non trattato.

Un totale di 309 pazienti pediatrici hanno ricevuto rituximab e sono stati inclusi nella nell’analisi di sicurezza di popolazione. I pazienti pediatrici randomizzati al braccio sottoposto a chemioterapia LMB con rituximab o arruolati nel braccio singolo dello studio, sono stati trattati con rituximab con una dose da 375 mg/m2 di BSA e hanno ricevuto un totale di sei infusioni endovenose di rituximab (due durante ciascuno dei due cicli di induzione e una durante ciascuno dei due cicli di consolidamento dello schema LMB).

Il profilo di sicurezza di rituximab nei pazienti pediatrici (di età compresa tra ≥ 6 mesi e < 18 anni), affetti da DLBCL CD20 positivo/BL/BAL/BLL in stadio avanzato, non trattato in precedenza, è risultato generalmente coerente, in tgermini di tipo, natura e severità, con il profilo di sicurezza noto per i pazienti adulti affetti da LNH e LLC. Rispetto alla sola chemioterapia, l’aggiunta di rituximab al regime chemioterapico ha determinato un aumento del rischio di alcuni eventi, tra cui le infezioni (ivi inclusa sepsi).

Esperienza clinica nell’artrite reumatoide

Riassunto del profilo di sicurezza

Nell’artrite reumatoide, il profilo di sicurezza complessivo di rituximab si basa sui dati provenienti da pazienti trattati in studi clinici e dalla sorveglianza successiva all’immissione in commercio.

In pazienti con artrite reumatoide, da moderata a severa, il profilo di sicurezza di rituximab è riassunto nelle sezioni sottostanti. Negli studi clinici più di 3.100 pazienti hanno ricevuto almeno un ciclo di trattamento e sono stati seguiti per un periodo variabile da 6 mesi a più di 5 anni; circa 2.400 pazienti hanno ricevuto due o più cicli di trattamento con oltre 1.000 pazienti sottoposti a 5 o più cicli. Le informazioni sulla sicurezza raccolte durante l’esperienza succcessiva all’immissione in commercio riflettono il profilo atteso per le reazioni avverse già osservato negli studi clinici per rituximab (vedere paragrafo 4.4).

I pazienti hanno ricevuto 2 dosi da 1.000 mg di rituximab separate da un intervallo di due settimane, in associazione con metotrexato (10-25 mg/settimana). Le infusioni di rituximab sono state somministrate dopo infusione endovenosa di 100 mg di metilprednisolone; i pazienti hanno anche ricevuto un trattamento con prednisone orale per 15 giorni.

Elenco delle reazioni avverse sotto forma di tabella

Le reazioni avverse sono elencate nella tabella 4. La frequenza è definita come molto comune ( 1/10), comune (da ≥ 1/100 a < 1/10), non comune (da ≥ 1/1.000 a < 1/100), raro (da  1/10.000 a < 1/1.000), molto raro (< 1/10.000) e non nota (la frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili). All’interno di ciascuna classe di frequenza, gli effetti indesiderati sono riportati in ordine decrescente di gravità.

Le reazioni avverse più frequenti ritenute dovute all’assunzione di rituximab sono state le IRR. Negli studi clinici, l’incidenza totale di IRR è stata del 23 % con la prima infusione ed è diminuita con le infusioni successive. IRR gravi sono state non comuni (0,5 % dei pazienti) e si presentavano prevalentemente durante il ciclo iniziale. In aggiunta alle reazioni avverse osservate negli studi clinici sull’artrite reumatoide condotti con rituximab, durante l’esperienza successiva all’immissione in commercio, sono state osservate leucoencefalopatia multifocale progressiva (PML) (vedere paragrafo 4.4) e reazione simile alla malattia da siero.

Tabella 4 Riassunto delle reazioni avverse riportate negli studi clinici o durante la sorveglianza successiva all’immissione in commercio, che si sono manifestate nei pazienti con artrite reumatoide che hanno ricevuto rituximab

Classificazione per sistemi e organi
secondo MedDRA
Molto comune Comune Non comune Raro Molto raro Non nota
Infezioni ed Infestazioni infezione delle vie respiratorie superiori,
infezioni delle vie urinarie
bronchiti, sinusiti, gastroenteriti, tinea pedis PML,
riattivazione dell’epatite B
Infezioni virali gravi1
Patologie del sistema emolinfopoietico neutropenia2 neutropenia tardiva3 Reazione simil-malattia da siero
Classificazione per sistemi e organi
secondo MedDRA
Molto comune Comune Non comune Raro Molto raro Non nota
Disturbi del sistema
immunitario
4reazioni
correlate all’infusione (ipertensione, nausea, rash, piressia, prurito, orticaria, irritazione alla gola, vampate, ipotensione, rinite, rigidità, tachicardia, affaticamento, dolore orofaringeo, edema
periferico, eritema)
4reazioni
correlate all’infusione (edema generalizzato, broncospasmo, dispnea, edema laringeo, edema angioneurotico, prurito generalizzato, anafilassi, reazione anafilattoide)
Patologie generali e condizioni relative alla sede di somministrazione
Disturbi del metabolismo e
della nutrizione
ipercolesterolemia
Disturbi
psichiatrici
depressione, ansia
Patologie del sistema nervoso cefalea parestesia, emicrania
vertigini, sciatica
Patologie cardiache angina pectoris, fibrillazione atriale, insufficienza cardiaca, infarto
miocardico
flutter atriale
Patologie gastrointestinali Dispepsia, diarrea, reflusso gastroesofageo, ulcerazione della bocca, dolore
addominale alto
Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo alopecia necrolisi epidermica tossica (sindrome di Lyell), sindrome di
Stevens- Johnson6
Patologie del sistema muscoloscheletrico
e del tessuto connettivo
artralgia / dolore muscoloscheletrico, osteoartrite, borsite
Esami diagnostici ridotti livelli
di IgM 5
ridotti livelli di IgG
5

1 Vedere anche la sezione infezioni di seguito.

2Categoria di frequenza derivante dai valori di laboratorio raccolti nell’ambito del monitoraggio laboratoristico di routine negli studi clinici.

3 Categoria di frequenza derivante dai dati post-marketing.

4 Reazioni che si verificano durante o entro le 24 ore dall’infusione. Vedere anche il sottostante paragrafo sulle reazioni correlate all’infusione. Le IRR possono anche dipendere da ipersensibilità e/o dal meccanismo d’azione.

5 Include osservazioni raccolte nell’ambito del monitoraggio laboratoristico di routine.

6 Include casi fatali.

Cicli ripetuti

Cicli ripetuti di trattamento sono associati ad un profilo di reazioni avverse simile a quello osservato in seguito alla prima esposizione. A seguito della prima esposizione a rituximab, la percentuale di tutte le reazioni avverse era più alta durante i primi 6 mesi e successivamente diminuiva. Questo si verificava soprattutto per le IRR (più frequentemente durante il primo trattamento), l’esacerbazione dell’artrite reumatoide e le infezioni; tutte queste erano più frequenti nei primi 6 mesi di trattamento.

Descrizione di una selezione di reazioni avverse

Reazioni correlate a infusione

Negli studi clinici, dopo il trattamento con rituximab, le reazioni avverse (ADR) più frequenti erano le IRR (vedere tabella 4). Tra i 3.189 pazienti trattati con rituximab, 1.135 (36 %) ha manifestato almeno una IRR con 733/3.189 (23 %) di pazienti che hanno manifestato una IRR successivamente alla prima infusione del primo trattamento con rituximab. L’incidenza delle IRR diminuisce con le infusioni successive. Negli studi clinici, meno dell’1 % (17/3.189) dei pazienti ha manifestato un IRR grave.

Negli studi clinici, secondo i comuni criteri di tossicità (CTC), non ci sono state IRR di grado 4 e nessun caso di morte dovuto a IRR. La proporzione di eventi di grado 3 secondo CTC e le IRR che portavano alla sospensione del trattamento si riduceva nel corso dei trattamenti e risultavano rare dal terzo ciclo in poi. La premedicazione con glucocorticoide per via endovenosa ha ridotto in modo significativo l’incidenza e la gravità delle IRR (vedere paragrafi 4.2 e 4.4). Nella fase successiva all’immissione in commercio, sono stati osservati casi severi di IRR con esito fatale.

In uno studio disegnato per valutare la sicurezza di un’infusione più rapida di rituximab in pazienti affetti da artrite reumatoide, ai pazienti con artrite reumatoide in forma attiva, da moderata a severa, che non avevano manifestato una IRR grave durante o entro le 24 ore successive alla prima infusione studiata, è stato consentito di sottoporsi a un’infusione endovenosa di rituximab della durata di 2 ore. Non sono stati ammessi allo studio i pazienti con anamnesi di grave reazione all’infusione di una terapia biologica per l’artrite reumatoide. L’incidenza, le tipologie e la gravità delle IRR erano coerenti con i dati storici. Non sono state osservate IRR gravi.

Infezioni

L’incidenza globale di infezioni riportata negli studi clinici era di circa 94 su 100 pazienti/anno nel gruppo trattato con Truxima. Le infezioni erano soprattutto da lievi a moderate e riguadavano principalmente infezioni delle vie aeree superiori e delle vie urinarie. L’incidenza delle infezioni gravi o che richiedevano antibiotici per via endovenosa era di circa 4 su 100 pazienti/anno. L’incidenza delle infezioni gravi non ha mostrato alcun aumento significativo in seguito a cicli ripetuti con rituximab. Nel corso degli studi clinici sono state osservate infezioni delle basse vie aeree (inclusa infezione polmonare), con incidenza simile nei gruppi trattati con rituximab rispetto ai gruppi di controllo.

Nell’esperienza post marketing, infezioni virali gravi sono state riportate in pazienti con artrite reumatoide trattati con rituximab.

Casi di leucoencefalopatia multifocale progressiva con esito fatale, sono stati osservati in seguito all’uso di rituximab per il trattamento di patologie autoimmuni. Queste includono l’artrite reumatoide e patologie autoimmuni fuori dall’indicazione approvata (off-label), quali il Lupus Eritematoso Sistemico (LES) e la vasculite.

In pazienti con linfoma non-Hodgkin, che avevano ricevuto rituximab in combinazione con chemioterapia citotossica (vedere linfoma non-Hodgkin), sono stati riportati casi di riattivazione di epatite B. Molto raramente, in pazienti con AR che avevano ricevuto rituximab, sono state anche osservate riattivazioni di infezione da epatite B (vedere paragrafo 4.4).

Reazioni avverse cardiovascolari

Reazioni cardiache gravi sono state osservate con un’incidenza di 1,3 su 100 pazienti/anno tra quelli trattati con rituximab e 1,3 su 100 pazienti/anno nei pazienti trattati con placebo. La proporzione di pazienti con reazioni cardiache (tutte o gravi) non è aumentata nei vari cicli.

Eventi neurologici

Sono stati segnalati casi di sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES)-sindrome della leucoencefalopatia posteriore reversibile (RPLS). Segni e sintomi includevano disturbo visivo, cefalea, crisi convulsive e alterazione dello stato mentale, con o senza ipertensione associata. Una diagnosi di PRES/RPLS richiede la conferma attraverso imaging cerebrale. I casi descritti presentavano fattori di rischio noti per PRES/RPLS, tra cui la malattia preesistente dei pazienti, ipertensione, terapia immunosoppressiva e/o chemioterapia.

Neutropenia

In seguito a trattamento con rituximab sono stati osservati casi di neutropenia, la maggior parte dei quali erano transitori e di intensità lieve o moderata. La neutropenia può manifestarsi diversi mesi dopo la somministrazione di rituximab (vedere paragrafo 4.4).

Negli studi clinici controllati verso placebo, lo 0,94 % (13/382) dei pazienti trattati con rituximab e lo 0,27 % (2/731) dei pazienti trattati con placebo ha sviluppato neutropenia severa.

Nell’esperienza successiva all’immissione in commercio sono stati raramente segnalati eventi neutropenici, inclusa neutropenia ad esordio tardivo severa e persistente, alcuni dei quali sono stati associati ad infezioni fatali.

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

Molto raramente, sono stati segnalati casi di necrolisi epidermica tossica (sindrome di Lyell) e sindrome di Stevens-Johnson, alcuni ad esito fatale.

Anomalie di laboratorio

In pazienti con artrite reumatoide trattati con rituximab è stata osservata ipogammaglobulinemia (IgG o IgM sotto il limite inferiore della norma). Non c’è stato aumento della percentuale di infezioni generali o gravi in seguito a bassi livelli di IgG o IgM (vedere paragrafo 4.4).

Nei pazienti pediatrici trattati con rituximab è stato osservato un piccolo numero di casi spontanei e di letteratura riferiti a ipogammaglobulinemia, in alcuni casi severi e che hanno richiesto una terapia sostitutiva con immunoglobuline a lungo termine. Le conseguenze della deplezione a lungo termine delle cellule B nei pazienti pediatrici non sono note.

Esperienza clinica nella granulomatosi con poliangioite (GPA) e poliangioite microscopica (MPA) Induzione della remissione in pazienti adulti (Studio 1 su GPA/MPA)

Nello Studio 1 su GPA/MPA, 99 pazienti adulti sono stati trattati con rituximab (375 mg/m2, una volta alla settimana per 4 settimane) e glucocorticoidi, per l’induzione della remissione della GPA e MPA (vedere paragrafo 5.1).

Elenco delle reazioni avverse sotto forma di tabella

Le ADR elencate nella tabella 5 rappresentano tutti gli eventi avversi che si sono manifestati con un’incidenza 5 % nel gruppo rituximab e con una frequenza più alta rispetto al gruppo di confronto.

Tabella 5 Reazioni avverse verificatesi a 6 mesi in 5 % dei pazienti che hanno ricevuto rituximab nell’ambito dello Studio 1 su GPA/MPA(Rituximab n=99, con una frequenza più alta rispetto al gruppo di confronto), o durante la sorveglianza post-marketing.

Classificazione per sistemi e organi secondo MedDRA
Reazione avversa
Frequenza
Infezioni ed infestazioni
Classificazione per sistemi e organi secondo MedDRA
Reazione avversa
Frequenza
Infezioni delle vie urinarie 7 %
Bronchite 5 %
Herpes zoster 5 %
Nasofaringite 5 %
Infezioni virali gravi1 non nota
Patologie del sistema
emolinfopoietico
Trombocitopenia 7 %
Disturbi del sistema immunitario
Sindrome da rilascio di citochine 5 %
Disturbi del metabolismo e della nutrizione
Iperkaliemia 5 %
Disturbi psichiatrici
Insonnia 14 %
Patologie del sistema nervoso
Capogiro 10 %
Tremore 10 %
Patologie vascolari
Ipertensione 12 %
Rossore 5 %
Patologie respiratorie, toraciche
e mediastiniche
Tosse 12 %
Dispnea 11 %
Epistassi 11 %
Congestione nasale 6 %
Patologie
gastrointestinali
Diarrea 18 %
Dispepsia 6 %
Stipsi 5 %
Patologie della cute e
del tessuto sottocutaneo
Acne 7 %
Patologie del sistema muscoloscheletrico
e del tessuto connettivo
Spasmi muscolari 18 %
Artralgia 15 %
Dolore dorsale 10 %
Debolezza muscolare 5 %
Dolore muscoloscheletrico 5 %
Dolore agli arti 5 %
Patologie generali e condizioni relative
alla sede di somministrazione
Edema periferico 16 %
Esami diagnostici
Emoglobina ridotta 6 %

1Osservate durante la sorveglianza post-marketing. Vedere anche la sezione infezioni di seguito.

Terapia di mantenimento negli adulti (Studio 2 su GPA/MPA)

Nello Studio 2 su GPA/MPA, un totale di 57 pazienti adulti affetti da GPA e MPA in forma attiva di grado severo sono stati trattati con rituximab per il mantenimento della remissione (vedere paragrafo 5.1).

Tabella 6 Reazioni avverse verificatesi in 5% dei pazienti che hanno ricevuto rituximab, nell’ambito dello Studio 2 su GPA/MPA (Rituximab n=57), e con una frequenza più alta rispetto al gruppo di confronto, o durante la sorveglianza post-marketing.

Classificazione per sistemi e organi secondo MedDRA
Reazione avversa da farmaco1
Frequenza
Infezioni ed infestazioni
Bronchite 14%
Rinite 5%
Patologie generali e condizioni relative alla sede di somministrazione
Piressia 9%
Malattia simil-influenzale 5%
Edema periferico 5%
Patologie gastrointestinali
Diarrea 7%
Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche
Dispnea 9%
Traumatismio, intossicazioni e complicazioni da procedura
Reazioni correlate all’infusione2 12%
1 Osservate durante la sorveglianza post-marketing. Vedere anche la sezione infezioni sotto.
2 Informazioni più dettagliate sulle reazioni correlate all’infusione sono fornite nel paragrafo “Descrizione di

Il profilo di sicurezza complessivo è risultato coerente con quello ben definito di rituximab nelle indicazioni autoimmuni approvate, ivi incluse GPA e MPA. Complessivamente, il 4% dei pazienti nel braccio trattato con rituximab ha manifestato eventi avversi che hanno comportato l’interruzione della terapia. Gli eventi avversi nel braccio trattato con rituximab erano, per la maggior parte, di intensità da lieve a moderata. Nel braccio trattato con rituximab nessun paziente ha sviluppato eventi avversi con esito fatale.

Gli eventi più frequentemente segnalati e considerati reazioni avverse da farmaco sono stati infezioni e reazioni correlate a infusione.

Osservazione (follow-up) a lungo termine (Studio 3 su GPA/MPA)

In uno studio di sicurezza osservazionale, a lungo termine,, 97 pazienti affetti da GPA e MPA hanno ricevuto il trattamento con rituximab (media di 8 infusioni [intervallo da 1 a 28]) fino a un massimo di 4 anni, a discrezione dei rispettivi medici e secondo la loro pratica abituale. Il profilo di sicurezza complessivo è risultato coerente con quello ben definito di rituximab nell’artrite reumatoide, nella GPA e nella MPA, e non sono state segnalate nuove reazioni avverse.

Popolazione pediatrica

Uno studio a braccio singolo, in aperto, è stato condotto su 25 pazienti pediatrici affetti da GPA o MPA in forma attiva di grado severo. Il periodo complessivo dello studio era costituito da una fase d’induzione della remissione della durata di 6 mesi, con un periodo di osservazione (follow-up) della durata minima di 18 mesi e massima complessiva di 4,5 anni. Durante la fase di osservazione (follow- up) rituximab è stato somministrato a discrezione dello sperimentatore (17 su 25 pazienti hanno ricevuto un trattamento aggiuntivo con rituximab). Eera consentito il trattamento concomitante con altre terapie immunosoppressive (vedere paragrafo 5.1).

Le ADR sono state considerate eventi avversi manifestatisi con un’incidenza ≥ 10% e comprendevano: infezioni (17 pazienti [68%] nella fase d’induzione della remissione; 23 pazienti [92%] nel periodo complessivo dello studio), IRR (15 pazienti [60%] nella fase d’induzione della remissione; 17 pazienti [68%] nel periodo complessivo dello studio) e nausea (4 pazienti [16%] nella fase d’induzione della remissione; 5 pazienti [20%] nel periodo complessivo dello studio).

Durante il periodo complessivo dello studio il profilo di sicurezza di rituximab è risultato coerente con quello riportato nel corso della fase d’induzione della remissione.

Il profilo di sicurezza di rituximab, in pazienti pediatrici affetti da GPA o MPA, è risultato coerente per tipologia, natura e severità degli eventi avversi, con quello noto in pazienti adulti per le indicazioni autoimmuni approvate, ivi incluse GPA o MPA nell’adulto.

Descrizione di una selezione di reazioni avverse

Reazioni correlate a infusione

Nello Studio 1 su GPA/MPA (valutazione dell’induzione della remissione patologica in pazienti adulti), le IRR sono state definite come qualsiasi evento avverso verificatosi entro 24 ore dall’infusione e considerato, per la sicurezza, correlato a infusione dallo sperimentatore nella popolazione studiata. Dei 99 pazienti trattati con rituximab, 12 (12%) hanno manifestato almeno una IRR. Tutte le IRR erano di grado 1 o 2 secondo CTC. L’IRR più comune comprendeva la sindrome da rilascio di citochine, rossore, irritazione della gola e tremore. Rituximab è stato somministrato in associazione con glucocorticoidi per via endovenosa che possono ridurre l’incidenza e la severità di tali eventi.

Nello Studio 2 su GPA/MPA (valutazione della terapia di mantenimento in pazienti adulti), 7 su 57 (12%) pazienti del braccio trattato con rituximab hanno manifestato almeno una IRR. L’incidenza dei sintomi indicativi di IRR è risultata maggiore durante o dopo la prima infusione (9%), mentre è diminuita con le infusioni successive (< 4%).

Nello studio clinico condotto su pazienti pediatrici affetti da GPA o MPA, le IRR segnalate sono state prevalentemente osservate con la somministrazione della prima infusione (8 pazienti [32%]) per poi diminuire nel corso del tempo con il numero delle infusioni di rituximab (20% con la seconda infusione, 12% con la terza infusione e 8% con la quarta infusione). I sintomi di IRR riportati con maggiore frequenza durante la fase d’induzione della remissione sono stati: cefalea, eruzione cutanea, rinorrea e piressia (8% per ogni sintomo). I sintomi di IRR osservati sono risultati simili a quelli noti nei pazienti adulti affetti da GPA e MPA, in terapia con rituximab. Le IRR sono state, per la maggior parte, di grado 1 e grado 2, si sono verificate due IRR non gravi di grado 3 e non sono state segnalate IRR di grado 4 o 5. In un paziente è stata riportata una IRR grave di grado 2 (edema generalizzato risoltosi con il trattamento) (vedere paragrafo 4.4).

Infezioni

Nello Studio 1 su GPA/MPA, il tasso complessivo di infezioni è stato di circa 237 per 100 paziente/anno (95 % IC 197-285) per il criterio di valutazione (end-point) primario a 6 mesi. Le infezioni erano prevalentemente da lievi a moderate e consistevano principalmente in infezioni delle vie respiratorie superiori, herpes zoster ed infezioni del tratto urinario. Il tasso di infezioni serie era di circa 25 per 100 paziente/anno.

L’infezione grave più frequentemente segnalata nel gruppo rituximab è stata l’infezione polmonare con una frequenza del 4 %.

Nello Studio 2 su GPA/MPA, 30 pazienti su 57 (53%) del braccio trattato con rituximab hanno manifestato infezioni. L’incidenza di infezioni di qualsiasi grado è risultata simile tra i bracci in trattamento. Le infezioni erano prevalentemente lievi e moderate e quelle più frequentemente segnalate nel braccio trattato con rituximab includevano infezioni delle vie respiratorie superiori, gastroenterite, herpes zoster e infezioni del tratto urinario. L’incidenza di infezioni gravi è risultata simile in entrambi i gruppi di trattamento (circa 12%). L’infezione grave più frequentemente segnalata nel gruppo rituximab è stata la bronchite di intensità lieve o moderata.

Nello studio clinico condotto su pazienti pediatrici affetti da GPA e MPA in fase attiva e di grado severo, le infezioni segnalate sono state per il 91% non gravi e per il 90% da lievi a moderate.

Le infezioni più frequentemente riportate per l’intero periodo dello studio sono state: infezioni delle vie respiratorie superiori (URTI; 48%), influenza (24%), congiuntivite (20%), nasofaringite (20%), infezioni delle basse vie aeree (16%), sinusite (16%), infezione delle vie respiratorie superiori (URTI) virali (16%), infezione auricolare (12%), gastroenterite (12%), faringite (12%) e infezione del tratto urinario (12%). In 7 pazienti (28%) sono state segnalate infezioni gravi che includevano quali eventi avversi ossevati con maggiore frequenza: influenza (2 pazienti [8%]) e infezione delle basse vie aeree (2 pazienti [8%]).

Nella fase post-marketing, infezioni virali gravi sono state riportate in pazienti affetti da GPA e MPA trattati con rituximab.

Neoplasie

Nello Studio 1 su GPA/MPA, negli studi clinici riferiti alla GPA e MPA, nei pazienti trattati con rituximab, l’incidenza di neoplasie era di 2,00 per 100 paziente/anno alla data di chiusura comune dello studio (quando l’ultimo paziente aveva completato il periodo di osservazione (follow-up). Sulla base del rapporto standardizzato di incidenza, l’incidenza di neoplasie sembra essere simile a quanto precedentemente riportato nei pazienti con vasculite ANCA associata.

Nello studio clinico condotto su pazienti pediatrici non sono state segnalate neoplasie maligne con un periodo di osservazione (follow-up) fino a 54 mesi.

Reazioni avverse cardiovascolari

Nello Studio 1 su GPA/MPA, si sono verificati eventi cardiaci con un tasso di circa 273 per 100 paziente/anno (95 % IC 149-470) per il criterio di valutazione (endpoint) primario a 6 mesi. Il tasso di eventi cardiaci seri era di 2,2 per 100 paziente/anno (95 % IC 3-15). L’evento avverso segnalato più frequentemente è stata la tachicardia (4 %) e la fibrillazione atriale (3 %) (vedere paragrafo 4.4).

Eventi neurologici

Nell’ambito delle patologie autoimmuni, sono stati segnalati casi di sindrome da encefalopatia posteriore reversibile (PRES)-sindrome della leucoencefalopatia posteriore reversibile (RPLS). Segni e sintomi includevano disturbo visivo, cefalea, crisi convulsive e alterazione dello stato mentale, con o senza ipertensione associata. Una diagnosi di PRES/RPLS richiede la conferma attraverso imaging cerebrale. I casi descritti presentavano fattori di rischio noti per PRES/RPLS, tra cui la malattia preesistente dei pazienti, ipertensione, terapia immunosoppressiva e/o chemioterapia.

Riattivazione dell’epatite B

In pazienti affetti da granulomatosi con poliangioite e poliangioite microscopica, in trattamento con rituximab, nella fase successiva all’immissione in commercio è stato segnalato un piccolo numero di casi di riattivazione di epatite B, alcuni ad esito fatale, .

Ipogammaglobulinemia

In pazienti adulti e pediatrici affetti da GPA e MPA, in trattamento con rituximab, è stata osservata ipogammaglobulinemia (IgA, IgG o IgM al di sotto del limite inferiore di normalità).

Nello Studio 1 su GPA/MPA, a 6 mesi, gruppo rituximab, il 27 %, 58 % e 51 % dei pazienti con livelli normali di immunoglobuline al basale, avevano bassi livelli di IgA, IgG e IgM, rispettivamente, rispetto al 25 %, 50 % e 46 % del gruppo trattato con ciclofosfamide. Dopo lo sviluppo di bassi livelli di IgA, IgG o IgM non è stato osservato alcun incremento del tasso di infezioni complessive o di infezioni gravi.

Nello Studio 2 su GPA/MPA, non sono state osservate differenze clinicamente significative tra i due bracci di trattamento, né riduzioni dei livelli totali di immunoglobuline (IgG, IgM o IgA) per l’intera durata dello stesso.

Durante tutto il periodo dello studio clinico condotto su pazienti pediatrici, 3 su 25 (12%) pazienti hanno manifestato un evento di ipogammaglobulinemia e 18 pazienti (72%) presentavano un abbassamento prolungato (definito come concentrazioni di Ig al di sotto del limite inferiore di normalità per almeno 4 mesi) dei livelli di IgG (di questi, 15 pazienti presentavano anche un abbassamento prolungato dei livelli di IgM). Tre pazienti sono stati trattati con immunoglobuline per via endovenosa (Ig e.v.). Sulla base dei dati limitati disponibili non è possibile trarre solide conclusioni in merito al fatto che l’abbassamento prolungato dei livelli di IgG e IgM abbia comportato un incremento del rischio di infezioni gravi in questi pazienti. Le conseguenze della deplezione a lungo termine delle cellule B nei pazienti pediatrici non sono note.

Neutropenia

Nello Studio 1 su GPA/MPA, il 24 % dei pazienti nel gruppo rituximab (singolo ciclo) e il 23 % dei pazienti nel gruppo ciclofosfamide hanno sviluppato neutropenia di grado 3 o superiore secondo CTC. La neutropenia non è stata associata ad un osservato incremento di infezioni serie nei pazienti trattati con rituximab. .

Nello Studio 2 su GPA/MPA, l’incidenza di neutropenia di qualsiasi grado è risultata pari allo 0% per i pazienti trattati con rituxiamb rispetto al 5% per i pazienti trattati con azatioprina.

Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo

Molto raramente, sono stati osservati episodi di necrolisi epidermica tossica (sindrome di Lyell) e sindrome di Stevens-Johnson, alcuni con esito fatale.

Esperienza clinica nel pemfigo volgare

Riassunto del profilo di sicurezza nell’ambito dello Studio 1 (ML22196) e dello Studio 2 (WA29330) su PV In uno studio clinico di fase III, randomizzato, controllato, multicentrico e in aperto, condotto su pazienti affetti da pemfigo, di cui 38 con pemfigo volgare (Studio 1 su PV), è stato valutato il profilo di sicurezza di rituximab in associazione con terapia, a breve termine, di glucocorticoidi a basso dosaggio, , I pazienti, randomizzati al gruppo rituximab, hanno ricevuto un’infusione endovenosa iniziale di 1000 mg il giorno 1 e una seconda infusione endovenosa di 1000 mg il giorno 15. La somministrazione per via endovenosa delle dosi di mantenimento da 500 mg è avvenuta al mese 12 e 18. Al momento della ricaduta i pazienti potevano essere trattati con un’infusione endovenosa di 1000 mg (vedere paragrafo 5.1).

Nello Studio 2 su PV, randomizzato, in doppio cieco, con doppia simulazione, controllato verso trattamento attivo e multicentrico, che ha valutato l’efficacia e la sicurezza di rituximab rispetto a micofenolato mofetile (MMF), in pazienti affetti da pemfigo volgare di grado da moderato a severo, per i quali è stata necessaria la somministrazione di corticosteroidi orali, 67 soggetti con pemfigo volgare hanno ricevuto il trattamento con rituximab (infusione endovenosa iniziale da 1000 mg il Giorno 1 dello studio e seconda infusione endovenosa da 1000 mg il Giorno 15 dello studio, ripetute alle Settimane 24 e 26) per un periodo massimo di 52 settimane (vedere paragrafo 5.1).

In pazienti affetti da pemfigo volgare, il profilo di sicurezza di rituximab è risultato coerente con quello stabilito per altre indicazioni autoimmuni approvate.

Elenco delle reazioni avverse sotto forma di tabella per lo Studio 1 e lo Studio 2 su PV

Le reazioni avverse emerse nello Studio 1 e nello Studio 2 su PV sono riportate nella tabella 7. Nello Studio 1 su PV, le ADR sono state definite come eventi avversi che si sono verificati con un tasso  5% nei pazienti affetti da pemfigo volgare trattati con rituximab, con una differenza assoluta  2% in termini di incidenza tra il gruppo trattato con rituximab e il gruppo trattato con prednisone a dose standard fino al mese 24. Nello Studio 1 nessun paziente ha dovuto interrompere la terapia a causa di una ADR. Nello Studio 2 su PV, le ADR sono state definite come eventi avversi che si sono manifestati in  5% dei pazienti del braccio rituximab e che sono stati valutati come correlati al trattamento.

Tabella 7 Reazioni avverse manifestatesi nei pazienti affetti da pemfigo volgare trattati con rituximab, nell’ambito dello Studio 1 (fino al Mese 24) e dello Studio 2 (fino alla Settimana 52) su PV, o durante la sorveglianza post-marketing

Classificazione per sistemi e organi secondo MedDRA Molto comune Comune Non nota
Infezioni ed infestazioni Infezione delle vie respiratorie superiori Infezioni da Herpes virus Herpes zoster
Herpes orale Congiuntivite Nasofaringite Candidiasi orale
Infezioni del tratto urinario
Infezioni virali gravi1
Tumori benigni, maligni e non specificati (incl cisti e polipi) Papilloma della cute
Disturbi psichiatrici Disturbo depressivo persistente Depressione maggiore Irritabilità
Patologie del sistema nervoso Cefalea Capogiro
Patologie cardiache Tachicardia
Patologie gastrointestinali Dolore addominale superiore
Patologie della cute e del tessuto sottocutaneo Alopecia Prurito Orticaria
Patologie della cute
Patologie del sistema muscoloscheletrico, del tessuto
connettivo e delle ossa
Dolore muscoloscheletrico Artralgia
Dolore dorsale
Patologie generali e condizioni relative alla sede di somministrazione Stanchezza Astenia Piressia
Traumatismo, intossicazioni e complicazioni da procedura Reazioni correlate all’infusione2
1Osservate durante la sorveglianza post-marketing. Vedere anche la sezione infezioni sotto.
2 Per lo Studio 1 su PV le IRR hanno incluso i sintomi raccolti in occasione della visita successiva prevista dopo ogni infusione e gli eventi avversi verificatisi il giorno dell’infusione o un giorno dopo la stessa. Per lo Studio 1 su PV i sintomi/termini preferiti associati alle IRR più frequentemente riportati sono stati cefalea, brividi, ipertensione, nausea, astenia e dolore.
Per lo Studio 2 su PV i sintomi/termini preferiti associati alle IRR più frequentemente riportati sono stati dispnea, eritema, iperidrosi, rossore/vampate di calore, ipotensione/bassa pressione arteriosa e eruzione cutganea/eruzione cutanea pruriginosa.

Descrizione di una selezione di reazioni avverse

Reazioni correlate a infusione

Nello Studio 1 su PV, le reazioni correlate all’infusione (IRR) sono state comuni (58%) e quasi tutte di intensità da lieve a moderata. La percentuale di pazienti che ha manifestato una IRR è stata pari al 29% (11 pazienti), 40% (15 pazienti), 13% (5 pazienti) e 10% (4 pazienti) a seguito, rispettivamente, della prima, seconda, terza e quarta infusione. Nessun paziente ha dovuto interrompere la terapia a causa di una IRR. La tipologia e la gravità dei sintomi di IRR sono risultate simili a quelle osservate nei pazienti affetti da artrite reumatoide e granulomatosi con poliangioite/poliangioite microscopica.

Nello Studio 2 su PV, le IRR si sono manifestate prevalentemente in occasione della prima infusione e la loro frequenza è diminuita con le infusioni successive: il 17,9%, il 4,5%, il 3% e il 3% dei pazienti ha manifestato IRR in occasione, rispettivamente, della prima, seconda, terza e quarta infusione. In 11 su 15 pazienti che hanno sviluppato almeno una IRR, le reazioni correlate a infusione sono risultate di grado 1 o 2. In 4 su 15 pazienti sono state segnalate IRR di grado ≥3 che hanno comportato l’interruzione della terapia con rituximab; 3 su 4 pazienti hanno manifestato IRR gravi (potenzialmente letali). Le IRR gravi si sono verificate in occasione della prima (2 pazienti) o della seconda (1 paziente) infusione e si sono risolte con la somministrazione di un trattamento sintomatico.

Infezioni

Nello Studio 1 su PV,14 pazienti (37%) nel gruppo rituximab hanno manifestato infezioni correlate al trattamento rispetto a 15 pazienti (42%) nel gruppo prednisone con dose standard. Le infezioni più frequentemente segnalate nel gruppo rituximab sono state infezioni da Herpes simplex e Herpes zoster, bronchite, infezioni delle vie urinarie, infezione micotica e congiuntivite. Tre pazienti (8%) nel gruppo rituximab hanno manifestato, in totale, 5 infezioni gravi (polmonite da Pneumocystis jirovecii, trombosi infettiva, discite intervertebrale, infezione ai polmoni, sepsi stafilococcia) e un paziente (3%) nel gruppo prednisone a dose standard, ha sviluppato un’infezione grave (polmonite da Pneumocystis jirovecii).

Nello Studio 2 su PV, 42 pazienti (62,7%) nel braccio rituximab hanno manifestato infezioni. Le infezioni più frequentemente segnalate nel gruppo rituximab sono state infezioni delle vie respiratorie superiori, nasofaringite, candidiasi orale e infezioni delle vie urinarie. Sei pazienti (9%) nel braccio rituximab hanno sviluppato infezioni gravi.

Nella fase post-marketing, infezioni virali gravi sono state riportate in pazienti affetti da pemfigo volgare trattati con rituximab.

Anomalie di laboratorio

Nello Studio 2 su PV, nel braccio rituximab, dopo l’infusione, sono state più frequentemente osservate riduzioni transitorie della conta linfocitaria, determinate dalla diminuzione delle popolazioni di cellule T periferiche, e una riduzione transitoria dei livelli di fosforo . Tali eventi sono stati ritenuti indotti dall’infusione endovenosa di metilprednisolone somministrata come premedicazione.

Sebbene nello Studio 2 su PV sia stata comunemente osservata una riduzione dei livelli di IgG e molto comunemente una riduzione dei livelli di IgM, dopo lo sviluppo di bassi livelli di IgG o IgM non è stata riscontrata alcuna evidenza di aumento del rischio di infezioni gravi.

Segnalazione delle reazioni avverse sospette

La segnalazione delle reazioni avverse sospette che si verificano dopo l’autorizzazione del medicinale è importante, in quanto permette un monitoraggio continuo del rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesto di segnalare qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione riportato nell’allegato V.

 

04.9 Sovradosaggio

Indice

Dagli studi clinici condotti sull’uomo è disponibile una limitata esperienza con dosi superiori a quella approvata per la formulazione endovenosa di rituximab. La più alta dose di rituximab per via endovenosa testata finora sull’uomo è 5.000 mg (2250 mg/m2), sperimentata in uno studio con aumento scalare della dose, in pazienti affetti da leucemia linfatica cronica. Non sono stati identificati ulteriori segnali di sicurezza.

I pazienti che manifestano sovradosaggio devono interrompere immediatamente l’infusione ed essere attentamente monitorati.

Successivamente alla immissione in commercio, sono stati riportati cinque casi di sovradosaggio di rituximab. Tre di questi casi non hanno riportato eventi avversi. I due eventi avversi che sono stati riportati erano sintomi simil-influenzali con una dose di 1,8 g di rituximab e insufficienza respiratoria ad esito fatale con una dose da 2 g di rituximab.

 

05.0 PROPRIETÀ FARMACOLOGICHE

05.1 Proprietà farmacodinamiche

Indice

Categoria farmacoterapeutica: agenti antineoplastici, anticorpi monoclonali, codice ATC: L01FA01 Truxima è un medicinale biosimilare. Informazioni più dettagliate sono disponibili sul sito web della Agenzia europea dei medicinali: http://www.ema.europa.eu.

Rituximab si lega in modo specifico all’antigene transmembranico CD20, una fosfoproteina non glicosilata, che si trova sui linfociti pre-B e sui linfociti B maturi. L’antigene viene espresso su più del 95 % di tutti i linfomi non-Hodgkin a cellule B (NHLs).

Il CD20 si ritrova nelle cellule B normali e neoplastiche, ma non sulle cellule staminali emopoietiche, sulle cellule pro-B, sulle plasmacellule normali o su altri tessuti normali. L’antigene non viene internalizzato dopo legame anticorpale e non viene diffuso dalla superficie cellulare. Il CD20 non circola nel sangue come antigene libero e quindi non compete con il legame degli anticorpi.

Il dominio Fab di rituximab si lega all’antigene CD20 sui linfociti B e il dominio Fc può attivare le funzioni effettrici del sistema immunitario con lo scopo di mediare la lisi delle cellule B. I meccanismi possibili della lisi cellulare mediata dall’effettore comprendono la citotossicità complemento- dipendente (CDC) attraverso il legame con il C1q e la citotossicità cellulare anticorpo- dipendente (ADCC) mediata da uno o più recettori Fcγ sulla superficie di granulociti, macrofagi e cellule NK. E’ stato anche dimostrato che, sui linfociti B, il legame di rituximab con l’antigene CD20 induce la morte cellulare per apoptosi.

Successivamente alla somministrazione della prima dose di rituximab, la conta delle cellule B periferiche è dimunita al di sotto dei valori normali. Nei pazienti trattati per malignità ematologiche, il recupero delle cellule B è iniziato entro 6 mesi dal trattamento e generalmente ritorna ai livelli di normalità entro 12 mesi dopo il completamento della terapia, sebbene in alcuni pazienti il recupero può essere più lungo (con una mediana di recupero di 23 mesi dopo la terapia di induzione). Nei pazienti con artrite reumatoide, nel sangue periferico, la deplezione immediata delle cellule B è stata osservata in seguito a due infusioni da 1.000 mg ciascuna di rituximab, separate da un intervallo di 14- giorni. La conta periferica delle cellule B inizia ad aumentare dalla settimana 24 e segnali di recupero si osservano nella maggior parte dei pazienti dalla settimana 40, sia quando rituximab è somministrato in monoterapia, che quando è somministrato in associazione con metotrexato. Una piccola percentuale di pazienti ha manifestato una deplezione prolungata delle cellule B periferiche per 2 anni o più, dopo l’ultima dose di rituximab. Nei pazienti con GPA o MPA, il numero delle cellule B del sangue periferico è ridotto a < 10 cellule/µl, dopo due infusioni settimanali di rituximab 375 mg/m2, ed è rimasto a questo livello nella maggior parte dei pazienti fino al momento della rilevazione (time point) di 6 mesi. La maggior parte dei pazienti (81 %) ha mostrato segni di ricostituzione delle cellule B con conta > 10 cellule/µl entro 12 mesi, fino all’87 % dei pazienti, entro il mese 18.

Esperienza clinica nel linfoma non-Hodgkin e nella leucemia linfocitica cronica

Linfoma follicolare

Monoterapia

Trattamento iniziale, settimanale per 4 dosi

Nello studio principale, 166 pazienti con NHL recidivante o a basso grado di chemioresistenza o a cellule B follicolari, hanno ricevuto 375 mg/m 2

di rituximab in infusione endovenosa, una volta alla settimana per quattro settimane. Il tasso di risposta complessivo (ORR) nella popolazione valutata secondo l’intenzione a trattare (intent to treat analysis (ITT) è stata del 48 % (IC95 % 41 % – 56 %), con un 6 % di risposte complete (CR) e un 42 % di risposte parziali (PR). Per i pazienti che hanno risposto, la proiezione della mediana del tempo alla progressione (TTP), è stata di 13,0 mesi. In un’analisi per sottogruppi, l’ORR è stata più elevata in pazienti con sottotipi istologici IWF B, C e D, rispetto a quelli con sottotipo istologico IWF A (58 % contro 12 %), in pazienti la cui lesione maggiore era < 5 cm rispetto a quelli con diametro > 7 cm (53 % contro 38 %) e più alta in pazienti con recidiva chemiosensibile rispetto a quelli con recidiva chemioresistente (definita come durata della risposta < 3 mesi) (50 % contro 22 %). Nei pazienti precedentemente trattati con trapianto di midollo osseo autologo (ABMT), l’ORR è stata del 78 % contro il 43 % dei pazienti non precedentemente trattati con ABMT. Età, sesso, grado di linfoma, diagnosi iniziale, presenza o assenza di malattia bulky, LDH normale o elevata, presenza di malattia extranodale, non hanno avuto un effetto statisticamente significativo (test esatto di Fisher) sulla risposta a rituximab. Una correlazione statisticamente significativa è stata identificata tra il tasso di risposta e il coinvolgimento del midollo osseo. Il 40 % dei pazienti con coinvolgimento del midollo osseo ha risposto contro il 59 % dei pazienti senza coinvolgimento del midollo osseo (p = 0,0186). Questo risultato non è stato supportato dall’analisi secondo regressione logistica graduale (stepwise logistic regression) nella quale i seguenti fattori sono stati identificati come fattori prognostici: tipo istologico, positività bcl-2 al basale, resistenza all’ultima chemioterapia e malattia bulky.

Trattamento iniziale, settimanale per 8 dosi

In uno studio multicentrico, a un singolo braccio di trattamento, 37 pazienti con NHL recidivante o chemioresistente, a basso grado o a cellule follicolari B, hanno ricevuto rituximab 375 mg/m2 in infusione endovenosa settimanale per otto dosi. L’ORR è stata del 57 % (Intervallo di confidenza (IC) al 95 %: 41 % – 73 %; CR 14 %, PR 43 %, con una proiezione della mediana del TTP per i pazienti responsivi di 19,4 mesi (intervallo da 5,3 a 38,9 mesi).

Trattamento iniziale, malattia bulky, settimanale per 4 dosi

In una aggregazione (pool) di dati di 3 studi, 39 pazienti con NHL recidivante o chemioresistente, malattia bulky (singola lesione ≥ 10 cm di diametro), a basso grado o a cellule B follicolari, hanno ricevuto rituximab 375 mg/m2 in infusione endovenosa settimanale per quattro dosi. L’ORR è stata del 36 % (IC95 % 21 % – 51 %; CR 3 %, PR 33 %), con una mediana di TTP per i pazienti responsivi di 9,6 mesi (intervallo 4,5-26,8 mesi).

Ritrattamento, settimanale per 4 dosi

In uno studio multicentrico, con un singolo braccio di trattamento, 58 pazienti con NHL recidivante o chemioresistente a basso grado o a cellule B follicolari, che avevano ottenuto una risposta clinica obiettiva ad un precedente ciclo di trattamento con rituximab, sono stati ritrattati con 375 mg/m2 di rituximab, in infusione endovenosa settimanale per quattro dosi. Tre di questi pazienti avevano ricevuto due cicli di rituximab prima di essere arruolati e, cosi, hanno ricevuto un terzo ciclo nello studio. Due pazienti sono stati ritrattati due volte nello studio. Per i 60 ritrattamenti dello studio, la ORR è stata del 38 % (IC95 % 26 % – 51 %; 10 % CR, 28 % PR), con una proiezione della mediana del TTP per i pazienti responsivi di 17,8 mesi (intervallo 5,4-26,6). Questo dato si presenta migliore rispetto al TTP ottenuto dopo il primo ciclo di rituximab (12,4 mesi).

Trattamento iniziale, in combinazione con chemioterapia

In uno studio clinico in aperto, randomizzato, un totale di 322 pazienti con linfoma follicolare, precedentemente non trattati, sono stati randomizzati a ricevere o chemioterapia CVP (ciclofosfamide 750 mg/m2, vincristina 1,4 mg/m2 fino a un massimo di 2 mg il giorno 1, e prednisolone 40 mg/m2/die nei giorni 1-5), ogni 3 settimane per 8 cicli o rituximab 375 mg/m2 in associazione con CVP (R-CVP). Rituximab è stato somministrato il primo giorno di ogni ciclo di trattamento. Un totale di 321 pazienti (162 R-CVP, 159 CVP) hanno ricevuto la terapia e sono stati analizzati per l’efficacia. La mediana del periodo di osservazione (follow-up) dei pazienti era di 53 mesi. R-CVP ha portato a un beneficio significativo rispetto a CVP per l’obiettivo primario (endpoint primario), cioè il tempo per l’insuccesso del trattamento (27 mesi rispetto a 6,6 mesi, p < 0,0001, test dei ranghi logaritimici -log- rank test-). La percentuale di pazienti con risposta tumorale (RC, RCu, RP) è stata significativamente più elevata (p < 0,0001, test del chi-quadrato) nel gruppo R-CVP (80,9 %) rispetto al gruppo CVP (57,2 %). Il trattamento con R-CVP ha prolungato significativamente il tempo alla progressione della malattia o alla morte, se confrontato a CVP, rispettivamente, 33,6 mesi e 14,7 mesi, (p< 0,0001, test dei ranghi logaritmici -log-rank test-). La mediana di durata della risposta è stata di 37,7 mesi nel gruppo R-CVP e di 13,5 mesi nel gruppo CVP (p < 0,0001, test dei ranghi logaritmici -log-rank test-).

Con riferimento alla sopravvivenza globale, la diversità tra i gruppi di trattamento ha evidenziato una differenza clinica significativa (p = 0,029, test dei ranghi logaritmici -log rank test- stratificato per centro): la percentuale di sopravvivenza a 53 mesi è stata 80,9 % per i pazienti nel gruppo R-CVP, in confronto a 71,1 % per i pazienti nel gruppo CVP.

Anche i risultati di altri tre studi randomizzati con impiego di rituximab in associazione con regimi di chemioterapia diversi da CVP (CHOP, MCP, CHVP/Interferone-α), hanno dimostrato miglioramenti significativi in termini di percentuali di risposta, parametri tempo-dipendenti e sopravvivenza complessiva. I risultati più importanti di tutti e quattro gli studi sono riassunti nella tabella 8.

Tabella 8 Descrizione dei risultati più importanti dei quattro studi randomizzati di fase III che, nel linfoma follicolare hanno valutato il beneficio di rituximab con diversi regimi di chemioterapia

Studio Trattamento, N Mediana di FU,
mesi
ORR,
%
CR,
%
Mediana TTF/PFS/ EFS,
mesi
OS
percentuali,
%
M39021 CVP, 159
R-CVP, 162
53 5781 1041 Mediana TTP: 14,7
33,6
p< 0,0001
53-mesi 71,1
80,9
p = 0,029
GLSG’00 CHOP, 205
R-CHOP, 223
18 9096 1720 Mediana TTF: 2,6 anni
Non raggiunta p < 0,001
18-mesi 90
95
p = 0,016
OSHO-39 MCP, 96
R-MCP, 105
47 7592 2550 Mediana PFS: 28,8 Non raggiunta
p < 0,0001
48-mesi 74
87
p = 0,0096
FL2000 CHVP-IFN, 183
R-CHVP-IFN, 175
42 8594 4976 Mediana EFS: 36 Non raggiunta
p < 0,0001
42-mesi 84
91
p = 0,029

EFS – Sopravvivenza libera da eventi

TTP – Tempo alla progressione o alla morte PFS – Sopravvivenza libera da progressione TTF – Tempo per l’insuccesso del trattamento OS percentuali – percentuali di sopravvivenza al tempo dell’analisi

Terapia di mantenimento

Linfoma follicolare non precedentemente trattato

In uno studio prospettico di fase III, in aperto, internazionale, multicentrico, 1.193 pazienti con linfoma follicolare avanzato non precedentemente trattato, hanno ricevuto terapia di induzione con R-CHOP (n = 881), R-CVP (n = 268) o R-FCM (n = 44), in base alla scelta dello sperimentatore. Un totale di 1.078 pazienti hanno risposto alla terapia di induzione, dei quali 1.018 sono stati randomizzati alla terapia di mantenimento con rituximab (n = 505) o del gruppo di controllo (n = 513). I due gruppi di trattamento erano ben bilanciati riguardo le caratteristiche al basale e allo stato di malattia. Il trattamento di mantenimento con rituximab è stato costituito da una singola infusione di rituximab, somministrato alla dose di 375 mg/m2 di superficie corporea, ogni 2 mesi, fino a progressione della malattia o per un periodo massimo di 2 anni.

L’analisi primaria prespecifica è stata condotta a un tempo mediano di osservazione di 25 mesi dalla randomizzazione; In pazienti con linfoma follicolare non precedentemente trattati, la terapia di mantenimento con rituximab ha prodotto un miglioramento clinicamente rilevante e statisticamente significativo dell’obiettivo primario (endpoint primario) della sopravvivenza libera da progressione (PFS) valutata dallo sperimentatore, se confrontata con il gruppo di controllo (tabella 9).

Nell’analisi primaria, un beneficio significativo dato dal trattamento di mantenimento con rituximab è stato osservato anche per gli obiettivi secondari (endpoint secondari) di sopravvivenza libera da eventi (EFS), tempo al successivo trattamento anti-linfoma (TNLT), tempo alla successiva chemioterapia (TNCT) e il tasso di di risposta complessiva (ORR)(tabella 9).

I dati ottenuti dall’osservazione (follow-up) estesa di pazienti nello studio (osservazione –follow-up- mediana di 9 anni) hanno confermato il beneficio a lungo termine della terapia di mantenimento di rituximab in termini di PFS, EFS, TNLT e TNCT (tabella 9).

Tabella 9 Descrizione dei risultati di efficacia di mantenimento con Rituximab vs. gruppo di controllo, all’analisi primaria definita dal protocollo e dopo 9 anni di osservazione (follow-up) mediano (analisi finale)

Analisi primaria
(FU mediano: 25 mesi)
Anali
si finale (FU
Osservazione
ab N=513
Rituxim Osservazione R
Efficacia primaria Sopravvivenza libera da progressione (mediana)
test dei ranghi logaritmici (log-rank) valore di p
Rapporto di rischio relativo (95% IC) riduzione di rischio
NR NR
<0,0001
0,50 (0,39; 0,64)
50%
4,06 anni
<0.0001
0.61 (0,52;
39%
Efficacia secondaria
Sopravvivenza globale (mediana) NR NR NR
test dei ranghi logaritmici (log-rank) valore di p 0,7246 0,7948
rapporto di rischio (hazard ratio) (95% IC) 0,89 (0,45; 1,74) 1.04 (0,77;
riduzione del rischio 11% -6%
Sopravvivenza libera da eventi 38 mesi NR 4.04 anni
(mediana)
Test dei ranghi logaritmici (log-rank) valore di p <0,0001 <0,0001
Rapporto di rischio (hazard ratio) (95% IC) 0,54 (0,43; 0,69) 0,64 (0,54;
riduzione del rischio 46% 36%
TNLT (mediana) NR NR 6,11 anni
Test dei ranghi logaritmici (log-rank) valore di p 0,0003 <0,0001
Rapporto di rischio (hazard ratio) (95% IC) 0,61 (0,46; 0,80) 0,66 (0,55;
riduzione del rischio 39% 34%
TNCT (mediana) NR NR 9.32 anni
test dei ranghi logaritmici (log-rank) valore di p 0,0011 0.0004
Rapporto di rischio (95% IC) 0,60 (0,44; 0,82) 0,71 (0,59;
riduzione di rischio 40% 39%
Percentuale della risposta complessiva* 55% 74% 61%
Test del chi-quadrato valore di p <0,0001 <0,0001
Rischio relativo (odds ratio) (95% IC) 2,33 (1,73; 3,15) 2,43 (1,84;
Risposta completa (CR/CRu) 48% 67% 53%
percentuale *
Test del chi-quadrato valore di p <0,0001 <0,0001
Rischio relativo (odds ratio) (95% IC) 2,21 (1,65; 2,94) 2,34 (1,80;

*al termine del mantenimento/osservazione; risultati dell’analisi finale basati sulla mediana del periodo di osservazione (follow-up) di 73 mesi.

CI: intervallo di confidenza; FU: periodo di osservazione (follow-up); NR: non raggiungibile al tempo del valore clinico limite (cut off); TNCT: tempo al successivo trattamento chemioterapico; TNLT: tempo al successivo trattamento anti- linfoma. NR: non raggiunto al tempo del valore clinico lmite (cut off).

La terapia di mantenimento con rituximab ha fornito un consistente beneficio in tutti i sottogruppi predefiniti testati: sesso (maschi, femmine), età (< 60 anni, >= 60 anni), punteggio FLIPI (≤1, 2 o ≥3), terapia di induzione (R-CHOP, R-CVP o R-FCM) e indipendentemente dalla qualità della risposta alla terapia di induzione (CR, CRu o PR). Analisi esplorative sul beneficio del trattamento di mantenimento hanno mostrato un effetto meno pronunciato nei pazienti anziani (> 70 anni di età), tuttavia le dimensioni del campione erano ridotte.

Linfoma follicolare recidivante/refrattario

In uno studio prospettico, di fase III, in aperto, internazionale, multicentrico, , 465 pazienti con linfoma follicolare recidivante/refrattario, in una prima fase sono stati randomizzati alla terapia di induzione con CHOP (ciclofosfamide, doxorubicina, vincristina e prednisolone; n = 231) o rituximab più CHOP (R-CHOP, n = 234). I due gruppi di trattamento sono stati ben bilanciati riguardo le caratteristiche al basale e lo status della malattia. Un totale di 334 pazienti che, dopo la terapia di induzione, hanno ottenuto una remissione completa o parziale, sono stati randomizzati, in una seconda fase, a terapia di mantenimento con rituximab (n = 167) o in osservazione (n = 167). Il trattamento di mantenimento con rituximab era costituito da una singola infusione di rituximab a 375 mg/m2 di superficie corporea, somministrata ogni 3 mesi, fino alla progressione di malattia o per un periodo massimo di due anni.

L’analisi finale di efficacia ha incluso tutti i pazienti randomizzati in entrambe le parti dello studio. Dopo una mediana del tempo di osservazione di 31 mesi per i pazienti randomizzati nella fase di induzione, R-CHOP ha migliorato significativamente la prognosi di pazienti con linfoma follicolare recidivante/refrattario, se confrontato con CHOP (vedere tabella 10).

Tabella 10 Fase di induzione: descrizione dei risultati di efficacia di CHOP confrontato con R-CHOP (mediana del tempo di osservazione pari a 31 mesi)

CHOP R-CHOP valore p Riduzione del rischio1)
Efficacia primaria
ORR2) CR2)
PR2)
74 %
16 %
58 %
87 %
29 %
58 %
0,0003
0,0005
0,9449
NA NA
NA

1) La stima è stata calcolata con il rapporto di rischio.

2) Ultima risposta tumorale come valutata dallo sperimentatore. Il test statistico “primario” per “risposta” è stato il trend test di CR, rispetto a PR, rispetto a non-risposta (p < 0,0001).

Abbreviazioni: NA, non disponibile; ORR: tasso di risposta complessivo; CR: risposta completa; PR: risposta parziale.

Per i pazienti randomizzati alla fase di mantenimento dello studio, la mediana del tempo di osservazione è stata di 28 mesi dalla randomizzazione per il mantenimento. Il trattamento di mantenimento con rituximab ha portato ad un miglioramento clinico rilevante e statisticamente significativo per quanto riguarda l’obiettivo primario (endpoint primario), il PFS (tempo dalla randomizzazione per il mantenimento fino alla recidiva, progressione di malattia o morte), quando confrontato con la sola osservazione (p < 0,0001 test dei ranghi logaritmici -log-rank test-). La mediana di PFS è stata di 42,2 mesi nel braccio mantenimento con rituximab, rispetto a 14,3 mesi nel braccio in osservazione. Usando l’analisi della regressione di Cox, con il trattamento di mantenimento con rituximab, il rischio di andare incontro a progressione di malattia o morte è stato ridotto del 61 %, rispetto alla sola osservazione (IC al 95 %: 45 % – 72 %). La stima di Kaplan-Meier della percentuale di pazienti liberi da progressione a 12 mesi è stata del 78 % nel gruppo di mantenimento con rituximab, rispetto al 57 % nel gruppo in osservazione. Un’analisi della sopravvivenza complessiva ha confermato il beneficio significativo del mantenimento con rituximab, rispetto all’osservazione (p = 0,0039 test dei ranghi logaritmici -log-rank test-). Il trattamento di mantenimento con rituximab ha ridotto il rischio di morte del 56 % (IC al 95 %: 22 % – 75 %).

Tabella 11 Fase di mantenimento: descrizione dei risultati di efficacia di rituximab rispetto a quelli in osservazione (mediana del tempo di osservazione pari a 28 mesi)

Parametro di efficacia Stima di Kaplan-Meier della mediana del tempo all’evento (mesi) Riduzione del rischio
Osservazione (N = 167) Rituximab (N = 167) Test dei ranghi logaritmici (Log-rank)
valore p
Sopravvivenza libera da progressione (PFS) 14,3 42,2 < 0,0001 61 %
Sopravvivenza complessiva NR NR 0,0039 56 %
Tempo al successivo trattamento anti-linfoma
Sopravvivenza libera da malattiaa
20,1
16,5
38,8
53,7
< 0,0001
0,0003
50 %
67 %
Analisi dei sottogruppi
PFS
CHOP 11,6 37,5 < 0,0001 71 %
R-CHOP 22,1 51,9 0,0071 46 %
CR 14,3 52,8 0,0008 64 %
PR 14,3 37,8 < 0,0001 54 %
OS
CHOP NR NR 0,0348 55 %
R-CHOP NR NR 0,0482 56 %

NR: non raggiunto; a: applicabile solo a pazienti che ottengono una CR Il beneficio del trattamento di mantenimento con rituximab è stato confermato in tutti i sottogruppi analizzati, indipendentemente dal regime di induzione (CHOP o R-CHOP) o dalla qualità della risposta al trattamento di induzione (CR o PR) (tabella 11). Il trattamento di mantenimento con rituximab ha prolungato significativamente la mediana di PFS nei pazienti che hanno risposto alla terapia di induzione CHOP (mediana di PFS pari a 37,5 mesi, rispetto a 11,6 mesi, p< 0,0001), come in quelli che hanno risposto alla terapia di induzione con R-CHOP (mediana di PFS pari a 51,9 mesi, rispetto a 22,1 mesi, p = 0,0071). Sebbene i sottogruppi fossero piccoli, il trattamento di mantenimento con rituximab ha determinato un significativo beneficio in termini di sopravvivenza globale in entrambi i sottogruppi di pazienti, sia quello che ha risposto a CHOP, sia quello che ha risposto a R-CHOP, sebbene sia stato necessario un più lungo periodo di osservazione (follow-up) per confermare questa osservazione.

Linfoma non-Hodgkin diffuso a grandi cellule B, nei pazienti adulti

In uno studio randomizzato, in aperto, un totale di 399 pazienti anziani (età compresa tra 60 e 80 anni) non trattati in precedenza, con linfoma diffuso a grandi cellule B, ha ricevuto cicli standard di chemioterapia CHOP (ciclofosfamide 750 mg/m2, doxorubicina 50 mg/m2, vincristina 1,4 mg/m2, fino ad un massimo di 2 mg somministrati il giorno 1, e prednisolone 40 mg/m2/die, somministrato nei giorni 1-5), ogni 3 settimane per otto cicli, o rituximab 375 mg/m2, in associazione con CHOP (R-CHOP).

Rituximab è stato somministrato il primo giorno del ciclo di trattamento.

L’analisi finale dei dati di efficacia ha incluso tutti i pazienti randomizzati (197 CHOP, 202 R-CHOP) ed ha mostrato una mediana della durata dell’osservazione (follow-up) di circa 31 mesi. I due gruppi di trattamento erano ben bilanciati per quanto riguarda le caratteristiche e lo stato della malattia al basale. L’analisi finale ha confermato che il trattamento con R-CHOP è stato associato ad un miglioramento clinicamente rilevante e statisticamente significativo relativamente alla durata della sopravvivenza libera da eventi (il parametro primario di efficacia; mentre gli eventi erano la morte, recidiva o progressione del linfoma, o il passaggio ad un nuovo trattamento anti-linfoma) (p = 0,0001). La stima di Kaplan-Meier della mediana della durata della sopravvivenza libera da eventi, è stata di 35 mesi nel braccio R-CHOP, comparato con i 13 mesi nel braccio CHOP, rappresentando una riduzione del rischio del 41 %. A 24 mesi, la stima della sopravvivenza complessiva è stata del 68,2 % nel braccio R-CHOP, comparato con il 57,4 % nel braccio CHOP. Una successiva analisi della durata della sopravvivenza complessiva, effettuata ad una mediana della durata dell’osservazione (follow-up) di 60 mesi, ha confermato il beneficio del trattamento R-CHOP sul CHOP (p = 0,0071), rappresentando una riduzione del rischio del 32 %.

L’analisi di tutti i parametri secondari (tasso di risposta, sopravvivenza libera da progressione, sopravvivenza libera da malattia, durata della risposta) ha verificato l’efficacia del trattamento R-CHOP confrontato con CHOP. La tasso di risposta complete dopo 8 cicli è stata del 76,2 % nel gruppo R-CHOP e del 62,4 % nel gruppo CHOP (p = 0,0028). Il rischio di progressione della malattia si è ridotto del 46 % e il rischio di recidiva del 51 %.

In tutti i sottogruppi di pazienti (sesso, età, IPI aggiustato per età, stadio di Ann Arbor, ECOG, β2- microglobulina, LDH, albumina, sintomi B, malattia bulky, siti extranodali, coinvolgimento del midollo osseo), i rapporti di rischio per la sopravvivenza libera da eventi e per sopravvivenza complessiva (R- CHOP confrontato con CHOP), sono stati, rispettivamente, meno di 0,83 e 0,95. R-CHOP è stato associato ad un miglioramento della prognosi sia in pazienti ad alto che a basso rischio, secondo l’IPI aggiustato per età.

Dati di laboratorio clinico

Non sono state osservate risposte da parte dei 67 pazienti sottoposti all’esame per la ricerca degli anticorpi umani antimurini (HAMA). Dei 356 pazienti sottoposti all’esame per la ricerca degli anticorpi farmaco specifici (ADA), l’1,1% (4 pazienti) è risultato positivo.

Leucemia linfocitica cronica

In due studi, in aperto randomizzati, un totale di 817 pazienti con LLC non trattati in precedenza e 552 pazienti con LLC recidivante/refrattaria, sono stati randomizzati a ricevere chemioterapia FC (fludarabina 25 mg/m2, ciclofosfamide 250 mg/m2, nei giorni 1-3), ogni 4 settimane per 6 cicli, o rituximab in associazione con FC (R-FC). Rituximab è stato somministrato al dosaggio di 375 mg/m2 durante il primo ciclo, un giorno prima della chemioterapia, e al dosaggio di 500 mg/m2 il giorno 1 di ogni ciclo di trattamento successivo. I pazienti sono stati esclusi dallo studio sulla LLC recidivante/refrattaria se erano stati precedentemente trattati con anticorpi monoclonali o se erano refrattari (definito come insuccesso nel raggiungere una remissione parziale per almeno 6 mesi) alla fludarabina o a qualsiasi analogo nucleosidico. Un totale di 810 pazienti (403 R-FC, 407 FC) per lo studio di prima linea (tabella 12a e tabella 12b) e 552 pazienti (276 R-FC, 276 FC) per lo studio sulla recidiva/refrattarietà (tabella 13), sono stati analizzati per l’efficacia.

Nello studio di prima linea, dopo una mediana del tempo di osservazione di 48,1 mesi, la mediana della PFS è stata di 55 mesi nel gruppo R-FC e di 33 mesi nel gruppo FC (p < 0,0001, test dei ranghi logaritmici -log-rank test-). L’analisi della sopravvivenza complessiva ha mostrato un beneficio significativo del trattamento con R- FC rispetto alla sola chemioterapia con FC (p = 0,0319, test dei ranghi logaritmici -log-rank test-) (tabella 12a). Nella maggior parte dei sottogruppi dei pazienti analizzati, il beneficio in termini di PFS è stato osservato in modo coerente, secondo il rischio di malattia al basale (nello specifico stadi Binet A-C) (tabella 12b).

Tabella 12a Trattamento di prima linea della leucemia linfocitica cronica

Descrizione dei risultati di efficacia di rituximab più FC vs. FC da sola – mediana del tempo di osservazione pari a 48,1 mesi

Parametro di efficacia Stima di Kaplan-Meier
della mediana del tempo all’evento (mesi)
Riduzione del rischio
FC (N = 409) R-FC (N = 408) Test dei ranghi logaritmici (Log-rank)
valore p
Sopravvivenza libera da progressione (PFS) 32,8 55,3 < 0,0001 45 %
Sopravvivenza complessiva NR NR 0,0319 27 %
Sopravvivenza libera da eventi 31,3 51,8 < 0,0001 44 %
Tasso di risposta (CR, nPR, o PR)
Percentuale di CR
72,6 %
16,9 %
85,8 %
36,0 %
< 0,0001
< 0,0001
n.a.
n.a.
Durata della risposta* 36,2 57,3 < 0,0001 44 %
Sopravvivenza libera da malattia (DFS)** 48,9 60,3 0,0520 31 %
Tempo al successivo trattamento 47,2 69,7 < 0,0001 42 %

Tasso di risposta e percentuale di CR analizzate secondo il test del chi-quadrato. NR: non raggiunto; n.a.: non applicabile.

*: applicabile solo ai pazienti che ottengono una CR, nPR, PR.

**: applicabile solo ai pazienti che ottengono una CR.

Tabella 12b Trattamento di prima linea della leucemia linfocitica cronica

Rapporto di rischio (hazard ratio) della sopravvivenza libera da progressione secondo lo stadio Binet (ITT) – mediana del tempo di osservazione pari a 48,1 mesi

Sopravvivenza libera da progressione (PFS) Numero di pazienti Rapporto di rischio
(Hazard ratio)
(IC al 95 %)
valore p
(test di Wald, non corretto)
FC R-FC
Stadio Binet A 22 18 0,39 (0,15; 0,98) 0,0442
Stadio Binet B 259 263 0,52 (0,41; 0,66) < 0,0001
Stadio Binet C 126 126 0,68 (0,49; 0,95) 0,0224

IC: Intervallo di confidenza

Nello studio sulla recidiva/refrattarietà, la mediana della sopravvivenza libera da progressione (obiettivo primario) è stata di 30,6 mesi nel gruppo R-FC e 20,6 mesi nel gruppo FC (p = 0.0002, test dei ranghi logaritmici -log-rank test-). Il beneficio in termini di PFS è stato osservato in quasi tutti i sottogruppi di pazienti analizzati secondo il rischio di malattia al basale. Nella sopravvivenza complessiva, un lieve, ma non significativo, miglioramento è stato osservato nel braccio R-FC, quando confrontato con il braccio FC.

Tabella 13 Trattamento della leucemia linfocitica cronica recidivante/refrattaria – descrizione dei risultati di efficacia di rituximab più FC vs. sola FC (mediana del tempo di osservazione pari a 25,3 mesi)

Parametri di efficacia Stima di Kaplan-Meier della mediana del tempo all’evento (mesi) Riduzione del rischio
FC (N = 276) R-FC (N = 276) Test dei ranghi logaritmici (Log-Rank)
valore p
Sopravvivenza libera da progressione (PFS) 20,6 30,6 0,0002 35 %
Sopravvivenza complessiva 51,9 NR 0,2874 17 %
Sopravvivenza libera da eventi 19,3 28,7 0,0002 36 %
Tasso di risposta (CR, nPR, o PR)
Percentuale di CR
Durata della risposta * Sopravvivenza libera da malattia (DFS)**
Tempo al successivo trattamento
58,0 %
13,0 %
27,6
42,2
34.2
69,9 %
24,3 %
39,6
39,6
NR
0,0034
0,0007
0,0252
0,8842
0.0024
n.a.
n.a. 31 %
−6 %
35 %

Tasso di risposta e percentuale di CR analizzati secondo il test del chi-quadrato.

*: applicabile solo ai pazienti che ottengono una CR, nPR, PR; NR = non raggiunto; n.a. = non applicabile.

**: applicabile solo ai pazienti che ottengono una CR.

Anche i risultati di altri studi di supporto con l’impiego di rituximab, in associazione con altri regimi di chemioterapia (inclusi CHOP, FCM, PC, PCM, bendamustina e cladribina), per il trattamento di pazienti con LLC non trattati in precedenza e/o recidivi/refrattari, hanno evidenziato alti tassi di risposta complessiva, con benefici in termini percentuali di PFS, sebbene con una tossicità poco più alta (soprattutto mielotossicità). Questi studi supportano l’uso di rituximab con ogni chemioterapia.

I dati provenienti da circa 180 pazienti pre-trattati con rituximab hanno dimostrato un beneficio clinico (incluse CR) e supportano il ritrattamento con rituximab.

Popolazione pediatrica

Linfoma di Barkitt (Lymphome Malin B” (LMB)

È stato condotto uno studio multicentrico, in aperto e randomizzato, sulla chemioterapia per il Linfoma di Barkitt “Lymphome Malin B” (LMB; corticosteroidi, vincristina, ciclofosfamide, metotrexato ad alte dosi, citarabina, doxorubicina, etoposide e tripletta [metotrexato/citarabina/corticosteroide] chemioterapica, per via intratecale), in monoterapia o in associazione con rituximab, in pazienti pediatrici con DLBCL CD20 positivo/BL/BAL/BLL in stadio avanzato, non trattato in precedenza. Per stadio avanzato si intende lo stadio III con alti livelli di LDH (“B-high”) (LDH > due volte il limite superiore istituzionale relativo ai valori normali negli adulti [> Nx2]) o qualsiasi stadio IV o BAL. I pazienti sono stati randomizzati al trattamento con chemioterapia LMB o sei infusioni endovenose di rituximab, a una dose di 375 mg/m2 di BSA, in associazione con chemioterapia LMB (due durante ciascuno dei due cicli di induzione e una durante ciascuno dei due cicli di consolidamento), conformemente allo schema LMB. Nelle analisi di efficacia sono stati in inclusi un totale di 328 pazienti randomizzati, dei quali uno, di età inferiore a 3 anni, ha ricevuto rituximab in associazione a chemioterapia LMB.

I due bracci di trattamento, LMB (chemioterapia LMB) e R-LMB (chemioterapia LMB con rituximab), erano ben bilanciati con riferimento alle caratteristiche al basale. I pazienti avevano un’età mediana di 7 e 8 anni, rispettivamente, nel braccio LMB e nel braccio R-LMB. Circa la metà dei pazienti rientrava nel Gruppo B (50,6% nel braccio LMB e 49,4% nel braccio R-LMB), il 39,6% rientrava nel Gruppo C1 in entrambi i bracci, mentre il 9,8% e l’11,0% rientravano nel Gruppo C3, rispettivamente, nei bracci LMB e R-LMB. Sulla base della stadiazione di Murphy, i pazienti erano perlopiù in stadio BL III (45,7% nel braccio LMB e 43,3% nel braccio R-LMB) o BAL con SNC negativo (21,3% nel braccio LMB e 24,4% nel braccio R-LMB). Meno della metà dei pazienti (45,1% in entrambi i bracci) presentava un coinvolgimento del midollo osseo, mentre la maggior parte dei pazienti (72,6% nel braccio LMB e 73,2% nel braccio R-LMB) non manifestava alcun coinvolgimento dell’SNC. L’obiettivo primario (endpoint primario) di efficacia era la EFS, dove con evento si intendeva l’insorgenza di progressione della malattia, recidiva, secondo tumore, decesso per qualsiasi causa o mancata risposta evidenziata dalla rilevazione di cellule vitali nella malattia residua dopo il secondo ciclo di CYVE, a seconda dell’evento verificatosi per primo. Gli obiettivi secondari (endpoints secondari) di efficacia erano la OS e la CR (remissione completa).

All’analisi ad interim predefinita, con circa 1 anno di osservazione (follow-up) mediana è stato osservato un miglioramento clinicamente rilevante dell’obiettivo primario (endpoint primario) di EFS, con un tasso a 1 anno stimato del 94,2% (IC al 95%: 88,5%-97,2%) nel braccio R-LMB rispetto all’81,5% (IC al 95%: 73,0%-87,8%) nel braccio LMB e un HR da modello di Cox corretto pari a 0,33 (IC al 95%: 0,14-0,79). Sulla base di questo risultato, a seguito della raccomandazione dell’IDMC (comitato indipendente di monitoraggio dei dati), la randomizzazione è stata sospesa e i pazienti del braccio LMB sono potuti passare al trattamento con rituximab.

Le analisi primarie di efficacia sono state effettuate su 328 pazienti randomizzati con un periodo id osservazione (follow-up) mediana di 3,1 anni. I risultati sono illustrati nella tabella 14.

Tabella 14 Descrizione dei risultati relativi all’analisi primaria di efficacia (popolazione ITT)

Analisi LMB (N = 164) R-LMB (N = 164)
EFS 28 eventi 10 eventi
Test dei ranghi logaritmici (Log-rank test) a una coda, valore p 0,0006
HR da modello di Cox corretto 0,32 (IC al 90%: 0,17; 0,58)
Tassi di EFS a 3 anni 82,3%
(IC al 95%: 75,7%; 87,5%)
93,9%
(IC al 95%: 89,1%; 96,7%)
OS 20 decessi 8 decessi
Test dei ranghi logaritmici (Log-rank test) a una coda, valore p 0,0061
HR da modello di Cox corretto 0,36 (IC al 95%: 0,16; 0,81)
Tassi di OS a 3 anni 87,3%
(IC al 95%: 81,2%; 91,6%)
95,1%
(IC al 95%: 90,5%; 97,5%)
Tasso di CR 93,6% (IC al 95%: 88,2%; 97,0%) 94,0% (IC al 95%: 88,8%; 97,2%)

Dall’analisi primaria di efficacia è emerso che l’aggiunta di rituximab alla chemioterapia LMB si associa a un beneficio in termini di EFS, rispetto alla sola chemioterapia LMB, con un HR della EFS pari a 0,32 (IC al 90%: 0,17-0,58), derivante da un’analisi di regressione di Cox con correzione per gruppo nazionale, istologia e gruppo terapeutico. Sebbene tra i due gruppi di trattamento non siano state osservate importanti differenze nel numero di pazienti con CR, il beneficio apportato dall’aggiunta di rituximab alla chemioterapia LMB è risultato evidente anche nell’obiettivo secondario (endpoint secondario) di OS, con un HR della OS pari a 0,36 (IC al 95%: 0,16-0,81).

L’Agenzia Europea dei Medicinali ha previsto l’esonero dall’obbligo di presentare i risultati degli studi con rituximab in tutti i sottogruppi della popolazione pediatrica per linfoma follicolare e leucemia linfocitica cronica, e nella popolazione pediatrica dalla nascita a < 6 mesi di vita, per il linfoma diffuso a grandi cellule B CD20 positivo. Vedere paragrafo 4.2 per informazioni sull’uso pediatrico.

Esperienza clinica nell’artrite reumatoide

L’efficacia e la sicurezza di rituximab per alleviare i sintomi e i segni dell’artrite reumatoide in pazienti con inadeguata risposta agli inibitori del TNF, sono state dimostrate in uno studio principale randomizzato, controllato, in doppio-cieco, multicentrico (Studio 1).

Lo Studio 1 ha valutato 517 pazienti con inadeguata risposta o intolleranza a uno o più farmaci inibitori del TNF. I pazienti eleggibili avevano un’artrite reumatoide attiva, diagnosticata in accordo con i criteri dell’American College of Rheumatology (ACR). Rituximab è stato somministrato in 2 infusioni endovenose separate da un intervallo di 15 giorni. I pazienti hanno ricevuto 2 x 1.000 mg infusioni endovenose di rituximab o placebo in associazione con MTX. In concomitanza, tutti i pazienti hanno ricevuto 60 mg di prednisolone per via orale nei giorni 2-7 e 30 mg nei giorni 8 a 14 dopo la prima infusione. L’obiettivo primario (endpoint primario) era la proporzione di pazienti che raggiungevano una risposta ACR20 alla settimana 24. I pazienti erano seguiti oltre le 24 settimane per gli obiettivi a lungo termine, che includevano la valutazione radiografica a 56 settimane e a 104 settimane. Durante questo periodo, nell’ambito di un’estensione del protocollo di studio in aperto, l’81 % dei pazienti provenienti dal gruppo placebo originale, ha ricevuto rituximab tra le settimane 24 e 56.

Studi con rituximab condotti in pazienti con artrite in fase precoce (early) (pazienti non trattati in precedenza con metotrexato e pazienti con inadeguata risposta al metotrexato, ma non ancora trattati con inibitori del TNF-alfa), hanno raggiunto i loro obiettivi primari (endpoint primari). Dal momento che i dati di sicurezza sul trattamento a lungo termine con rituximab non sono sufficienti, in particolare riguardo al rischio di sviluppare neoplasie o PML, rituximab non è indicato per tali pazienti.

Risultati dell’attività della malattia

Rituximab in associazione con metotrexato ha aumentato significativamente la percentuale di pazienti che ha raggiunto almeno il 20 % di miglioramento nella risposta ACR, rispetto ai pazienti trattati con solo metotrexato (tabella 15). In tutti gli studi condotti, nei pazienti, il beneficio del trattamento era simile, indipendentemente da età, genere, area della superficie corporea, etnia, numero di precedenti trattamenti o stato della malattia.

Miglioramenti clinicamente e statisticamente significativi sono stati osservati anche in tutte le singole componenti della risposta ACR (conta delle articolazioni doloranti e tumefatte, valutazione complessiva del paziente e del medico, indice di disabilità (HAQ), valutazione del dolore e delle proteine C reattive (mg/dl)).

Tabella 15 Risultati della risposta clinica all’obiettivo primario (endpoint primario) dello Studio 1 (popolazione ITT)

Risultato† Placebo+MTX Rituximab + MTX (2 x 1.000 mg)
Studio 1 N = 201 N = 298
ACR20
ACR50 ACR70
36 (18 %)
11 (5 %)
3 (1 %)
153 (51 %)***80 (27 %)***37 (12 %)***
Risposta EULAR (buona/moderata) 44 (22 %) 193 (65 %)***
Variazione media del
DAS
−0,34 −1,83***

† Risultato a 24 settimane

Differenza significativa dal placebo + MTX al momento della rilevazione (time point) primaria: ***p ≤ 0,0001 I pazienti trattati con rituximab in associazione con metotrexato presentavano una riduzione significativamente maggiore nel punteggio dell’attività della malattia (Disease Activity Score/DAS28), rispetto ai pazienti trattati con solo metotrexato (tabella 15). Analogamente, una risposta da buona a moderata secondo l’EULAR (European League Against Rheumatism), è stata raggiunta da un numero significativamente più elevato di pazienti trattati con rituximab e metotrexato, rispetto ai pazienti trattati con metotrexato da solo (tabella 15).

Risposta radiologica

Il danno articolare strutturale è stato accertato radiologicamente ed espresso come variazione del punteggio totale Sharp modificato (mTSS) e dei suoi componenti, il punteggio dell’erosione e il punteggio dell’assottigliamento dello spazio articolare.

Nello Studio 1, condotto in soggetti con risposta inadeguata o intolleranza alle terapie con uno o più inibitori del TNF che hanno ricevuto rituximab in associazione con metotrexato, i pazienti hanno evidenziato alla 56a settimana una progressione a livello radiografico significativamente minore rispetto a quelli che originariamente hanno ricevuto metotrexato in monoterapia. Dei pazienti trattati originariamente con metotrexato in monoterapia, l’81 % ha ricevuto rituximab come terapia di salvataggio tra le settimane 16 e 24, o come prolungamento dello studio, prima della 56a settimana. Inoltre, una percentuale più elevata di pazienti che ha ricevuto l’originale trattamento con rituximab/MTX non ha evidenziato progressione delle lesioni erosive nell’arco delle 56 settimane (tabella 16).

Tabella 16 Risultati radiologici dopo 1 anno (popolazione mITT)

Placebo+MTX Rituximab + MTX 2 x 1.000 mg
Studio 1 (n = 184) (n = 273)
Variazione media, dal basale:
Punteggio totale Sharp
modificato 2,30 1,01*
Punteggio dell’erosione 1,32 0,602
Punteggio del
restringimento
dell’assottigliamento dello spazio
articolare 0,98 0,41**
Percentuale di pazienti senza
modifiche radiologiche 46% 53% NS
Percentuale di pazienti con
nessuna progressione erosiva 52 % 60 %, NS

Nello Studio 1, 150 pazienti originariamente randomizzati per placebo+ MTX, in un anno hanno ricevuto almeno un ciclo di RTX + MTX.

* p < 0,05, ** p < 0,001 Abbreviazione: NS, non significativo.

L’inibizione della percentuale di progressione del danno articolare è stata anche osservata sul lungo termine. L’analisi radiografica a 2 anni nello Studio 1 ha dimostrato una significativa riduzione della progressione del danno articolare strutturale nei pazienti che avevano ricevuto rituximab in associazione con metotrexato rispetto a quelli con il solo metotrexato e cosi pure una percentuale significativamente più alta di pazienti senza progressione del danno articolare oltre i 2 anni.

Funzione fisica e risultati sulla qualità di vita

Nei pazienti trattati con rituximab, sono stati osservate riduzioni significative dei punteggi relativi all’indice di disabilità (HAQ-DI) e della stanchezza (FACIT-Fatigue), rispetto a pazienti trattati con solo metotrexato. La percentuale di pazienti trattati con rituximab che hanno mostrato una differenza minima clinicamente importante (MCID) nel HAQ-DI (definita come una riduzione del punteggio totale individuale > 0,22) era anche maggiore di quella riscontrata nei pazienti che hanno ricevuto solo metotrexato (tabella 14).

E’ stato dimostrato un significativo miglioramento dello stato di salute, in termini di qualità della vita, con un significativo miglioramento dell’SF-36, sia nel punteggio della salute fisica (PHS), sia nel punteggio della salute mentale (MHS). Inoltre, una percentuale significativamente più alta di pazienti ha raggiunto MCID per questi punteggi (tabella 17).

Tabella 17 Risultati dello studio 1 sulla funzione fisica e sulla qualità di vita, alla settimana 24

Risultati† Placebo+MTX Rituximab + MTX
(2 x 1.000 mg)
n = 201 n = 298
0,1 −0,4***
Variazione media del HAQ-DI
% HAQ-DI MCID 20 % 51 %
Variazione media del FACIT-T −0,5 −9,1***
Variazione media del SF-36 n = 197
0,9
n = 294
5,8***
PHS
% SF-36 PHS MCID
13 % 48 %***
Variazione media del SF-36 1,3 4,7**
MHS
% SF-36 MHS MCID 20 % 38 %2

† Risultati alla settimana 24.

Differenza significativa dal placebo al momento della rilevazione (time point primario): * p< 0,05, **p< 0,001, ***p≤ 0,0001. MCID HAQ-DI ≥ 0,22, MCID SF-36 PHS > 5,42, MCID SF-36 MHS > 6,33.

Efficacia degli autoanticorpi nei pazienti sieropositivi (RF e/o anti-CCP)

I pazienti sieropositivi al Fattore Reumatoide (RF) e/o all’anti-Peptide Ciclico Citrullinato (anti-CCP) che sono stati trattati con rituximab in associazione con metotrexato, hanno mostrato una migliore risposta rispetto ai pazienti negativi ad entrambi.

Nei pazienti trattati con rituximab, i risultati di efficacia sono stati analizzati sulla base dello stato degli autoanticorpi prima dell’inizio del trattamento. Alla settimana 24, i pazienti che erano sieropositivi all’RF e/o agli anti-CCP, al basale hanno avuto una probabilità significativamente maggiore di raggiungere le risposte ACR20 e 50, rispetto ai pazienti sieronegativi (p = 0,0312 e p = 0,0096) (tabella 18). Questi risultati sono stati replicati alla settimana 48, dove la sieropositività autoanticorpale ha significativamente incrementato la probabilità di raggiungere l’ACR70. Alla settimana 48 i pazienti sieropositivi havevano una probabilità 2-3 volte maggiore di raggiungere una risposta ACR, rispetto ai pazienti sieronegativi. I pazienti sieropositivi presentavano anche una riduzione significativamente maggiore del DAS28-VES, rispetto ai pazienti sieronegativi (Figura 1).

Tabella 18 Riepilogo dell’efficacia sulla base dello stato autoanticorpale, al basale

Settimana 24 Settimana 48
Sieropositivi (n = 514) Sieronegativi (n = 106) Sieropositivi (n = 506) Sieronegativi (n = 101)
ACR20 (%) 62,3* 50,9 71,1* 51,5
ACR50 (%) 32,7* 19,8 44,9** 22,8
ACR70 (%) 12,1 5,7 20,9* 6,9
Risposta EULAR (%) 74,8* 62,9 84,3* 72,3
Variazione media del DAS28– VES −1,97** −1,50 −2,48*** −1,72

Livelli significativi sono stati definiti come * p< 0,05, **p< 0,001, ***p< 0,0001.

Figura 1: Variazione dal basale del DAS28-VES, tenendo conto dello stato autoanticorpale, al basale <.. image removed ..> Efficacia nel lungo termine con cicli ripetuti di terapia

Il trattamento con rituximab in associazione con metotrexato, per cicli multipli, ha dato notevoli miglioramenti nei segni clinici e nei sintomi dell’artrite reumatoide, come indicato dai risultati ACR, DAS28-VES e risposte EULAR, che sono stati evidenti in tutte le popolazioni studiate (Figura 2). Si sono osservati sostanziali miglioramenti nella funzione fisica come indicato dal punteggio HAQ-DI e dalla percentuale di pazienti che hanno ottenuto MCID per HAQ-DI.

Figura 2: Risposte ACR per 4 cicli di trattamento (24 settimane dopo ciascun ciclo, per paziente e nell’ambito della visita –Within Patient, Within Visit-), in pazienti con inadeguata risposta agli inibitori del TNF (n = 146) <.. image removed ..> Risultati dal laboratorio clinico

Negli studi clinici, un totale di 392 (12,7 %) su 3.095 pazienti con artrite reumatoide, in seguito a trattamento con rituxima,b sono risultati positivi agli ADA. Nella maggior parte dei pazienti, l’insorgenza di ADA non era associata a peggioramento clinico o ad un aumentato rischio di reazioni a infusioni successive. La presenza di ADA può essere associata ad un peggioramento delle reazioni a infusioni o allergiche, dopo la seconda infusione di cicli successivi.

Popolazione pediatrica

L’Agenzia Europea dei Medicinali ha previsto l’esonero dall’obbligo di presentare i risultati degli studi con rituximab in tutti i sottogruppi della popolazione pediatrica per artrite autoimmune. Vedere paragrafo 4.2 per informazioni sull’uso pediatrico.

Esperienza clinica nella granulomatosi con poliangite (GPA) e nella poliangite microscopica (MPA) Induzione della remissione in pazienti adulti

Nello Studio 1 su GPA/MPA, un totale di 197 pazienti di età pari o superiore a 15 anni con GPA (75 %) e MPA (24 %) in fase attiva e di grado severo, sono stati arruolati e trattati nello studio di non inferiorità multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, con confronto attivo.

I pazienti sono stati randomizzati in un rapporto 1:1 a ricevere o ciclofosfamide, per via orale giornaliera (2 mg/kg/die) per 3-6 mesi o rituximab (375 mg/m2), una volta alla settimana per 4 settimane. Tutti i pazienti del braccio ciclofosfamide hanno ricevuto terapia di mantenimento con azatioprina durante il periodo di osservazione (follow-up). I pazienti di entrambi i bracci hanno ricevuto 1.000 mg al giorno di metilprednisolone in bolo, per via endovenosa (o un altro glucocorticoide a dose equivalente), da 1 a 3 giorni, seguiti da prednisone per via orale (1 mg/kg/die, senza superare gli 80 mg/die). La riduzione di prednisone è stata completata entro 6 mesi dall’inizio del trattamento in studio.

La misura dell’obiettivo primario era il raggiungimento della remissione completa a 6 mesi, definita come punteggio di Birmingham Vasculitis Activity per granulomatosi di Wegener (BVAS/WG) di 0, e assenza di terapia con glucocorticoidi. Il margine predefinito di non inferiorità per la differenza tra i trattamenti era del 20 %. Per la remissione completa (CR) a 6 mesi, lo studio ha dimostrato la non inferiorità di rituximab rispetto a ciclofosfamide (tabella 19).

L’efficacia è stata osservata sia per i pazienti di nuova diagnosi che per i pazienti con malattia recidivante (tabella 20).

Tabella 19 Percentuale di pazienti adulti che hanno raggiunto la remissione completa a 6 mesi (Popolazione che si intende trattare –Intent-to-Treat Population-*)

Rituximab (n = 99) Ciclofosfamide (n = 98) Differenza tra i trattamenti
(Rituximab- ciclofosfamide)
Tasso 63,6 % 53,1 % 10,6 %
95,1 %b IC (−3,2 %,
24,3 %) a

– IC = intervallo di confidenza.

– * Attribuzione del caso peggiore.

a La non inferiorità era dimostrata nel momento in cui il limite inferiore (−3,2 %) era maggiore del limite predefinito di non inferiorità (−20 %).

b Il livello di confidenza al 95,1 % riflette un ulteriore 0,001 alfa per considerare un’analisi di efficacia ad interim .

Tabella 20 Remissione completa a 6 mesi, sulla base allo stato di malattia

Rituximab Ciclofosfamide Differenza (IC al 95 %)
Tutti i pazienti
nuova diagnosi recidivanti
n = 99
n = 48
n = 51
n = 98
n = 48
n = 50
Remissione completa
Tutti i pazienti 63,9 % 53,1 % 10,6 % (-3,2, 24,3)
Nuova diagnosi 60,4 % 64,6 % −4,2 % (−23,6, 15,3)
Recidivanti 66,7 % 42,0 % 24,7 % (5,8, 43,6)

L’attribuzione del caso peggiore è applicata ai pazienti con dati mancanti.

Remissione completa a 12 e 18 mesi

Nel gruppo rituximab, il 48 % dei pazienti ha raggiunto la CR a 12 mesi e il 39 % dei pazienti ha raggiunto la CR a 18 mesi. Nei pazienti trattati con ciclofosfamide (seguita da azatioprina per il mantenimento della remissione completa), il 39 % dei pazienti ha raggiunto la CR a 12 mesi e il 33 % dei pazienti ha raggiunto la CR a 18 mesi. Nel gruppo rituximab, dal mese 12 al mese 18, , sono state osservate 8 recidive rispetto alle 4 nel gruppo ciclofosfamide.

Esami di laboratorio

Nello studio sull’induzione della remissione, un totale di 23 su 99 (23 %) pazienti trattati con rituximab, sono risultati positivi ad ADA entro 18 mesi. Allo screening, nessuno dei 99 pazienti trattati con rituximab era positivo ad ADA. Nell’ambito del suddetto studio, la presenza di ADA non ha prodotto alcuna apparente tendenza, o effetto negativo apparente sulla sicurezza o sull’efficacia.

Terapia di mantenimento in pazienti adulti

In uno studio prospettico, multicentrico, controllato e in aperto, un totale di 117 pazienti (88 affetti da GPA, 24 da MPA e 5 da vasculite ANCA associata limitata al rene), in remissione dalla malattia, sono stati randomizzati al trattamento con azatioprina (59 pazienti) o rituximab (58 pazienti). I pazienti inclusi, di età compresa tra 21 e 75 anni e con malattia di nuova diagnosi o recidivante, dopo il trattamento combinato con glucocorticoidi e ciclofosfamide in bolo, , erano in remissione completa. La maggioranza dei pazienti risultava ANCA-positiva alla diagnosi o durante il decorso della malattia e presentava una vasculite necrotizzante dei vasi di piccolo calibro, istologicamente confermata con un fenotipo clinico di GPA o MPA oppure una vasculite ANCA associata limitata al rene oppure entrambe.

La terapia d’induzione della remissione consisteva in prednisone per via endovenosa, somministrato a discrezione dello sperimentatore, e preceduto, in alcuni pazienti, da metilprednisolone in bolo, e da ciclofosfamide in bolo, fino all’ottenimento della remissione dopo 4-6 mesi. In quel momento, ed entro m a s s i m o 1 mese dalla somministrazione dell’ultimo bolo di ciclofosfamide, i pazienti sono stati randomizzati al trattamento con rituximab (due infusioni endovenose da 500 mg, ciascuna separate da un intervallo di due settimane [il giorno 1 e il giorno 15], seguite da un’infusione endovenosa da 500 mg ogni 6 mesi per 18 mesi), o al trattamento con azatioprina (somministrata per via orale alla dose di 2 mg/kg/die per 12 mesi, successivamente alla dose di 1,5 mg/kg/die per 6 mesi e, infine, alla dose di 1 mg/kg/die per 4 mesi [trascorsi questi 22 mesi si verificava l’interruzione della terapia]). Per il trattamento con prednisone si è proceduto alla riduzione a scalare della dose e, successivamente, al mantenimento di un basso dosaggio (circa 5 mg/die) per almeno 18 mesi dopo la randomizzazione. La riduzione a scalare della dose di prednisone e la decisione di interrompere la sua somministrazione dopo 18 mesi, sono stati rimessi alla discrezione dello sperimentatore.

Tutti i pazienti sono stati seguiti fino al mese 28 (rispettivamente, 10 o 6 mesi dopo , l’ultima infusione di rituximab o l’ultima dose di azatioprina). A tutti i pazienti con conta di linfociti T CD4+ inferiore a 250 per millimetro cubo è stato richiesto di sottoporsi alla profilassi per la polmonite da Pneumocystis jirovecii.

La misura di esito primario (outcome) era il tasso di recidiva grave al mese 28.

Risultati

In 3 (5%) pazienti nel gruppo rituximab e in 17 (29%) pazienti nel gruppo azatioprina (p=0,0007), al mese 28 si è verificata recidiva grave (definita come la ricomparsa di segni clinici e/o laboratoristici, indicativi di attività della vasculite [BVAS > 0] che potrebbero causare danno o insufficienza d’organo oppure risultare rischioso per la vita). Recidive minori (non rischiosi per la vita, né comportanti grave danno d’organo), si sono invece manifestate in 7 (12%) pazienti nel gruppo rituximab e in 8 (14%) pazienti nel gruppo azatioprina.

Le curve relative al tasso di incidenza cumulativa hanno mostrato che il tempo alla prima recidiva grave è risultato maggiore nei pazienti trattati con rituximab a partire dal mese 2 e che tale condizione è stata mantenuta fino al mese 28 (Figura 3).

Percentuale di pazienti con prima recidiva grave

Figura 3: Incidenza cumulativa nel tempo della prima recidiva grave

<.. image removed ..> Tempo di sopravvivenza (Mesi)

Numero di soggetti con recidive gravi
Azatioprina 0 0 3 3 5 5 8 8 9 9 9 10 13 15 17
Rituximab 0 0 0 0 1 1 1 1 1 1 1 1 3 3 3
Numero di soggetti a rischio
Azatioprina 59 56 52 50 47 47 44 44 42 41 40 39 36 34 0
Rituximab 58 56 56 56 55 54 54 54 54 54 54 54 52 50 0

N.B.: In assenza di eventi, i pazienti sono stati censurati al mese 28.

Esami di laboratorio

Nell’ambito dello studio clinico sulla terapia di mantenimento, un totale di 6 su 34 (18%) pazienti trattati con rituximab ha sviluppato ADA, ma la presenza di tali anticorpi non ha prodotto alcuna apparente tendenza o effetto negativo sulla sicurezza o sull’efficacia.

Popolazione pediatrica

Granulomatosi con poliangioite (GPA) e poliangioite microscopica (MPA)

Lo studio WA25615 (PePRS) non controllato, a braccio singolo, in aperto e multicentrico, ha coinvolto 25 pazienti pediatrici (di età ≥ 2 e < 18 anni), affetti da GPA o MPA attiva di grado severo. L’età mediana dei pazienti inclusi nello studio era 14 anni (intervallo da 6 a 17 anni) e la maggior parte dei pazienti era di sesso femminile (20 su 25 [80%]). Al basale, un totale di 19 pazienti (76%) e 6 pazienti (24%) presentavano, rispettivamente, GPA e MPA. All’ingresso nello studio 18 pazienti (72%) presentavano malattia di nuova diagnosi (13 pazienti con GPA e 5 pazienti con MPA), mentre 7 pazienti presentavano malattia recidivante (6 pazienti con GPA e 1 paziente con MPA).

Il disegno dello studio consisteva in una fase iniziale d’induzione della remissione, della durata di 6 mesi, con un periodo di osservazione (follow-up) complessivo della durata minima di 18 mesi e massima di 54 mesi (4,5 anni). Ai pazienti dovevano essere somministrate almeno 3 dosi di metilprednisolone per via endovenosa (30 mg/kg/die, senza superare 1 g/die), prima della prima infusione endovenosa di rituximab. Se clinicamente indicato, potevano essere somministrate dosi giornaliere aggiuntive (fino a un massimo di tre) di metilprednisolone per via endovenosa. Il regime d’induzione della remissione era composto da quattro infusioni endovenose di rituximab, una volta alla settimana, alla dose di 375 mg/m2 di superficie corporea, somministrate nei giorni 1, 8, 15 e 22 dello studio in associazione con prednisolone o prednisone per via orale alla dose di 1 mg/kg/die (massimo 60 mg/die), con riduzione a scalare della dose fino a un minimo di 0,2 mg/kg/die (massimo 10 mg/die) entro il Mese 6. Dopo la fase d’induzione della remissione, e a discrezione dello sperimentatore, i pazienti potevano, ricevere ulteriori infusioni di rituximab il Mese 6, o successivamente, per il mantenimento della remissione secondo il punteggio dell’attività della vasculite in pazienti pediatrici (Pediatric Vasculitis Activity Score, PVAS) e il controllo dell’attività della malattia (compresa la progressione o le riacutizzazioni della malattia) o per l’ottenimento della prima remissione.

Tutti e 25 i pazienti hanno completato le quattro infusioni endovenose settimanali previste per i 6 mesi della fase d’induzione della remissione. Un totale di 24 su 25 pazienti hanno completato almeno 18 mesi del periodo di osservazione (follow-up).

Gli obiettivi dello studio erano la valutazione della sicurezza, i parametri farmacocinetici e l’efficacia di rituximab, in pazienti pediatrici affetti da GPA e MPA (di età ≥ 2 e < 18 anni). Gli obiettivi di efficacia dello studio erano di tipo esplorativo e sono stati prevalentemente valutati utilizzando il punteggio dell’attività della vasculite in pazienti pediatrici (PVAS) (tabella 21).

Dose cumulativa di glucocorticoidi (per via endovenosa e orale) al Mese 6

Ventiquattro su 25 pazienti (96%) partecipanti allo studio WA25615 hanno ottenuto la riduzione a scalare della dose di glucocorticoidi orali a 0,2 mg/kg/die (o a ≤ 10 mg/die, se inferiore), al o entro il Mese, 6 durante il periodo di riduzione a scalare della dose di steroidi orali definito dal protocollo.

È stata osservata una riduzione della mediana relativa all’uso complessivo di glucocorticoidi orali dalla Settimana 1 (mediana = 45 mg per dose equivalente di prednisone [IQR: 35-60]) al Mese 6 (mediana = 7,5 mg [IQR: 4-10]), che è stata successivamente mantenuta al Mese 12 (mediana = 5 mg [IQR: 2-10]) e al Mese 18 (mediana =5 mg [IQR: 1-5]).

Trattamento durante il periodo di osservazione (follow-up)

Durante tutto il periodo dello studio, i pazienti sono stati trattati con 4-28 infusioni di rituximab (per un massimo di 4,5 anni [53,8 mesi]). Ai pazienti sono stati somministrati fino a 375 mg/m2 x 4 di rituximab, ogni 6 mesi circa, a discrezione dello sperimentatore. In totale, 17 su 25 pazienti (68%) hanno ricevuto un ulteriore trattamento con rituximab il Mese 6 o successivamente fino alla comune chiusura dello studio. Quattordici di questi 17 pazienti hanno ricevuto tale trattamento, ulteriormente, tra il Mese 6 e il Mese 18.

Tabella 21 Studio WA25615 (PePRS) – Remissione secondo PVAS al Mese 1, 2, 4, 6, 12 e 18

Visita allo studio Numero di pazienti responsivi, in remissione secondo PVAS2 (tasso di risposta [%])
n=25
IC al 95%
Mese 1 0 0,0%; 13,7%
Mese 2 1 (4,0%) 0,1%; 20,4%
Mese 4 5 (20,0%) 6,8%; 40,7%
Mese 6 13 (52,0%) 31,3%; 72,2%
Mese 12 18 (72,0%) 50,6%; 87,9%
Mese 18 18 (72,0%) 50,6%; 87,9%
2Punteggio PVAS pari a 0 e raggiungimento della riduzione a scalare della dose di glucocorticoidi a 0,2 mg/kg/die (o 10 mg/die, se inferiore) al momento della rilevazione (time-point).
I risultati di efficacia sono di tipo esplorativo e per questi obiettivi (endpoints) non è stata eseguita alcuna analisi
statistica formale.
Fino al Mese 6, il trattamento con rituximab (375 mg/m2 x 4 infusioni) era lo stesso per tutti i pazienti. Dopo il Mese 6, il trattamento durante il periodo di osservazione (follow-up) era a discrezione dello sperimentatore.

Esami di laboratorio

Un totale di 4 su 25 (16%) pazienti ha sviluppato ADA durante tutto il periodo dello studio. Dati limitati mostrano che non è stato osservato alcuna tendenza nelle reazioni avverse segnalate dai pazienti risultati positivi ad ADA.

In pazienti pediatrici, nell’ambito degli studi clinici condotti sulla GPA e MPA,, la presenza di ADA non ha prodotto alcuna apparente tendenza o effetto negativo sulla sicurezza o sull’efficacia.

L’Agenzia Europea dei Medicinali ha previsto l’esonero dall’obbligo di presentare i risultati degli studi con rituximab nella popolazione pediatrica di età < 2 anni per GPA o MPA attiva di grado severo. Vedere paragrafo 4.2 per informazioni sull’uso pediatrico.

Esperienza clinica nel pemfigo volgare

Studio 1 su PV (ML22196)

Nell’ambito di uno studio randomizzato, in aperto, controllato e multicentrico, in pazienti di nuova diagnosi affetti da pemfigo da moderato a severo (74 casi di pemfigo volgare [PV] e 16 casi di pemfigo foliaceo [PF]), sono state valutate l’efficacia e la sicurezza di rituximab, in associazione con terapia a bassa dose di glucocorticoidi (prednisone) a breve termine, . I pazienti, di età compresa tra 19 e 79 anni, non erano stati sottoposti a precedenti terapie per il pemfigo. In base alla gravità della malattia, definita secondo i criteri di Harman, nella popolazione PV, 5 (13%) dei pazienti nel gruppo rituximab e 3 (8%) dei pazienti nel gruppo prednisone a dose standard, presentavano malattia di grado moderato, mentre 33 (87%) dei pazienti nel gruppo rituximab e 33 (92%) dei pazienti nel gruppo con prednisone a dose standard, presentavano malattia di grado severo.

I pazienti sono stati stratificati secondo il cirterio della gravità della malattia al basale (moderata o severa), e randomizzati nel rapporto 1:1 al trattamento con rituximab e prednisone a bassa dose o al trattamento con solo prednisone, a dose standard. I pazienti randomizzati del gruppo rituximab hanno ricevuto un’infusione endovenosa iniziale di rituximab da 1000 mg il giorno 1, in associazione a prednisone orale, alla dose di 0,5 mg/kg/die, gradualmente ridotta nell’arco di 3 mesi, in presenza di malattia moderata, o di 1 mg/kg/die, gradualmente diminuita nell’arco di 6 mesi, in presenza di malattia severa, e una seconda infusione endovenosa di 1000 mg, il giorno 15. La somministrazione delle infusioni di mantenimento da 500 mg di rituximab è avvenuta al mese 12 e 18. I pazienti randomizzati al gruppo prednisone a dose standard hanno ricevuto prednisone orale a una dose iniziale di 1 mg/kg/die, gradualmente ridotta nell’arco di 12 mesi, in presenza di malattia moderata, o di 1,5 mg/kg/die, gradualmente ridotta nell’arco di 18 mesi, in presenza di malattia severa. I pazienti del gruppo rituximab che presentavano recidiva, potevano essere trattati con un’infusione aggiuntiva di rituximab da 1000 mg, in combinazione con la reintroduzione o l’aumento graduale della dose di prednisone. Le infusioni di mantenimento e quelli in caso di recidiva, sono state somministrate non prima che fossero trascorse 16 settimane dall’infusione precedente.

L’obiettivo primario dello studio era la remissione completa (epitelizzazione completa e assenza di lesioni nuove e/o accertate), al mese 24, senza l’uso di prednisone per due o più mesi (RCsenza 2 mesi).

Risultati dello Studio 1 su PV

Per quanto riguarda il raggiungimento di RCsenza

2 mesi, al mese 24, nei pazienti affetti da pemfigo volgare, lo studio ha mostrato risultati statisticamente significativi a favore di rituximab più prednisone, a bassa dose, rispetto al solo prednisone, a dose standard (vedere tabella 22).

Tabella 22 Percentuale di pazienti affetti da pemfigo volgare (PV) che ha raggiunto la remissione completa senza terapia corticosteroidea, per due o più mesi, al mese 24 (Popolazione che si intende trattare -Intent-to- Treat Population – PV) IC al 95%b

Valore di pa

Prednisone

N=36

Rituximab

+ Prednisone

Numero di pazienti responsivi (tasso di risposta [%])

34 (89,5%) 10 (27,8%) <0,0001 61,7% (38,4;

76,5)

a Il valore di p è calcolato mediante il test esatto di Fisher, con correzione secondo il metodo mid-P.

b L’intervallo di confidenza al 95% è calcolato con la correzione dell’intervallo di Newcombe.

Rispetto ai pazienti trattati con prednisone a dose standard, durante il periodo di trattamento di 24 mesi, il numero di pazienti trattati con rituximab più prednisone a bassa dose o con terapia senza prednisone o con prednisone a dosi minimali (dose di prednisone pari o inferiore a10 mg/die), mostra come rituximab abbia un effetto risparmiatore di steroidi (Figura 4).

Figura 4: Numero di pazienti senza o con minimo uso della terapia corticosteroidea (≤10

mg/die) nel corso del tempo

<.. image removed ..> Valutazione retrospettiva a posteriori (post-hoc) dal laboratorio clinico

A 18 mesi, un totale di 19 su 34 (56%) pazienti affetti da pemfigo volgare, trattati con rituximab, è risultato positivo ad ADA. Nei pazienti affetti da pemfigo volgare, trattati con rituximab, la rilevanza clinica della formazione di ADA, non è chiara.

Studio 2 su PV (WA29330)

Uno studio randomizzato, in doppio cieco, con doppia simulazione, multicentrico, controllato verso trattamento attivo, ha valutato l’efficacia e la sicurezza di rituximab rispetto a micofenolato mofetile (MMF), in pazienti affetti da pemfigo volgare di grado da moderato a severo che, all’ingresso nello studio, avevano ricevuto 60-120 mg/die di prednisone orale o equivalente (1,0-1,5 mg/kg/die), ridotti gradualmente fino a raggiungere una dose di 60 o 80 mg/die entro il Giorno 1. I pazienti presentavano una diagnosi confermata di pemfigo volgare formulata nei 24 mesi precedenti ed evidenza della malattia di grado moderato o severo (definita come un punteggio totale dell’indice di attività PDAI [ Pemphigus Disease Area Index  15).

135 pazienti sono stati randomizzati al trattamento con rituximab, 1000 mg, somministrati il Giorno 1, il Giorno 15, alla Settimana 24 e alla Settimana 26, oppure al trattamento con MMF orale, 2 g/die, per 52 settimane, in associazione con 60 o 80 mg di prednisone orale, con l’obiettivo di procedere, per quest’ultimo, a una riduzione scalare della dose, fino a 0 mg/die, entro la Settimana 24.

L’obiettivo primario di efficacia dello studio era valutare l’efficacia di rituximab alla Settimana 52, rispetto a MMF, per il raggiungimento di una remissione completa sostenuta, definita come l’ottenimento della guarigione delle lesioni, in assenza di nuove lesioni attive (ovvero punteggio PDAI pari a 0), senza l’uso di prednisone o equivalente (0 mg/die), e nel mantenimento di tale risposta per almeno 16 settimane consecutive, durante il periodo di trattamento di 52 settimane.

Risultati dello Studio 2 su PV

In pazienti affetti da pemfigo volgare, lo studio ha dimostrato la superiorità di rituximab rispetto a MMF, in associazione a corticosteroidi orali, con dose a scalare, nell’ottenimento di una remissione completa alla Settimana 52, senza l’uso di terapia corticosteroidea, per 16 o più settimane (RCsenza

16 settimane) (Tabella 23). Nella popolazione mITT, la maggioranza dei pazienti (74%) presentava malattia di nuova diagnosi e malattia accertata nel 26% dei casi (durata della malattia  6 mesi e precedente trattamento per il pemfigo volgare).

Tabella 23 Percentuale di pazienti affetti da pemfigo volgare che hanno ottenuto una remissione completa sostenuta, alla Settimana 52, senza l’uso di terapia corticosteroidea per 16 o più settimane (Popolazione che si intende trattare –Intent-to-Treat- modificata)

rituximab (N=62) MMF (N=63) Differenza (IC al 95%) Valore di
p
Numero di pazienti responsivi (tasso di
risposta [%])
25 (40,3%) 6 (9,5%) 30,80% (14,70%; 45,15%) <0,0001
Pazienti con nuova diagnosi 19 (39,6%) 4 (9,1%)
Pazienti con malattia
accertata
6 (42,9%) 2 (10,5%)
IC = intervallo di confidenza. MMF = micofenolato mofetile.
Pazienti con nuova diagnosi = durata della malattia < 6 mesi e nessun precedente trattamento per il
pemfigo volgare.
Pazienti con malattia accertata = durata della malattia ≥ 6 mesi e precedente trattamento per il pemfigo
volgare.
Per il calcolo del valore di p è stato utilizzato il test di Cochran-Mantel-Haenszel.

L’analisi di tutti i parametri secondari (inclusi dose cumulativa di corticosteroidi orali, numero totale di riacutizzazioni della malattia e variazione della qualità di vita correlata alla salute, misurata mediante punteggio DLQI [Dermatology Life Quality Index, indice dermatologico della qualità di vita]), ha confermato i risultati statisticamente significativi di rituximab rispetto a MMF. L’analisi degli obietivi secondari (endpoint secondari) è stata controllata per molteplicità.

Esposizione ai glucocorticoidi

Nei pazienti trattati con rituximab, la dose cumulativa di corticosteroidi orali è risultata significativamente inferiore. Nel gruppo rituximab, la dose cumulativa mediana (valore minimo, valore massimo) di prednisone, alla Settimana 52, era pari a 2775 mg (450, 22180), mentre nel gruppo MMF era 4005 mg (900, 19920) (p = 0,0005).

Riacutizzazione della malattia

Nei pazienti trattati con rituximab, il numero totale di riacutizzazioni di malattia è risultato significativamente inferiore, rispetto a MMF (6 vs 44, p <0,0001), e il numero di pazienti che ha manifestato almeno una riacutizzazione della malattia è risultato inferiore (8,1% vs 41,3%).

Esami di laboratorio

Nello Studio 2 su PV, un totale di 20 su 63 (31,7%) pazienti, affetti da pemfigo volgare, trattati con rituximab (19 con induzione del trattamento e 1 con potenziamento del trattamento), è risultato positivo agli ADA, alla Settimana 52, e la presenza di tali anticorpi non ha avuto alcun effetto negativo apparente sulla sicurezza o sull’efficacia.

 

05.2 Proprietà farmacocinetiche

Indice

Linfoma non-Hodgkin nei pazienti adulti

Sulla base di un’analisi farmacocinetica di popolazione condotta su 298 pazienti con LNH, che hanno ricevuto un’infusione singola o infusioni multiple di rituximab, come agente singolo o in associazione con terapia CHOP (dosi di rituximab utilizzate comprese tra 100 e 500 mg/m 2

), le stime tipiche di popolazione relative alla clearance non specifica (CL1), alla clearance specifica (CL2), con il probabile contributo delle cellule B o della massa tumorale, e al volume di distribuzione del compartimento centrale (V1) sono state, rispettivamente, 0,14 l/die, 0,59 l/die e 2,7 l. La mediana stimata dell’emivita di eliminazione terminale di rituximab è stata di 22 giorni (intervallo: 6,1-52 giorni). La conta delle cellule CD19-positive, al basale, e la dimensione delle lesioni tumorali misurabili hanno contribuito, in parte alla variabilità della CL2 di rituximab, come rilevato dai dati di 161 pazienti che hanno assunto 375 mg/m2 come infusione endovenosa, per 4 dosi settimanali. I pazienti con conta di cellule CD19-positive più elevata o lesioni tumorali più ampie, hanno avuto una CL2 più elevata. Comunque, per la CL2 , dopo correzione per la conta delle cellule CD19-positive e il diametro delle lesioni tumorali, è rimasta una grande componente di variabilità inter-individuale . Il V1 è variato sulla base dell’area della superficie corporea (Body Surface Area, BSA) e della terapia CHOP. Questa variabilità nel V1 (27, 1 % e 19,0 %), determinata, rispettivamente, dall’intervallo della BSA (da 1,53 a 2,32 m2) e dalla terapia CHOP concomitante, è stata relativamente piccola. Età, genere e stato delle condizioni generali secondo OMS (performance status WHO) non hanno avuto effetti sulla farmacocinetica di rituximab. Questa analisi suggerisce che sia poco probabile che l’adeguamento della dose di rituximab con ognuna delle covariate valutate, risulti in una riduzione significativa della sua variabilità farmacocinetica.

Rituximab, somministrato come infusione endovenosa alla dose di 375 mg/m2, a intervalli settimanali, per 4 dosi a 203 pazienti con LNH mai trattati (naïve) con rituximab, dopo la quarta infusione, ha originato una Cmax media di 486 µg/mL (intervallo: 77,5-996,6 µg/mL). Rituximab è stato rilevabile nel siero dei pazienti per 3-6 mesi dopo il completamento dell’ultimo trattamento.

Dopo la somministrazione di rituximab alla dose di 375 mg/m2, come infusione endovenosa, a intervalli settimanali, per 8 dosi a 37 pazienti con LNH, la Cmax media è aumentata a ogni successiva infusione, variando da una media di 243 µg/mL (intervallo: 16-582 µg/mL), dopo la prima infusione, a 550 µg/mL (intervallo: 171-1177 µg/mL), dopo l’ottava infusione.

Il profilo farmacocinetico di rituximab, quando è somministrato come 6 infusioni di 375 mg/m2, in associazione con 6 cicli di chemioterapia CHOP, è stato simile a quello visto con solo rituximab.

DLBCL/BL/BAL/BLL nei pazienti pediatrici

Nella sperimentazione clinica volta a studiare DLBCL/BL/BAL/BLL nei pazienti pediatrici, è stata esaminata la farmacocinetica in un sottogruppo di 35 pazienti, di età uguale o superiore a 3 anni. La farmacocinetica è risultata sovrapponibile tra le due fasce d’età (da  3 a  12 anni vs da  12 a < 18 anni). Dopo due infusioni endovenose di rituximab da 375 mg/m2, in ciascuno dei due cicli di induzione (ciclo 1 e 2), seguite da un’infusione endovenosa di rituximab da 375 mg/m2, in ciascuno dei cicli di consolidamento (cicli 3 e 4), la concentrazione massima è risultata più elevata dopo la quarta infusione (ciclo 2), con una media geometrica di 347 g/mL, seguita,, successivamente da concentrazioni massime inferiori (ciclo 4: media geometrica di 247 g/mL). Con questo regime posologico si sono mantenuti i livelli di valle (media geometrica: 41,8 µg/mL [pre-dose ciclo 2, dopo 1 ciclo], 67,7 µg/mL [pre-dose ciclo 3, dopo 2 cicli] e 58,5 µg/mL [pre-dose ciclo 4, dopo 3 cicli]). Nei pazienti pediatrici di età uguale o superiore a 3 anni, l’emivita di eliminazione mediana è stata di 26 giorni.

Le caratteristiche farmacocinetiche di rituximab nei pazienti pediatrici con DLBCL/BL/BAL/BLL sono risultate simili a quelle osservate nei pazienti adulti con LNH.

Sebbene per i pazienti di età compresa tra ≥ 6 mesi e < 3 anni non siano disponibili dati farmacocinetici, la stima della farmacocinetica di popolazione avvalora un’esposizione sistemica (AUC, Ctrough ), in questa fascia d’età, sovrapponibile a quella della fascia d’età ≥ 3 anni (tabella 24). Una dimensione tumorale ridotta, al basale, si correla a un’esposizione maggiore a causa di un’inferiore clearance tempo-dipendente; tuttavia, le esposizioni sistemiche interessate dalle diverse dimensioni tumorali, rimangono all’interno dell’intervallo in cui l’esposizione è risultata efficace e associata ad un accettabile profilo di sicurezza.

Tabella 24 Stima dei parametri farmacocinetici dopo l’impiego dello schema posologico di rituximab, in pazienti pediatrici con DLBCL/BL/BAL/BLL

Fascia d’età Da ≥ 6 mesi a < 3 anni Da ≥ 3 a < 12 anni Da ≥ 12 a < 18 anni
Ctrough (µg/mL) 47,5 (0,01-179) 51,4 (0,00-182) 44,1 (0,00-149)
AUC1-4 cicli
(µg*die/mL)
13501 (278-31070) 11609 (135-31157) 11467 (110-27066)

Risultati presentati come mediana (valore minino – valore massimo); Ctrough, pre-dose Ciclo 4.

Leucemia linfocitica cronica

In pazienti con LLC, rituximab è stato somministrato attraverso infusione endovenosa, con la dose del primo ciclo di 375 mg/m2, aumentata a 500 mg/m2 per ogni ciclo successivo, per 5 dosi, in associazione con fludarabina e ciclofosfamide. La media della Cmax (N = 15), dopo la quinta infusione di 500 mg/m2, è stata 408 μg/mL (intervallo 97-764 μg/mL) e la media dell’emivita terminale è stata di 32 giorni (intervallo 14-62 giorni).

Artrite reumatoide

In seguito a due infusioni endovenose di rituximab, alla dose di 1.000 mg, a distanza di due settimane, l’emivita terminale media era di 20,8 giorni (intervallo da 8,58 a 35,9 giorni), la clearance sistemica media era di 0,23 l/giorno (intervallo da 0,091 a 0,67 l/die) e il volume di distribuzione medio, allo stato stazionario, era di 4,6 l (intervallo da 1,7 a 7,51 l). Le analisi farmacocinetiche di popolazione degli stessi dati hanno dato valori medi simili per la clearance e l’emivita sistemiche, rispettivamente, di 0,26 l/die e 20,4 giorni. Per spiegare la variabilità interindividuale nei parametri di farmacocinetica, le analisi farmacocinetiche di popolazione hanno rivelato che la BSA e il genere erano le covariate più significative. Dopo aggiustamento per BSA, i soggetti maschi avevano un volume di distribuzione maggiore e una clearance più rapida dei soggetti di sesso femminile. Le differenze farmacocinetiche correlate al genere non sono state considerate clinicamente rilevanti e non è stato necessario alcun adeguamento del dosaggio. Nei pazienti con insufficienza renale o epatica, non sono disponibili dati di farmacocinetica.

In quattro studi, la farmacocinetica di rituximab è stata valutata dopo due dosi endovenose (e.v.) da 500 mg e 1.000 mg, al giorno 1 e 15,. In tutti questi studi, la farmacocinetica di rituximab è risultata proporzionale alla dose, oltre l’intervallo limite del dosaggio studiato. Nel siero, dopo la prima infusione, il valore medio della Cmax di rituximab era compreso tra 157 e 171 μg/mL, per il dosaggio 2 x 500 mg e tra 298 e 341 μg/mL, per il dosaggio 2 x 1.000 mg. Dopo la seconda infusione, il valore medio della Cmax era compreso tra 183 e 198 μg/mL, per il dosaggio 2 × 500 mg e compreso tra 355 e 404 μg/mL, per il dosaggio 2 × 1.000 mg. L’emivita terminale media di eliminazione era compresa tra 15 e 16 giorni,, per il dosaggio 2 x 500 mg e tra 17 e 21 giorni per il dosaggio 2 × 1.000 mg. Per entrambi i dosaggi, il valore medio della Cmax era tra 16 e 19 %, più alto dopo la seconda infusione, rispetto alla prima infusione La farmacocinetica di rituximab è stata valutata a seguito di due dosi endovenosa, da 500 mg e 1.000 mg, dopo il ritrattamento nel secondo ciclo. Il valore medio della Cmax di rituximab, nel siero dopo la prima infusione, era compreso tra 170 e 175 μg/mL, per il dosaggio 2 x 500 mg, e tra 317 e 370 μg/mL, per il dosaggio 2 x 1.000 mg. Dopo la seconda infusione, il valore medio di Cmax era di 207 μg/mL, per il dosaggio 2 x 500 mg, e tra 377 e 386 μg/mL, per il dosaggio 2 x 1.000 mg.

L’emivita terminale media di eliminazione, dopo la seconda infusione, dopo il secondo ciclo, era di 19 giorni, per il dosaggio 2 x 500 mg, e tra 21 e 22 giorni, per il dosaggio 2 x 1.000 mg. Dureante i due cicli di trattamento, i parametri farmacocinetici per rituximab erano paragonabili.

Nella popolazione di soggetti con inadeguata risposta agli anti-TNF, sottoposti allo stesso schema posologico (2 x 1.000 mg endovenosa, a distanza di 2 settimane), i parametri farmacocinetici erano simili, con una concentrazione sierica massima media di 369 µg/mL e un’emivita terminale media di 19,2 giorni.

Granulomatosi con poliangioite (GPA) e poliangioite microscopica (MPA)

Popolazione adulta

Sulla base delle analisi farmacocinetiche di popolazione dei dati di 97 pazienti affetti da granulomatosi con poliangioite e poliangioite microscopica, che hanno ricevuto 375 mg/m2 di rituximab, una volta alla settimana, per quattro settimane, l’emivita mediana terminale di eliminazione stimata era di 23 giorni (intervallo da 9 a 49 giorni). La clearance media e il volume di distribuzione di rituximab erano, rispettivamente di 0,313 L/die (intervallo da 0,116 a 0,726 L/die) e 4,50 L (intervallo da 2,25 a 7,39 L). Durante i primi 180 giorni, la concentrazione massima (Cmax ), la concentrazione minima al giorno 180 (C180) e l’area cumulativa sotto la curva, nell’arco di 180 giorni (AUC180), si sono attestate, rispettivamente, a (mediana [intervallo]) 372,6 (252,3-533,5) µg/mL, 2,1 (0-29,3) µg/mL e 10302 (3653-21874) µg/mL*die. Nei pazienti adulti affetti da GPA e MPA, i parametri farmacocinetici di rituximab appaiono simili a quelli osservati nei pazienti con artrite reumatoide.

Popolazione pediatrica

Sulla base delle analisi farmacocinetiche di popolazione su 25 bambini (di età compresa tra 6 e 17 anni), affetti da GPA e MPA, che hanno ricevuto 375 mg/m2 di Truxima, una volta alla settimana per quattro settimane, l’emivita mediana terminale di eliminazione stimata era di 22 giorni (intervallo da 11 a 42 giorni). La clearance media e il volume di distribuzione di rituximab erano, rispettivamente, di 0,221 L/die (intervallo da 0,0996 a 0,381 L/die) e 2,27 L (intervallo da 1,43 a 3,17 L). Durante i primi 180 giorni, la concentrazione massima (Cmax ), la concentrazione minima al giorno 180 (C180) e l’area cumulativa sotto la curva, nell’arco di 180 giorni (AUC180), si sono attestate, rispettivamente, a (mediana [intervallo]) 382,8 (270,6-513,6) µg/mL, 0,9 (0-17,7) µg/mL e 9787 (4838-20446) µg/mL*die. Tenendo conto dell’effetto prodotto dall’area della superficie corporea (BSA) sui parametri di clearance e volume di distribuzione, nei pazienti pediatrici affetti da GPA o MPA, i parametri farmacocinetici di rituximab sono risultati simili a quelli osservati nei pazienti adulti affetti da GPA o MPA.

Pemfigo volgare

I parametri farmacocinetici in pazienti adulti con pemfigo volgare trattati con rituximab 1000 mg ai Giorni 1, 15, 168 e 182 sono riassunti nella tabella 25.

Tabella 25 Farmacocinetica di popolazione in pazienti adulti affetti da pemfigo volgare, nello Studio 2 su PV

Parametro Ciclo di infusione
1° ciclo di 1000 mg
Giorno 1 e Giorno 15 N=67
2° ciclo di 1000 mg
Giorno 168 e Giorno 182 N=67
Emivita terminale di
eliminazione (giorni) 21,0 26,5
Mediana
(Range)
(9,3-36,2) (16,4-42,8)
Clearance (L/die)
Media 391 247
(Intervallo) (159-1510) (128-454)
Volume centrale di
distribuzione (L) 3,52 3,52
Media
(Intervallo)
(2,48-5,22) (2,48-5,22)

In pazienti affetti da pemfigo volgare, dopo le prime due somministrazioni di rituximab (nei Giorni 1 e 15, corrispondenti al Ciclo 1), i parametri farmacocinetici di rituximab sono risultati simili a quelli osservati in pazienti affetti da granulomatosi con poliangioite/poliangioite microscopica e in pazienti affetti da artrite reumatoide. Dopo le ultime due somministrazioni (nei Giorni 168 e 182, corrispondenti al Ciclo 2), la clearance di rituximab è diminuita mentre il volume centrale di distribuzione è rimasto invariato.

 

05.3 Dati preclinici di sicurezza

Indice

Rituximab si è rivelato altamente specifico per l’antigene CD20 sulle cellule B. Gli studi di tossicità effettuati nel macaco cinomolgo (cynomolgus monkeys) non hanno evidenziato altri effetti se non l’attesa deplezione farmacologica delle cellule B nel sangue periferico e nel tessuto linfonodale.

Studi di tossicità dello sviluppo sono stati condotti nelle scimmie cynomolgus con dosi fino a 100 mg/kg (trattamento nei giorni di gestazione 20-50) e hanno mostrato che non c’è evidenza di tossicità per il feto dovuta a rituximab. In ogni caso, negli organi linfoidi del feto è stata osservata la deplezione farmacologica delle cellule B in maniera dose-dipendente, che si è mantenuta anche dopo la nascita ed è stata associata ad una riduzione dei livelli di IgG negli animali neonati colpiti. In questi animali, la conta delle cellule B è tornata ai valori normali entro 6 mesi dalla nascita e non ha compromesso le reazioni di immunizzazione.

Non stati effettuati i tests standard per indagare la mutagenicità, in quanto tali esami non sono rilevanti per questa molecola. Non sono stati eseguiti studi a lungo termine sugli animali per la definizione del potenziale carcinogenico del rituximab.

Non sono stati eseguiti studi specifici per determinare gli effetti di rituximab sulla fertilità. In generale, negli studi di tossicità condotti nei macachi cynomolgus non sono stati osservati effetti deleteri a carico degli organi riproduttivi maschili o femminili.

 

INFORMAZIONI FARMACEUTICHE

06.1 Eccipienti

Indice

Sodio cloruro Sodio citrato diidrato (E331) Polisorbato 80 (E433) Acqua per preparazioni iniettabili

 

06.2 Incompatibilità

Indice

Non sono state osservate incompatibilità tra rituximab e le sacche di polivinile cloruro o di polietilene, o la strumentazione per l’infusione.

 

06.3 Periodo di validità

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Flaconcino mai aperto 4 anni

Dopo diluizione del medicinale

La soluzione di rituximab preparata per l’infusione con una soluzione di sodio cloruro allo 0.9% è stabile fisicamente e chimicamente per 30 giorni a temperatura tra 2 °C-8 °C e successivamente per 24 ore a temperatura ambiente (non superiore a 30 °C).

La soluzione di rituximab preparata per l’infusione con una soluzione di D-glucosio al 5% è stabile fisicamente e chimicamente per 24 ore a temperatura tra 2 °C-8 °C e successivamente per 12 ore a temperatura ambiente (non superiore a 30 °C).

Da un punto di vista microbiologico, la soluzione preparata per l’infusione deve essere utilizzata immediatamente. Se non viene utilizzata immediatamente, i tempi e le condizioni di conservazione prima dell’uso sono sotto la responsabilità dell’utilizzatore e non si dovrebbero normalmente superare le 24 ore a temperatura tra 2 °C-8 °C, a meno che la diluizione sia avvenuta in condizioni asettiche controllate e validate.

 

06.4 Speciali precauzioni per la conservazione

Indice

Conservare in frigorifero (2 °C – 8 °C). Tenere il flaconcino nell’imballaggio esterno per proteggere il medicinale dalla luce.

Per le condizioni di conservazione dopo diluizione del medicinale, vedere paragrafo 6.3.

 

06.5 Natura e contenuto della confezione

Indice

Truxima 100 mg concentrato per soluzione per infusione Flaconcini in vetro trasparente di Tipo I con tappo in gomma butilica, contenenti 100 mg di rituximab in 10 mL. Confezioni da 2 flaconcini.

Truxima 500 mg concentrato per soluzione per infusione Flaconcini in vetro trasparente di Tipo I con tappo in gomma butilica, contenenti 500 mg di rituximab in 50 mL. Confezioni da 1 flaconcino.

 

06.6 Istruzioni per l’uso e la manipolazione

Indice

Truxima viene fornito in flaconcini sterili, senza conservanti, apirogeni, monouso.

Per preparare Truxima devono essere usati un ago e una siringa sterili. Aspirare, in condizioni di sterilità, la quantità necessaria di Truxima e diluire ad una concentrazione calcolata da 1 a 4 mg/mL di rituximab in una sacca per infusione contenente soluzione iniettabile sterile e apirogena di sodio cloruro 9 mg/mL (0,9 %), oppure di D-glucosio 5 % in acqua. Per miscelare la soluzione, capovolgere lentamente la sacca in modo da evitare il formarsi di schiuma. Deve essere posta attenzione affinché sia garantita la sterilità delle soluzioni preparate. Poiché il medicinale non contiene conservanti antimicrobici o agenti batteriostatici, si devono osservare le tecniche di asetticità. I medicinali per uso parenterale devono essere controllati visivamente per verificare la presenza di particelle o alterazioni del colore, prima di essere somministrati.

Il medicinale non utilizzato ed i rifiuti derivati da tale medicinale devono essere smaltiti in conformità alla normativa locale vigente.

 

07.0 Titolare dell’autorizzazione all’immissione in commercio

Indice

Celltrion Healthcare Hungary Kft. 1062 Budapest Váci út 1-3. WestEnd Office Building B torony Ungheria

 

08.0 Numeri delle autorizzazioni all’immissione in commercio

Indice

Truxima 100 mg concentrato per soluzione per infusione EU/1/16/1167/002 Truxima 500 mg concentrato per soluzione per infusione EU/1/16/1167/001

 

09.0 Data della prima autorizzazione/Rinnovo dell’autorizzazione

Indice

Data della prima autorizzazione: 17 febbraio 2017 Data del rinnovo più recente: 15 novembre 2021

 

10.0 Data di revisione del testo

Indice

Documento messo a disposizione da A.I.FA. in data: 23/09/2022